Il 21 Marzo 2013 la Corte Suprema di Cassazione si pronuncia l’annullamento della sentenza del GIP Paolo Micheli impugnata dal Procuratore Giuliano Mignini e praticamente la cassa per intero.
SENTENZA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE N 39-401-13 21 3 2013
Questa la trascrizione:
394 01/13
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
UDIENZA PUBBLICA DEL 21/03/2013
SENTENZA – N. 865/2013
REGISTRO GENERALE N. 28851/2012
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ALFREDO MARIA LOMBARDI Presidente
Dott. ALDO FIALE Consigliere
Dott. RENATO GRILLO Rel. Consigliere
Dott. SILVIO AMORESANO Consigliere
Dott. SANTI GAZZARA Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PERUGIA
SPAGNOLI FRANCESCA N. IL 02/10/1960
nei confronti di:
NARDUCCI UGO N. IL 09/05/1921
NARDUCCI PIER LUCA (O PIERLUCA) N. IL 03/08/1954
TRIO FRANCESCO N. IL 02/06/1928
BRIZIOLI ALFREDO N. IL 21/08/1950
BRIZIOLI ANTONIO N. IL 04/02/1924
PENNETTI PENNELLA ADOLFO N. IL 02/08/1939
VALERI ELISABETTA N. IL 25/05/1922
NARDUCCI MARIA ELISABETTA N. IL 25/06/1959
SPEZI MARIO N. IL 30/07/1945
RINALDI GIUSEPPE N. IL 25/01/1961
DEAN FABIO N. IL 04/01/1932
CECCARELLI GIOVANNA N. IL 21/01/1959
MAGARA EMMA N. IL 03/02/1937
ZACCARIA FERDINANDO N. IL 08/03/1954
RUOCCO LUIGI N. IL 08/11/1955
DE FEO LUIGI N. IL 28/05/1935
ZOPPITELLI MARCELLO N. IL 02/04/1934
FREZZA ADRIANA N. IL 15/10/1927
CORTONA DANIELA N. IL 02/09/1947
BERNABEI GIANFRANCO N. IL 26/12/1957
inoltre:
DE FEO LUIGI N. IL 28/05/1935
avverso la sentenza n. 4057/2005 GIP TRIBUNALE di PERUGIA, del 20/04/2010
visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/03/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. P .Gente
che ha concluso per accoglimento dei ricorsi del PM e della Porte Civile
Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi i difensori Avv.ti Crini Francesco di Perugia, Falcinelli Francesco Maria di Perugia, Pomenti Pietro di Roma, Zaganelli David Perugia, Ghirga Luciano di Perugia, Spine Giovanni di Perugia, Zuccaccie Nerio di Perugia Diacci Filippo di Ravenna, Urbani Rita di Perugia, Giunti Massimo di Firenze, Pacelli Carlo di Perugia, Falcinelli Francesco (sost. Pro. dei brunelli e dei mucci), Pomanti Pietro, Urbani Rita (Sost. Pro. dei Minelli)
RITENUTO IN FATTO
1.1 All’esito dell’udienza preliminare con sentenza ex art. 425 cod. proc. pen. il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Perugia dichiarava non doversi procedere a carico di NARDUCCI Ugo, NARDUCCI Pierluca, TRIO Francesco, BRIZIOLI Alfredo, BRIZIOLI Antonio,
PENNETTI PENNELLA Adolfo, VALERI Elisabetta, NARDUCCI Maria Elisabetta, SPEZI Mario, RINALDI Giuseppe, DEAN Fabio, CECCARELLI Giovanna, MAGARA Emma, ZACCARIA Ferdinando, RUOCCO Luigi, DE FEO Luigi, ZOPPITELLI Marcello, FREZZA Adriana, CORTONA Daniele e BERNABEI Gianfranco in ordine alle imputazioni loro rispettivamente ascritte in rubrica ai capi:
1) Associazione per delinquere (artt. 416 e 61 n. 9 cod. pen., in relazione ai reati fine di cui agli artt. 412 cod. pen., 410, 413 e 411; 470, 476, 328, 411, 490-336-611-612 cpv. – reato commesso dall’8 gennaio 1985 fino al luglio 2004 imputati NARDUCCI Ugo, NARDUCCI Pierluca, TRIO Francesco, BRIZIOLI Alfredo, PENNETTI PENNELLA Adolfo e DE FEO Luigi);
2) Violenza a pubblico ufficiale e rivelazione di segreto di ufficio aggravata, in concorso (artt. 110, 336 e 110 e 326 cod. pen. – reati commessi dal 21 dicembre 2002 al 2 giugno 2004 – imputato BRIZIOLI Alfredo);
3) Favoreggiamento personale aggravato (artt. 378 61 n. 2 e 11 cod. pen. – reato commesso dal 9 luglio al 6 settembre 2002 – imputato BRIZIOLI Alfredo);
4) Calunnia aggravata in concorso (artt. 110 368 e 61 n. 11 cod. pen. – reato commesso il 18 aprile 2002 imputati BRIZIOLI Alfredo, NARDUCCI Maria Elisabetta, NARDUCCI Ugo, NARDUCCI Pierluca, BRIZIOLI Antonio e VALERI Elisabetta);
