Il 12 Aprile 2010 viene tenuta un’udienza preliminare dal GIP Paolo Micheli assistito dal Cancelliere Franca D’Amata alla presenza del PM Giuliano Mignini per i procedimenti n° 4057/05 e 2785/05.
Questo il verbale dell’Udienza: 12 aprile 2010 Udienza Preliminare
In questa udienza rilascia una dichiarazione spontanea (documento incompleto) Luigi De Feo, il verbale: 12 aprile 2010 Udienza Preliminare Dichiarazioni di De Feo
Questo uno stralcio :
Per prassi consolidata in tutte le Questure i nuclei di P.G. si occupavano soltanto delle indagini delegate, mentre tutte le indagini ad iniziativa della Polizia Giudiziaria erano devolute alla competenza delle squadre mobili che agivano su tutto il territorio della provincia.
La squadra mobile, a differenza del nucleo di P.G. che ha competenza limitata, è un organismo complesso della Questura: da un lato svolge un’ampia attività informativa generale di controllo e pronto intervento sul territorio, in linea con le direttive del Questore, partecipando della più ampia funzione di pubblica sicurezza; dall’altro è incisivo organo di investigazione diretta alla repressione dei reati, e come tale fa riferimento all’autorità giudiziaria.
Ora, nel caso della vicenda Narducci, tutta l’organizzazione delle ricerche conseguente la semplice denuncia di scomparsa di una persona, il coordinamento degli interventi relativi da parte dei vari enti intervenuti, l’informativa in genere e le ricerche sul territorio non credo possano in alcun modo farsi rientrare nei ristretti compiti del nucleo di P.G., ma fanno sicuramente riferimento alla generale attività di controllo del territorio, ricerca delle persone ed interventi vari che sono compiti attinenti l’Autorità di Pubblica Sicurezza e quindi rientrano nella competenza del Questore.
Ricordo che nella circostanza non si è partiti da una notitia criminis e, quanto alla morte del NARDUCCI, si parlò sempre di una disgrazia o al massimo di un suicidio, eventi questi di per sé irrilevanti sotto il profilo penale. Per queste ragioni venne inviata sul posto la squadra mobile, in considerazione della complessità e versatilità dei suoi compiti che da un lato assicuravano un efficace ed incisivo intervento, sia informativo che di coordinamento delle ricerche, mentre dall’altro garantivano un’efficace ed eventuale copertura investigativa.
Pertanto, quando venne presentata la denuncia di scomparsa del dott. FRANCESCO NARDUCCI (..), di cui seppi solo qualche giorno dopo, io mi disinteressai totalmente della cosa; quindi non presi parte né presenziai alle ricerche del NARDUCCI che videro, in appoggio ai carabinieri del territorio, l’intervento di personale della squadra mobile diretta dal dott. Alberto Speroni che aveva la più ampia autonomia operativa; né mi occupai degli adempimenti successivi al ritrovamento del corpo nelle acque del Trasimeno, vale a dire la ricognizione cadaverica, l’esame medico della salma, i rilievi tecnici, i rapporti con il magistrato di turno e con la famiglia e quant’altro. In breve fui completamente assente dal teatro delle operazioni.
Per tutto il tempo in cui durarono le ricerche e si conclusero le operazioni successive al rinvenimento del corpo del NARDUCCI ed anche oltre io non mi recai mai sul territorio del Trasimeno né ebbi contatti con le persone che ivi operavano.
Pertanto, anche partendo, per lontana ipotesi, dalla tesi ipotizzata dall’accusa, secondo cui in quel contesto vi sarebbe stato un accordo, un patto comune fra più persone e si sarebbe costituita una sorta di associazione illecita, mi chiedo come potessi essere ritenuto partecipe di tale sodalizio, di cui avrei ignorato totalmente l’esistenza, per non dire delle finalità illecite che ad esso vengono attribuite e di cui non avrei potuto avere alcuna consapevolezza.
