Vigna, dal Mostro ai Georgofili: la sua firma sulle grandi inchieste

Firenze, 29 settembre 2012 – UOMO di grande cultura, fine giurista, ‘sbirro’ nell’animo dicevano di lui i ragazzi della scorta, tutti carabinieri, con grande ammirazione. Appassionato cacciatore, capace di tirare tardi per una partita di scopone o di tresette. Tirare tardi? In verità Piero Luigi Vigna non aveva orari. I terroristi più volte avevano cercato di tenerlo d’occhio e di studiare le sue abitudini. L’unica abitudine che aveva era quella di non averne eccetto quella di girare armato anche per andare a prendere un caffè. Succedeva che andasse a letto a mezzanotte dopo aver lavorato tutto il giorno in procura e la notte alle tre vederlo chiamare il caposcorta per farsi accompagnare nelle carceri di mezza Italia a interrogare un detenuto. Magari solo perchè mentre si rigirava tra le coperte gli era venuta un’intuizione, un’idea e voleva controllarla subito. Aveva una capacità di memoria incredibile, era in grado di ricordare annotazioni di un rigo tra centinaia di migliaia di pagine lette, ed era in grado di collegare episodi appesi nel nulla con un esile filo d’inchiostro. Le inchieste le scriveva a mano o alla macchina da scrivere, foglio su foglio con grafia minuta. Solo la firma era svolazzante.E nelle richieste al giudice istruttore, prima, al gip dopo la riforma, era minuzioso, sagace, implacabile.

Gli occhi da cerbiatta sgranati di meraviglia di Donatella Di Rosa, ‘lady Golpe’, la donna che fece tremare i vertici militari con i suoi racconti, ancora ricordano la ‘sfida’ di Vigna che l’aveva appena fatta arrestare per calunnia e autocalunnia. Lady Golpe che faceva innamorare tanto gli uomini quanto le donne: anche una ragazza, guardia carceraria, perse la testa per lei. E fu trasferita. Lady Golpe da una parte, Vigna il grande inquisitore dall’altra, una battaglia.
Ma le battaglie più grandi sono state alcuni interrogatori. I ‘mafiosoni’ non parlano, non degnano neppure di uno sguardo chi non ha spessore. I ‘quacquaracquà’, gli ‘ominicchi’ per loro non esistono. Ecco perchè Tommaso Buscetta parlò solo con il giudice Giovanni Falcone. Ed ecco perchè è con Vigna che Gaspare Mutolo, nel 1992, comincia a collaborare con la giustizia ed è da allora che il magistrato fiorentino inizia ad occuparsi, in maniera sempre più intesa, del problema dei «pentiti».
Certo non erano dialoghi come si possono immaginare in un salotto, ma bastava un sopracciglio che si alzava, uno sguardo, un gesto come a scacciare una mosca fastidiosa per capire. Una parola è poca, due sono troppe.

E gli interrogatori dei membri dell’anomima sarda? Vigna ascoltava il silenzio — ingannando se stesso nell’illusione di smettere di fumare solo perchè spezzava le sigarette a metà — paziente come un predatore in agguato, poi lo rimandava in cella. Quindi faceva partire una perquisizione come se il detenuto avesse parlato. Incrinava la fiducia della banda nella banda. A volte è andata bene.
Proprio su un sequestratore sardo c’è un aneddoto: Vigna e Francesco Fleury avevano ricevuto la segnalazione importante relativa alla presenza di un latitante sardo in una casa colonica in Maremma. I due magistrati decisero di andare di persona sul posto a controllare e per non destare sospetti si vestirono da cacciatori. Peraltro cacciatori lo erano davvero: con un altro ex procuratore di Firenze, Antonino Guttadauro, costituivano un trio ‘venatorio’ di tutto rispetto. Dunque Vigna e Fleury organizzarono la ‘battuta’, ma al latitante: solo che quello non c’era più. L’informazione era esatta, ma arrivata in ritardo agli inquirenti.
Torniamo alla caccia. Raccontano alcuni amici che Vigna abbia affinato proprio grazie alla caccia due delle sue tante qualità di magistrato inquirente: la capacità di saper aspettare e la determinazione.

LE INCHIESTE. Quella sulla strage del 1984 sul rapido 904 fu la prima in cui si occupò a fondo della strategia della criminalità organizzata, seguendo il suo lavoro fino alla Cassazione. Ma è con l’inchiesta sulle autobombe del 1993 a Firenze, Milano e Roma che incardina alla procura di Firenze una delle indagini chiave della stagione stragista, arrivando agli ergastoli per i morti di via dei Georgofili e per le bombe di via Palestro a Milano e a San Giorgio al Velabro a Roma. Determinato come i colleghi Gabriele Chelazzi, morto nel 2003 mentre era sostituto di Vigna alla procura nazionale, e Giuseppe Nicolosi, riuscì a raccogliere il ‘pentimento’ di Mutolo e Brusca. Sono sue le inchieste sul terrorismo rosso e nero degli anni Settanta e Ottanta, gli anni che vedono sul banco degli imputati il neofascista Concutelli e gli uomini di Prima Linea, quelli dei sequestri di persona, affrontati con Francesco Fleury, fino all’inchiesta sui duplici omicidi del mostro di Firenze: una storia giudiziaria che con loro arrivò alla scoperta e alla condanna definitiva ‘compagni di merende’.
Carattere spigoloso ma netto e schietto, come la sua radice fiorentina, quando condusse inchieste su traffici di armi e droga fino alla scoperta dell’Autoparco di Milano, la procura fiorentina ebbe anche alcuni momenti di tensione con quella di Milano.
E infine l’uomo Piero Luigi Vignavedovo giovanissimo di Carolina morta in un incidente stradale sul viale dei Colli. Presidente onorario di ‘Giusta Causa’ importante associazione fiorentina che si occupa dei ‘soprusi’ in sanità, andava nelle scuole a parlare di legalità e di giustizia. E lui sapeva sempre quel che diceva.

29 Settembre 2012 Stampa: La Nazione – Vigna, dal Mostro ai Georgofili: la sua firma sulle grandi inchieste
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