5) Patrocinio infedele e tentata frode processuale aggravata in concorso (artt. 110 380 – 374 61 n. 2 cod. pen. reati commessi tra il febbraio e l’1 maggio 2004 imputati BRIZIOLI Alfredo, TRIO Francesco, SPEZI mario e RINALDI Giuseppe);
6) Interruzione di pubblico servizio aggravata in concorso (artt. 110 340 commi 1° e 2° – 61 n. 2 cod. pen. – reato commesso dal 10-11 febbraio 2004 all’estate 2006 imputati TRIO Francesco – BRIZIOLI Alfredo – SPEZI Mario);
7) Calunnia continuata (artt. 81 cpv. e 368 cod. pen. reato commesso il 19 luglio 2002 – imputata NARDUCCI Maria Elisabetta);
8) Rivelazione di segreto di ufficio e favoreggiamento personale continuato in concorso (artt. 110 81 cpv. 326 378 cod. pen. – reati commessi dal 14 ottobre 1985 sino al 3 novembre 2004 – imputato DEAN Fabio):
9) Favoreggiamento personale e falsità ideologica commessa da privato (artt. 81 cpv. – 378 483 cod. pen. reati commessi il 16 settembre 2004 imputata CECCARELLI Giovanna);
10) Falso per soppressione e falsità in atti pubblici in concorso (artt. 110 490 e 476 cod. pen. – reati commessi dall’8 ottobre 1985 sino al mese di settembre 2005 – imputati NARDUCCI Ugo, NARDUCCI Pierluigi, TRIO Francesco, PENNETTI PENNELLA Adolfo);
11) Falso giuramento e violenza a pubblico ufficiale aggravata (artt. 377 336 comma 1° e 339 cod. pen. – reati commessi in epoca imprecisata dalla primavera 2002 sino ad epoca successiva al mese di novembre 2005 imputato BRIZIOLI Alfredo);
12) Calunnia aggravata continuata, violenza a pubblico ufficiale ed interruzione di pubblico servizio (artt. 81 cpv., 368, 61 n. 10, 336, 340 cod. pen. – reati commessi dall’1 febbraio 2005 al 30 settembre 2005 imputato BRIZIOLI Alfredo);
13) Falsa testimonianza (art. 372 cod. pen. imputata MAGARA Emma); reato commesso il 25 novembre 2005
14) Calunnia aggravata e diffamazione in concorso (artt. 110 368 1° e u.c. cod. pen. 595-61 n. 2 cod. pen. – reati commessi il 19.2.2006 con la recidiva specifica per SPEZI Mario e specifica reiterata infraquinquennale per RUOCCO Luigi);
15) False dichiarazioni al P,.M. (art. 371 bis cod. pen. reato commesso il 29 dicembre 2003 imputato ZOPPITELLI Marcello);
18) False dichiarazioni al P,.M. (art. 371 bis cod. pen. reato commesso il 4 maggio 2005- imputata FREZZA Adriana);
19) Favoreggiamento personale (art. 378 cod. pen. reato commesso il 20 novembre 2003 imputata CORTONA Daniela);
20) Favoreggiamento personale (art. 378 cod. pen. reato commesso il 15 dicembre 2004 imputato BERNABEI Gianfranco – reato erroneamente indicato come sub capo 19).
1.2 In particolare, con la sentenza suddetta il GUP dichiarava non doversi procedere ex art. 425 comma 1 cod. proc. pen. in ordine al reato sub 1) perché il fatto non sussiste; in ordine alla imputazione sub 2) perché il fatto non sussiste (quanto alla contestazione di rivelazione di segreto di ufficio) e perché il fatto non costituisce reato (quanto alla contestazione di violenza a pubblico ufficiale); in ordine alla imputazione sub 3), perché il fatto non sussiste; in ordine alle imputazioni sub 5), 6), 8) 9), 10) e 11), perché i fatti non sussistono; in ordine all’imputazione sub 12) e 13) perché i fatti non costituiscono reato; in ordine alla imputazione sub 15) per essere l’imputato non punibile per intervenuta ritrattazione ex art. 376 cod. pen.; in ordine alla imputazione sub 20), perché i fatti non sussistono.
1.3 Dichiarava, inoltre, non luogo a procedere ex art. 425 comma 3 cod. proc. pen. in ordine alla imputazione sub 14) perché i fatti non sussistono quanto al favoreggiamento ed alla calunnia tentata contestati all’imputato RUOCCO Luigi e perché il fatto non costituisce reato (quanto alla calunnia contestata al predetto RUOCCO Luigi); in ordine alla imputazione sub 18) perché il fatto non costituisce reato; in ordine alla imputazione sub 19), perché il fatto non costituisce reato.