Non è un caso infatti se delle persone che parteciparono alle suddette operazioni, tra le quali vi erano coloro che l’accusa individua quali presunti promotori ed organizzatori dell’associazione, e che vennero ripetutamente sentiti in sede di indagine, nessuna menziona il mio nome né fa riferimento ad un mio interessamento alla vicenda.
E credo che proprio per questo io stesso non fui mai sentito, durante l’inchiesta, su queste operazioni.
Ribadisco che non ho mai conosciuto la famiglia NARDUCCI né ho mai avuto con la stessa rapporti di alcun genere e per quanto riguarda gli appartenenti alle istituzioni, con essi ho avuto soltanto rapporti strettamente inerenti al lavoro che svolgevo, comunque con queste persone non ho mai parlato della vicenda NARDUCCI, cose fra l’altro confermate anche dall’esito negativo delle intercettazioni a cui sono state sottoposte le mie utenze telefoniche, che non hanno evidenziato contatti di alcun genere non solo con alcuna delle persone coinvolte ma neanche con alcuna delle persone sentite a qualsiasi titolo nell’ambito dell’indagine.
(..)
Né può avere alcuna significativa rilevanza il fatto che io possa avere genericamente parlato della vicenda, esprimendo considerazioni personali e riferendomi a cose che tutti sapevano, con qualche persona conosciuta, perché si trattava appunto di argomenti di cui parlava tutta la città.
Il dott. DE FEO ricorda poi di avere avuto in effetti un colloquio con la signora Agostinucci in MAZZINI, e spiega: Nel corso di questa conversazione, che ho ricordato essere avvenuta uno o due giorni dopo il rinvenimento del cadavere del NARDUCCI, come la stessa AGOSTINUCCI conferma nelle sue dichiarazioni, nel momento in cui il Presidente, con il quale avevo parlato sino ad allora, si era allontanato in un’altra stanza della casa e quindi nella sala d’ingresso ero rimasto soltanto con la signora e un agente che mi aveva accompagnato come autista – particolare questo confermato dalla stessa AGOSTINUCCI (..) – io avrei detto direttamente a lei alcune parole che la signora ha completamento frainteso e confuso nel loro contenuto narrativo.
Io infatti accennavo ad una cosa che avevo sentito dire, una chiacchiera che circolava a quel tempo sulla vicenda NARDUCCI in ambienti ristretti della città – si diceva che in una imprecisata abitazione di Firenze, in uso al NARDUCCI, alcune persone ignote avessero visto dei feticci di organi femminili rimanendone impressionate – mentre lei, forse anche a causa del mio ruolo, credette di capire che parlavo di un accertamento di polizia, attribuendo così alle mie parole un significato del tutto diverso, che ha successivamente riferito ai suoi familiari, i quali, non essendo stati presenti, non possono certo riscontrare le parole da me effettivamente dette ma soltanto la lettura che ne ha dato loro la signora AGOSTINUCCI, la quale però ha completamente frainteso ciò che io effettivamente ho detto.
Tuttavia, a questo proposito vorrei osservare che la figlia, dott.ssa Mazzini, che è un magistrato, intuisce l’esatto senso delle parole dette da me, quando nella sua dichiarazione al P.M. afferma di non aver dato molta rilevanza alla vicenda perché prese questa confidenza della madre “come una voce e non come un fatto certo”.
Ed infatti di una voce si trattava, così come io avevo inteso riferire alla sig.ra AGOSTINUCCI. La conversazione poi consistette in un semplice scambio di parole, del tutto estemporanee, fra persone che si conoscevano appena (io vedevo la signora solo per la seconda volta) e che parlarono di diversi argomenti di cui non avevano una diretta conoscenza, la qual cosa determinò, probabilmente, alcuni malintesi.
Si parlò infatti delle notizie riportate dai giornali sui delitti di Firenze, l’ultimo dei quali era stato commesso da circa un mese; si parlò della morte del NARDUCCI che veniva attribuita ad una disgrazia oppure ad un suicidio; si accennò altresì ad una chiacchiera a dir poco fantasiosa che circolava in città. Non vi fu da parte mia alcun riferimento ad ipotetiche indagini di polizia sulla vicenda NARDUCCI, poiché a quel tempo non ero al corrente di indagini che fossero svolte da personale operativo della Questura, anche perché, come ho già detto, la squadra mobile era completamente autonoma, riferiva al suo dirigente ed io non ero informato delle indagini che svolgeva.