1.4 Infine dichiarava non luogo a procedere ex art. 425 e 129 comma 2 cod. proc. pen. in ordine alle imputazioni sub 4) e 7) perché i fatti non costituiscono reato.
2 Avverso la detta sentenza hanno proposto ricorso il Procuratore della Repubblica e la parte civile SPAGNOLI Francesca.
2.1 II P.M., dopo aver censurato in linea generale la sentenza impugnata per violazione di legge art. 425 cod. proc. pen.) per avere il giudice emesso un sentenza contenente valutazioni di merito in realtà riservate alla fase dibattimentale, senza quindi l’osservanza della regola generale dell’art. 425 del codice di rito basata sulla natura processuale dell’udienza preliminare, censura, in particolare, la decisione impugnata per omessa motivazione con specifico riguardo ai punti della sentenza riguardanti le statuizioni sub capi 1), 2), 3), 4), 5), 6), 7), 8), 9), 10), 11); 12), 13) 14), 19) e 20): in particolare, lamenta che il giudice dell’udienza preliminare, anzichè limitarsi ad esprimere una valutazione di tipo prognostico circa la sostenibilità dell’accusa nella successiva fase dibattimentale, ha operato per ciascuno dei reati di cui sopra ad un giudizio di merito inammissibile anche dopo la riforma dell’art. 425 avvenuta con la L. n. 105/93, per di più incorrendo nel vizio di contraddittorietà laddove ha adottato la formula della assoluzione perché il fatto non costituisce reato in contrasto con la natura tipica del giudizio prognostico proprio dell’art. 425 cod. proc. pen. Sotto il profilo della carenza assoluta di motivazione e sua manifesta illogicità, critica la tesi, fatta propria dal GUP in modo apodittico e sulla base di conclusioni a titolo personale, del suicidio quale causa della morte di NARDUCCI Francesco, laddove le emergenze processuali portavano alla opposta conclusione dell’omicidio come ipotizzato dall’Accusa. Censura, ancora, la decisione del GUP in merito alla teoria del cd. “doppio cadavere”. Censura, per illogicità manifesta e contraddittorietà, i singoli punti oggetto delle contestazioni sub 2), 3), 4), 5), 6), 7), 8), 9), 10), 11); 12), 13) 14), 19) e 20).
2.2 Nello specifico osserva, con riferimento alle singole imputazioni, che, in modo del tutto illogico, pur prospettandosi lo stesso GUP dubbi che avrebbero dovuto imporre il rinvio alla fase dibattimentale, in modo del tutto irragionevole e incomprensibile, egli ha optato per il proscioglimento, ricorrendo persino a formule incongrue come nel caso delle imputazioni sub 4) e 19), in cui è pervenuto ad una decisione di merito e non, come doveroso, ad una decisione di tipo prognostico in vista del passaggio alla fase dibattimentale, senza alcun accenno ad una eventuale inutilità di tale fase.
2.3 Con un secondo motivo, il P.M. denuncia – con riferimento al reato di cui al capo 18) omessa motivazione e, comunque, sua manifesta illogicità, per non avere il GUP tenuto conto delle dichiarazioni rese al P.M. il 4 maggio 2005 da FREZZA Adriana e dei contenuti della intercettazione di una conversazione intercorsa tra la stessa e MIRIANO Teresa: vizio tanto più
grave, avendo il GUP riportato per intero la conversazione tra le due donne e le dichiarazioni della FREZZA al P.M., con conseguente ulteriore vizio di travisamento della prova con riguardo alla reticenza mostrata da FREZZA Adriana.
2.4 Con un terzo motivo il P.M. denuncia erronea applicazione della legge penale con riferimento alla ritenuta non punibilità di ZOPPITELLI Marcello per quanto attiene alla imputazione sub 15), avendo il GUP ritenuto applicabile la specifica causa di non punibilità della ritrattazione, in realtà non configurabile.
2.5 Con un quarto motivo il P.M. deduce omessa motivazione con riferimento al reato di cui al capo 14), per non avere il Giudice tenuto conto alcuno del contenuto della intercettazione della conversazione intercorsa tra SPEZI Mario e il giornalista PERQUEDDU Mario.
2.6 Con un quinto motivo il P.M. denuncia manifesta illogicità della motivazione e contraddittorietà tra la parte motivazionale della sentenza ed il dispositivo con riguardo alla imputazione sub 19) riguardante CORTONA Daniela, nonchè la contraddittorietà della motivazione offerta sul punto.
2.7 Con un sesto motivo il P.M. denuncia, in riferimento alla imputazione di cui al capo 1) (associazione per delinquere), illogicità manifesta della motivazione e contraddittorietà tra la parte motivazionale e il dispositivo, in relazione alla ritenuta irrilevanza, ai fini del decidere dell’ipotesi omicidiaria, della teoria del “doppio cadavere” e del pregresso coinvolgimento del defunto NARDUCCI Francesco in omicidi di coppie in Firenze: vengono, in particolare, evidenziate gravi contraddittorietà ed illogicità non solo all’interno della parte motivazionale della sentenza, ma anche tra la motivazione ed il dispositivo.
2.8 Con un settimo motivo il P.M. denuncia analoghi vizi di manifesta illogicità e contraddittorietà tra la parte della sentenza riguardante le statuizioni relative ai capi di imputazione sub 1) e quelle di cui ai capi di imputazione sub 4) e 7) (il riferimento è alla teoria del cd. “doppio cadavere” ed al coinvolgimento del defunto NARDUCCI in omicidi di coppie appartate in auto avvenuti in Firenze nel decennio 1975-1985, in quanto tesi negate nel capo 1) e poi ammesse in occasione dell’esame delle imputazioni sub 4) e 7).
2.9 Con un ottavo motivo il P.M. denuncia analogo vizio tra le pronunce di cui al capo di imputazione sub 1) e quelle di cui ai capi di imputazione sub 2) e 4) in relazione alla esecuzione del programma associativo, associativo, esclusa con riferimento al capo 1) e incomprensibilmente mantenuta per i capi 2) e 4). In sostanza, mentre con riferimento al reato associativo il GUP afferma che i fatti non sussistono, poi, in modo del tutto contraddittorio, quanto ai reati sub 2) e 4) inseriti nel programma associativo, il GUP afferma che i fatti non costituiscono reato, escludendo, quindi, l’elemento soggettivo del reato in contrasto con la prima decisione.
2.10 Conseguentemente il P.M. ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata, senza rinvio, per quanto riguarda i reati di cui ai capi 5), 6), 15), 19), 4) e 7) (con eccezione di BRIZIOLI Alfredo, in riferimento ai reati relativi ai capi 4), 5), 6) e 7), avendo l’imputato espressamente rinunciato alla prescrizione; l’annullamento con rinvio per i reati di cui ai capi 1), 2), 3), 4), 6), 7) per il solo BRIZIOLI Alfredo), 8), 9), 10). 11), 12) 13), 14), 18) e 20).
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3. La parte civile costituita SPAGNOLI Francesca (vedova del defunto NARDUCCI Francesco), con il proprio ricorso deduce due distinti vizi tra loro interconnessi con esclusivo riferimento alla pronuncia di non luogo a procedere limitatamente al reato di cui al capo 1) (associazione per delinquere). Il primo, sostanzialmente coincidente con la principale censura di tipo generale mossa dal ricorrente Pubblico Ministero, concerne la violazione ed erronea applicazione della legge processuale penale nonchè contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in quanto il giudice dell’udienza preliminare, anzichè limitarsi ad esprimere una valutazione di tipo prognostico circa la sostenibilità dell’accusa nella successiva fase dibattimentale, ha operato per il reato associativo un giudizio di merito del tutto inammissibile anche dopo la riforma dell’art. 425 avvenuta con la L. n. 105/93. Secondo tale impostazione difensiva il GUP, nel procedere oltre il compito proprio dell’udienza preliminare, è incorso in numerose incongruità e contraddittorietà nel suo percorso argomentativo, rivalutando e rivisitando secondo una ricostruzione dei fatti operata in modo personalissimo e svincolata dalla realtà procedimentale – le risultanze delle indagini, senza tenere conto dei risultati obiettivi emersi dalle consulenze medico-legali e delle varie dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti, sino a formulare un suo personalissimo giudizio sulle cause della morte di NARDUCCI Francesco, a suo dire attribuibili al suicidio e non, come ipotizzato dall’accusa, all’omicidio. In questo senso, la motivazione è anche affetta da vizio di contraddittorietà nella misura in cui il GUP, pur partendo dalla considerazione dell’esistenza di elementi non certi che potessero giustificare la pronuncia di non luogo a procedere, ha ugualmente ed irragionevolmente emesso una decisione di tal fatta. Il secondo motivo, che in realtà costituisce una sorta di corollario del primo, afferisce alla omessa, contraddittoria e manifestamente illogica motivazione relativamente alla tesi del suicidio propugnata dal GUP che ha, in modo illogico, escluso sia l’ipotesi dell’omicidio che quella del cd. “doppio cadavere”. Lamenta la parte civile la manifesta illogicità del percorso argomentativo in relazione, soprattutto, alla natura dei giudizi espresso dal GUP basati su proprie personalissime teorie sganciate dalla realtà procedimentale e in aperto contrasto con i risultati delle consulenze medico-legali e degli esami autoptici.