Alla conversazione eravamo presenti il Presidente MAZZINI, la moglie Sig.ra AGOSTINUCCI, io stesso ed un agente di polizia che mi aveva accompagnato, in qualità di autista.
Vorrei dire subito che mi recai in casa MAZZINI non per una visita occasionale né per parlare di mie cose private, come dice la signora AGOSTINUCCI nella sua dichiarazione, riferendosi alla mia separazione legale, che tuttavia si era definita già da cinque anni con sentenza in data 1980, ma perché avevo concordato con il Presidente, da me incontrato qualche giorno prima, di vederci a casa sua per le ore 11.00 di un paio di giorni dopo in quanto dovevo parlargli di un argomento che lo interessava personalmente. In particolare intendevo informarlo e rassicurarlo in merito ad un problema che gli stava molto a cuore e che egli mi aveva prospettato nel corso di un precedente colloquio.
Qualche giorno prima infatti mi aveva telefonato in ufficio pregandomi di recarmi a casa sua perché aveva necessità di parlarmi. Nel corso di questo primo colloquio, al quale non erano presenti altre persone, mi manifestò la sua preoccupazione per la sicurezza del quartiere ove abitava, in quanto aveva sentito parlare insistentemente di un aumento di furti in appartamento, nel centro storico, specie nelle prime ore del pomeriggio; mi disse anche che a quel tempo il suo condominio era poco organizzato e l’accesso al palazzo era praticamente incontrollato, lamentava anche una serie di schiamazzi e disturbi vari sino ad ora tarda. Pertanto auspicava una maggiore sorveglianza nelle zone interessate da parte della Polizia. Sulla storia dei furti ebbi poi modo di verificare, in ufficio, che vi erano state delle esagerazioni; quanto ai disturbi lamentati ricordo che disposi un saltuario servizio di controllo.
In occasione della seconda visita recapitai al Presidente un appunto con i miei dati personali che egli stesso mi aveva precedentemente chiesto. Infatti gli avevo detto di essere in attesa della promozione alla dirigenza ma di essere preoccupato poiché temevo un trasferimento in altra sede. Avrei infatti desiderato rimanere a Perugia qualche anno ancora per ragioni familiari. Il Presidente si offrì allora di segnalare la cosa ad una personalità del Viminale, che egli conosceva molto bene, affinché nella eventualità di un trasferimento mi fosse concessa quantomeno una proroga. Di ciò gli fui molto grato.
Pertanto, la conversazione a cui ho accennato poc’anzi fu del tutto occasionale e di essa mi dimenticai ben presto. Infatti, non essendomi mai occupato della vicenda NARDUCCI, quando venni sentito a sommarie informazioni testimoniali, sia nel 2003 che nel 2006, quindi circa venti anni dopo la mia visita ai MAZZINI, a quel tempo non mi ricordavo per niente dello scambio di parole avvenuto in quella casa ove mi ero recato per motivi che non avevano nulla a che vedere con la vicenda stessa.
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Soltanto dopo il 2006, riflettendo a lungo sulle cose dette dalla AGOSTINUCCI ed avendo letto anche gli atti dell’indagine, mi sono gradatamente ricordato sia delle cose di cui si parlò sia delle parole che realmente io dissi e che non erano rivelative di alcuna indagine ma solo di una voce che per caso avevo raccolto.
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Ora sono in grado di spiegare che con il Presidente, dopo che lo ebbi rassicurato riguardo ai suoi timori per la sicurezza sua e dei familiari, parlammo delle notizie riportate dalle cronache della stampa sui delitti di Firenze, l’ultimo dei quali era stato commesso appena un mese prima della morte del NARDUCCI. Ci avevano impressionato alcuni particolari riferiti dai giornali, quali lo scempio dei corpi delle vittime da cui erano state asportate parti di tessuti umani, le ferite da taglio che si evidenziavano e che i cronisti definivano molto precise.