- Gli imputati DE FEO Luigi, ZOPPITELLI Marce e RINALDI Giuseppe, a mezzo dei rispettivi difensori, hanno presentato memorie con le quali, premesso che il GUP ha esattamente osservato le regole proprie della udienza preliminare e del suo esito, affermano che la sentenza emessa è stata pronunciata nel rispetto delle regole proprie della sentenza ex art. 425 cod. proc. pen.. Nessuna violazione di legge o sua inosservanza è dato riscontrare secondo gli imputati predetti – nelle statuizioni relativamente ai capi impugnati dal Pubblico Ministero e dalla parte civile, i cui ricorsi debbono, pertanto, ritenersi infondati con conseguente conferma della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
- Pur non potendosi nascondere l’estrema complessità della vicenda processuale comprovata da numerosi dati tra i quali il rilevante numero degli imputati, la intrinseca complessità e specificazioni di molti capi di imputazione; il loro rilevante numero; il tempo occorso per la definizione del procedimento nella sua fase preliminare; la stessa inconsueta corposità della sentenza oggetto di esame, deve concordarsi con il P.M. e con la parte civile ricorrente in un grave errore di fondo che vizia l’intera sentenza (anche se da ciò non discende quale conseguenza automatica l’accoglimento integrale del ricorso per quanto si dirà in seguito): con la decisione qui impugnata il GUP ha indubbiamente travalicato i limiti assegnatigli dal legislatore in relazione all’esito della udienza preliminare ed alle regole (processuali) cui deve obbedire la sentenza di non luogo a procedere. E tanto va affermato anche dopo l’intervento a più riprese del legislatore che, prima con la L. n. 105 dell’8 aprile 1993 (art. 1) e successivamente, con la L. n. 479 del 16 dicembre 1999 ha profondamente innovato la struttura della sentenza di non luogo a procedere: con la prima delle due cennate disposizioni è stato soppresso l’originario inciso “evidente” contenuto nella seconda parte dell’originario comma 1 dell’art. 425 ed è stato, conseguentemente, ampliato lo spatium deliberandi del GUP relativamente alle ipotesi di emissione di sentenze di non luogo a procedere un tempo pronunciabili soltanto nella ipotesi della evidenza che il fatto non sussiste o che non costituisce reato o che l’imputato non lo ha commesso ovvero che si tratta di soggetto non imputabile o non punibile (ipotesi, queste ultime due, per le quali era già intervenuta la Consulta con la sentenza n. 41 del 10.2.1993 con la quale era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di tale parte della norma laddove si affermava che il giudice poteva pronunciare sentenza di non luogo a procedere quando risultava evidente che l’imputato era persona non imputabile).
1.2 Con la seconda, ancor più incisiva riforma del 1999, è stato ridisegnato l’intero impianto dell’udienza preliminare e della sentenza di non luogo a procedere con la previsione per quanto qui rileva in aggiunta all’originario primo comma nella sua formulazione successiva al 1993, di ulteriori due commi che consentono, rispettivamente, al giudice di tenere conto delle circostanze attenuanti, secondo i criteri di cui all’art,. 69 cod. pen. ai fini della emissione della sentenza di non luogo a procedere di cui al comma 1 dell’art. 425 e di pronunciare la sentenza di non luogo a procedere “anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio”. 2. Tanto premesso in merito ai riferimenti normativi, tenuto conto dei contenuti dei due ricorsi sostanzialmente sovrapponibili nella loro generale impostazione, si ritiene doveroso, prima di affrontare le ragioni poste alla base delle due impugnazioni, svolgere alcune considerazioni generali sulla natura e sull’inquadramento sistematico della sentenza di non luogo a procedere pronunziata all’esito dell’udienza preliminare e sui relativi approdi giurisprudenziali in esito alle riforme legislative di cui si è fatto dianzi cenno.
2.1 Richiamate le riforme apportate dalla legge del 1993 e da quella del 1999, può, anticipandosi le conclusioni di tale riflessione, confermarsi che nella sua struttura fondamentale l’istituto dell’udienza preliminare e le finalità che essa si prefigge sono sostanzialmente rimaste immutate rispetto all’istituto come disegnato con l’entrata in vigore del nuovo codice Vassalli del 1989.
2.2 Nata con funzione di filtro per evitare inutili ed antieconomici passaggi alla fase dibattimentale con inevitabile spreco di energie e dispendio di risorse, l’udienza preliminare aveva ben presto tradito le ambiziose attese del legislatore che aveva previsto, nella sua lungimiranza, una percentuale davvero risibile (dal 5% al 10%) di processi da definire nella fase dibattimentale, arrestandosi la restante parte alla fase precedente al giudizio pubblico: ciò in quanto le maglie di questo filtro si erano rivelate assai larghe, attesa la estrema rigidità delle ipotesi di sentenza di non luogo a procedere con la quale poteva essere definita la fase preprocessuale: rigidità dovuta alla presenza della parola “evidente” legata alla insussistenza del fatto ovvero alla estraneità ad esso dell’imputato ovvero alla assenza di uno degli elementi costitutivi del reato rappresentato dal dolo o dalla colpa. Anomalia tanto più singolare ove si pensi che l’istituto della archiviazione (anche questo pensato con la finalità di definire anticipatamente la fase delle indagini onde evitare inutili code dibattimentali ed ancor prima la stessa fase dell’udienza preliminare), si presentava, seppure con caratteristiche diverse rispetto alla sentenza ex art. 425 cod. proc. pen., con uno spettro decisionale più ampio rispetto alla sentenza “processuale”.