A questo riguardo, la Sig.ra AGOSTINUCCI nelle sue dichiarazioni confonde due argomenti diversi, quando fa riferimento ai feticci di cui secondo lei io avrei parlato, laddove invece io mi riferivo ovviamente alle ferite che si evidenziavano sui corpi delle vittime dei delitti di Firenze, ricordando un particolare di cui avevano ampiamente parlato le cronache dei giornali; non feci quindi alcun riferimento ai feticci di cui si parlava a proposito della vicenda NARDUCCI.
Poi parlammo anche di altre cose e sul finire della conversazione il Presidente mi chiese se si conoscessero le cause della morte del NARDUCCI, il cui corpo era stato rinvenuto nelle acque del Trasimeno qualche giorno prima; io dissi che si ipotizzavano una disgrazia oppure più probabilmente un suicidio. Questo è quanto.
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Ora, non è pensabile che una persona rigorosa e severa come il Presidente MAZZINI, se soltanto avesse ritenuto minimamente credibili le parole che la moglie mi aveva attribuito, non sarebbe subito intervenuto chiedendomi di chiarire la cosa e riferirla poi a chi di dovere, anche perché avemmo occasione di incontrarci diverse volte come ho già detto.
Sono rimasto quindi sbalordito nell’apprendere che la sig.ra AGOSTINUCCI, invece, che peraltro partecipò solo saltuariamente alla conversazione, dopo ventuno anni da quel giorno e diversi anni dalla morte del marito, ha rilasciato al pubblico ministero, nel giugno del 2006, una dichiarazione, fraintendendo palesemente alcune mie parole pronunciate oltre venti anni prima nel momento in cui uscivo dalla sua abitazione, e scambiando così una chiacchiera a dir poco fantasiosa, che circolava a quel tempo su di una misteriosa abitazione in Firenze, ove sarebbero stati visti da ignoti dei feticci umani, per l’esito di un presunto accertamento di polizia che nessuno aveva mai fatto né io avrei avuto alcun motivo o interesse per fare.
Questo scambio di parole con la Signora avvenne in assenza del Presidente che si era temporaneamente allontanato dalla stanza ed in un momento di particolare concitazione poiché avevamo fretta di rientrare in sede, eravamo già in piedi accanto alla porta e ci stavamo accomiatando. A quel punto mentre eravamo in attesa che il Presidente rientrasse vennero fatte ancora alcune considerazioni sulla vicenda; ricordo che il mio accompagnatore parlò della giovane età del NARDUCCI e disse che era professionalmente molto stimato in città.
Io allora manifestai la mia perplessità sul fatto che in città circolassero voci fantasiose sulla vicenda, forse in ragione della notorietà del personaggio e delle particolari modalità dell’accaduto, che alimentavano la fantasia e la curiosità della gente, cosa che nella mia trascorsa esperienza investigativa mi era capitato di constatare in altre vicende importanti.
In proposito quindi per stigmatizzare questo fatto, che palesemente non aveva alcun reale fondamento, accennai ad una chiacchiera, per la verità assai vaga ed alla quale non avevo attribuito alcuna importanza, che io stesso, ma anche il mio accompagnatore, in separati contesti, avevamo raccolto in ambienti della città (ne avevamo parlato mentre ci recavano in casa MAZZINI): si diceva che in una imprecisata abitazione di Firenze, frequentata dal NARDUCCI, alcune persone avessero visto dei feticci di organi femminili e ne fossero rimaste impressionate.
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Ricordo che nel mio intimo ritenevo questa voce sui feticci priva di interesse anche sotto il profilo investigativo perché troppo vaga e generica e sicuramente frutto di fantasia. Quindi nella circostanza osservai che sarebbe stato opportuno che non fosse stata divulgata e che comunque non se ne parlasse affatto proprio per non alimentare altre chiacchiere ed evitare inutili sofferenze.
Aggiungo che io non ho mai parlato di un accertamento a Firenze, nella casa del NARDUCCI di cui ignoravo completamente l’esistenza. Ho parlato di Firenze, ma per un’altra ragione: infatti quella mattina, appena giunto dai MAZZINI, essendo imbarazzato in quanto per un banale disguido ero giunto in ritardo all’incontro stabilito per le ore 11.00 con il Presidente, trovai una scusa e dissi genericamente che in sede c’era stato molto da fare per i noti fatti della vicenda NARDUCCI e poi aggiunsi, per rendere la cosa più credibile, che proprio in quei giorni avevamo dovuto assistere alcuni investigatori venuti da Firenze per un controllo su dei dati raccolti durante le indagini che essi avevano svolto per i delitti avvenuti in quella città. Mi venne in mente questa cosa di Firenze, che non mi riguardava, perché sapevo che effettivamente qualche tempo prima erano venuti da Firenze alcuni agenti per accertamenti vari ed erano stati assistiti dalla squadra mobile.
Soltanto quando stavo per uscire e la signora ci aveva accompagnato alla porta – il marito intanto si era allontanato – io ho parlato della voce che avevo sentito sui feticci che sarebbero stati visti in una casa in uso al NARDUCCI; io però non ho mai detto che quella mattina venivo da Firenze, né di esserci mai stato, né tantomeno ho detto di aver rinvenuto o visto dei feticci.
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D’altronde la stessa Signora conferma che quella mattina giungemmo a casa sua intorno alle 11.30: e allora dove avremmo trovato il tempo per recarci a Firenze, trovare la casa, svolgere l’ispezione, rientrare a Perugia e recarci a casa sua? Sarebbe stato materialmente impossibile.
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Si tratta dunque soltanto di parole fraintese, di chiacchiere del tutto occasionali fra persone che appena si conoscevano e che probabilmente hanno dato luogo ad equivoci e fraintendimenti.
A questo riguardo vorrei anche chiarire che la quarta persona presente all’incontro con i MAZZINI, tale MARIO DE SANTIS, non era affatto un mio collega, come suppose l’AGOSTINUCCI, bensì un agente della polizia postale che si trovava lì solo per caso poiché mi aveva accompagnato in sostituzione dell’autista dell’ufficio, tale TODINI MAURO, che quel giorno si era momentaneamente allontanato.
Il DE SANTIS veniva dal palazzo delle poste ove prestava servizio presso il nucleo della polizia postale ed era capitato in Questura per farmi firmare la corrispondenza dell’ufficio, cosa che periodicamente faceva essendo io anche sovrintendente di quell’ufficio.
Di questa persona non avevo parlato quando venni sentito nel 2006 dal P.M. poiché dopo oltre 20 anni non mi ricordavo affatto che nelle due visite a casa MAZZINI mi avessero accompagnato due persone diverse; l’avevo infatti confuso con il TODINI MARIO, l’autista che la prima volta mi accompagnò effettivamente.
Me ne ricordai solo più tardi poiché la signora AGOSTINUCCI parlava del mio accompagnatore come di una persona con la quale io avevo grande familiarità; mi ricordai così del DE SANTIS che era mio paesano e che conoscevo da molti anni.
Peraltro sia il TODINI che il DE SANTIS sono deceduti da molti anni prima ancora che si aprisse l’indagine.
Infine mi si permetta una considerazione: è credibile che io con una lunga esperienza di polizia giudiziaria, se per assurda ipotesi senza alcun plausibile motivo fossi andato in gran segreto alla ricerca dei misteriosi feticci di cui si parla e li avessi rinvenuti, omettendo peraltro di riferire la cosa a chi di dovere, mi sarei poi precipitato senza alcuna ragione a spiattellare la cosa in casa del dott. MAZZINI, un magistrato di cui ben conoscevo la severità e il rigore morale e che era in contatto con tutto il palazzo di giustizia, con il rischio di essere incriminato, e poi ne avrei parlato proprio in casa della persona che si accingeva ad un autorevole intervento in mio favore, proprio in virtù della stima per la mia correttezza professionale e per la fiducia che riponeva in me? Che senso avrebbe tutto ciò? Vedi: Sentenza Micheli Pag. da 728 a 734