2.3 Con i primi mutamenti apportati attraverso la soppressione dell’aggettivo “evidente” cambia la regola di giudizio che dà una più concreta ed efficace attuazione alle finalità di filtro dell’udienza preliminare in quanto viene consentita la conclusione dell’udienza preliminare anche nelle ipotesi di assenza dell’evidenza dell’innocenza richiesta dalla precedente normativa.
2.4 La legge n. 479/99 (altrimenti nota come legge Carotti) – come precedentemente accennato – apporta modifiche strutturali di ampio respiro all’udienza preliminare (ma non solo ad essa, laddove viene rivoluzionato il sistema del giudizio abbreviato), non solo prevedendo peculiari ipotesi – prima sconosciute di epiloghi dell’udienza preliminare, ma ampliando in modo consistente i poteri istruttori del giudice (tanto da paventarsi da più parti il ritorno alla criticata figura del giudice istruttore).
2.5 E tuttavia, come notato dai primi commentatori ed avallato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi all’indomani di questa maxi-riforma, la regola di giudizio finale non può dirsi mutata: condizioni o presupposti per la sua pronuncia sono rimasti identici rispetto a quelli previsti dopo l’entrata in vigore della L. n. 105 del 1993 così come l’impalcatura complessiva dell’udienza preliminare che mantiene la sua originaria natura processuale e non di merito. Né il mutamento di terminologie quali, ad es. l’integrazione probatoria di cui all’art. 422 cod. proc. pen., in sostituzione delle vecchie sommarie informazioni di cui al precedente art. 421 hanno determinato la virata verso una assimilazione dell’udienza preliminare a quella dibattimentale o di merito, pur essendo state introdotte modifiche sostanziali che all’istituto (si pensi, per esempio, alla previsione dell’incidente probatorio anche nella fase dell’udienza preliminare a seguito degli interventi della Consulta). E’, infatti, lo scopo cui l’udienza preliminare è preordinata a rimanere invariato: quello, cioè, di evitare i dibattimenti inutili, e non di accertare la colpevolezza o innocenza dell’imputato tipica del giudizio dibattimentale nella pienezza e pubblicità del contraddittorio inter partes.
2.6 Né tale impostazione può dirsi cambiata in relazione alla possibile evoluzione dell’udienza preliminare attraverso l’acquisizione di prove favorevoli all’imputato, in quanto l’ottica che caratterizza il proscioglimento ex art. 425 cit. era ed è sempre la stessa: solo ove la situazione di innocenza sia ritenuta non superabile in dibattimento dall’acquisizione di quelle nuove prove o da una diversa e possibile rivalutazione degli elementi di prova già acquisiti sarà possibile l’epilogo decisorio previsto dall’art. 425.
2.7 Tanto porta a ritenere la natura processuale e non di merito della sentenza di non luogo a procedere, essendo riservato al GUP il potere di pronunziare una sentenza del genere soltanto in quei casi nei quali non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa invece pervenire ad una diversa soluzione.
2.8 Nemmeno può ritenersi decisiva la previsione di nuove formule aggiuntive di proscioglimento enunciate nel comma 3 dell’art. 425 cod. proc. pen. che prevede la pronunzia della sentenza di n.l.p. “anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contradditori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio”.
2.8 Pur trattandosi, almeno in apparenza, di una formula simile a quella contenuta nell’art. 530 cpv. cod. proc. pen. che indica le formule assolutorie di merito, all’esito del giudizio dibattimentale in cui la prova è risultata incerta o contraddittoria è proprio il riferimento alla inidoneità degli elementi acquisiti a “sostenere l’accusa in giudizio” che costituisce il discrimen tra l’udienza preliminare e l’udienza dibattimentale ed i rispettivi epiloghi decisori. Nel primo caso l’obiettivo da perseguire resta sempre quello della superfluità del giudizio dibattimentale e la cristallizzazione degli elementi tale, nella fase dell’udienza preliminare, da impedire una evoluzione diversa dal proscioglimento nella fase successiva: insufficienza e contraddittorietà degli elementi debbono possedere il connotato della insuperabilità nel giudizio dibattimentale, nel senso che la situazione accertata in quella fase preprocessuale non deve poter essere considerata suscettibile di chiarimenti o sviluppi nel giudizio dibattimentale: la valutazione del giudice rimane quindi un mero giudizio prognostico
2.9 Tale orientamento, unanimemente condiviso dalla dottrina processual-penalistica ha trovato conferme decisive, anzitutto, nella giurisprudenza della Corte Costituzionale formatasi già prima della riforma del 1999 (la quale, in sostanza, rappresenta il frutto di una elaborazione giurisprudenziale iniziata dopo l’emanazione della legge n. 105/93). Con la sentenza 15 marzo 1996 n. 71 il Giudice delle leggi ricordava, infatti, come “l’apprezzamento del merito che il giudice è chiamato a compiere all’esito della udienza preliminare non si sviluppa, infatti, secondo un canone, sia pur prognostico, di colpevolezza o di innocenza, ma si incentra sulla ben diversa prospettiva di delibare se, nel caso di specie, risulti o meno necessario dare ingresso alla successiva fase del dibattimento”, così ribadendo la natura processuale della sentenza di non luogo a procedere, anche dopo le modifiche subite dall’art. 425 c.p.p., destinata “a paralizzare la domanda di giudizio formulata dal Pubblico Ministero”.
2.10 Sulla stessa linea si colloca la giurisprudenza di questa Corte già all’indomani della maxi-riforma del 1999 (tra le più importanti si segnala Sez. 6^, 16.11. 2001 n. 42275, Acampora, Rv. 221303 e Sez. Un. 30.10.2002 n. 39915, Vottari, Rv. 222602, la cui massima testualmente si esprime in questi termini: “Anche dopo le modificazioni alla disciplina dell’udienza preliminare introdotte dalla legge 16 dicembre 1999 n. 479, al giudice investito della richiesta di riesame di una misura cautelare personale la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza non è preclusa dalla sopravvenienza del rinvio a giudizio dell’imputato per il reato in ordine al quale tale misura è stata applicata, non risultando alterata la portata della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 309 cod. proc. pen. intervenuta con sentenza 15 marzo 1996 n. 71 della Corte costituzionale.”.
2.11 Di seguito è stato un susseguirsi di conferme di tale impostazione; gli approdi più recenti testimoniano l’esattezza del rilievo laddove si ribadisce la regula juris di un preciso significato processuale della formula contenuta nel comma 3 dell’art. 425 citato che ancora la possibilità di emettere la sentenza di non luogo a procedere in presenza di elementi insufficienti o contraddittori soltanto quando tali elementi “siano comunque inidonei a sostenere l’accusa in giudizio” (Sez. 5^ 15.5.2009 n. 22864, P.G. in proc. Giacomin, Rv. 244202; v. anche Cass. Sez. 4^ 18.4.2007 n. 264100, Giganti ed altri, Rv. 236800).
2.12 Così come vengono ulteriormente precisati i limiti del GUP nella definizione dell’udienza preliminare ricordandosi: a) che il giudice, in tale segmento procedimentale, non è chiamato a valutare l’innocenza o colpevolezza dell’imputato, bensì ad esprimersi sulla impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio di guisa che la valutazione di elementi (di prova) o prove favorevoli all’imputato valgono solo a confortare la tesi della superfluità dibattimentale e della correlata insuperabilità degli elementi oggetto di valutazione nella fase preprocessuale nella fase successiva (tra le tante, Sez. 6^ 27.11.2012 n. 5049, P.NM. in proc. cappello ed altri, Rv. 254241); b) che la sentenza di non luogo a procedere mantiene sempre, ad onta delle modifiche intervenute nel 1999, la sua natura processuale e non di merito (così Sez. 2^ n. 3180, P.M. in proc. Furlan ed altro, Rv. 254465); c) che, a differenza della sentenza di proscioglimento di cui all’art. 10 comma 2 della L. n. 46/06, la sentenza di non luogo a procedere di cui all’art. 425 cod. proc. pen. ha caratteristiche sue proprie che ne impediscono il suo assoggettamento alla disciplina prevista dalla legge 46 cit. (Sez. 6^ 9.4.2008 n. 16365, P.M. in proc. Roiati ed altri, Rv. 239645; Sez. 7^ 10.10.2008 n. 40968, P.M. in proc. Rizzo, Rv. 241487).
2.13 In parallelo con tali affermazioni va anche osservato che il controllo in sede di legittimità sulla motivazione della sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 del codice di rito deve avere quale oggetto la riconoscibilità del criterio prognostico adottato dal GUP, al fine di escludere la sostenibilità dell’accusa in giudizio in relazione al compito affidato al giudice di procedere ad una valutazione sommaria delle fonti di prova offerte dal P.M. e non la valutazione della consistenza probatoria di tali elementi (così tra le tante, Cass. Sez. 5^ 18.3.2010 n. 15364, Caradonna e altri, Rv. 246874; più di recente, Sez. 6^ 17.7.2012 n. 33921, P.C. in proc. Rolla, Rv. 253127).
2.14 In conclusione, deve ribadirsi il concetto che il proscioglimento (rectius la sentenza di n.l.p.) deve essere escluso tutte le volte che ci si trovi in presenza di fonti di prova che si prestano ad una molteplicità ed alternatività di soluzioni suscettibili di futuri sviluppi e processualmente “aperte”, con la conseguenza che il giudizio di innocenza deve rispondere non già ad una valutazione di merito e nel merito del procedimento ma a finalità di tipo processuale riferite alla prevedibile impossibilità di un diverso esito nella fase dibattimentale rispetto alla fase preprocessuale. E’, insomma, il criterio della inutilità o superfluità del dibattimento a regolamentare i poteri decisori del GUP e non il criterio della valutazione, di tipo sostanziale e propria della fase del merito, della innocenza o colpevolezza.
2.15 D’altro canto, a voler seguire la strada della potere riservato al GUP – in relazione all’ampio spettro di possibili soluzioni adottabili all’esito dell’udienza preliminare – di una decisione tipica del giudice di merito, si rischierebbe di violare la regola del giudice naturale precostituito per legge e della sede, altrettanto naturale, in cui tale giudizio deve essere espresso, finendo, in ultima analisi, con il pregiudicare l’intera legalità dell’accertamento.
2.16 Come osservato correttamente dal P.G. requirente, la valutazione della prova nella misura in cui ciò avvenga in maniera esorbitante dai limiti suoi propri, da parte del GUP – viene sottratta al giudice naturale (il giudice del dibattimento), il solo deputato ad operare valutazioni decisorie nell’ambito di una dialettica dibattimentale formatasi attraverso il contraddittorio pieno e nel rispetto di una evoluzione del processo che tenga conto del progressivo formarsi della prova: di fatto il GUP, espandendo a dismisura i propri poteri decisori, agisce al di fuori dei limiti giurisdizionali finendo, oltretutto, con il comprimere non solo il diritto alla prova da parte dell’Accusa ma anche i diritti della difesa e delle eventuali altri parti processuali in quanto si arroga di prerogative che non gli competono, svincolate come sono dalla prospettiva della utilità dibattimentale.
2.17 Ovvio, però, che laddove la valutazione da parte del GUP consenta di pervenire con
certezza alla impossibilità di soluzioni alternative future diverse dal proscioglimento (nel senso processuale sopra indicato) sulla base di una corretta valutazione prognostica, il giudice sarà tenuto a pronunciare una sentenza liberatoria che ha però, sempre, un limite (sconosciuto alla
sentenza di merito) rappresentato dalla revocabilità della decisione ex art. 434 cod. proc. pen.
e che vale a differenziare nettamente la natura della sentenza ex art. 425 cod. proc. pen. dalla
sentenza dibattimentale o comunque conclusiva di una fase di merito (come, ad es. la sentenza a seguito di giudizio abbreviato nella fase dell’udienza preliminare così trasformata). La prima, oltre ad essere soggetta ad impugnazione secondo lo schema proprio dell’art. 428
cod. proc,.
pen,. è sottoposta al rischio – in costanza di determinate condizioni (sopravvenienza o scoperta di nuove fonti di prova tali da determinare da sole o in aggiunta
alle fonti già acquisite, il rinvio a giudizio) della revoca ex art. 434 cod. proc. che rende, di
fatto, la sentenza ex art. 425 insuscettibile di passare in giudicato: ipotesi, come detto, esclusa
radicalmente per le sentenze dibattimentali o di merito in generale.
- Per completezza si ritiene di affrontare in questa sede anche il profilo riguardante la
possibilità di impugnazione della sentenza di non luogo a procedere da parte della parte civile.
3.1 Va subito detto che il nuovo testo dell’art. 428 c.p.p., come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 4, autorizza la persona offesa – e non il soggetto danneggiato dal
reato – che sia costituita parte civile a ricorrere in Cassazione contro la sentenza di non luogo
a procedere. Il testo antecedente alla riforma non consentiva alla parte civile – se non nella limitatissima ipotesi della nullità della sentenza di non luogo a procedere per violazione dell’art. 419 comma 7 in relazione ai commi 1 e 4 del medesimo articolo (ipotesi peraltro rimasta oggi per la persona offesa non costituita parte civile) la possibilità di ricorrere per cassazione, come espressamente riconosciuto dalla seconda parte del comma 2 dell’art. 428 che consente alla parte civile di ricorrere nelle ipotesi contemplate dall’art. 606 cod. proc. pen.
3.2 La giurisprudenza formatasi all’indomani della riforma si era interrogata circa i limiti che soffre l’eventuale decisione di annullamento in sede di legittimità: se cioè, si debba
trattare di annullamento ai soli effetti civili ovvero anche ai fini penali.
3.3 Al quesito, non scevro di importanti conseguenze soprattutto in ordine alla individuazione del giudice competente in sede di rinvio secondo il genere di soluzione adottato, è stata data risposta positiva nel senso che la disposizione codicistica è dettata in funzione di una tutela degli interessi penali della persona offesa tanto più ove si consideri che un’ampia categoria di potenziali parti civili (i soggetti danneggiati dal reato) è esclusa dalla possibilità del ricorso: circostanza che conferma la tesi iniziale della dottrina e della giurisprudenza (Sez. 5^,
11
s
9.2.2007 n. 5698, Reggiani, Rv. 235864) della tutela degli interessi penali della persona offesa: essa che rappresenta un soggetto del processo nella misura in cui si costituisce parte civile e del procedimento penale è strettamente connessa al danno criminale nascente dal
reato il danno criminale.
3.4 La differenza di regime tra le due discipline (quella ante-riforma e quella post-riforma) giustifica la tesi dell’interesse penale perseguito dalla parte civile anche nella fase dell’udienza preliminare, posto che solo dal rinvio a giudizio la parte civile può ottenere un vantaggio costituito dalla possibilità di tutelare i propri diritti nella sede non propria. Si è quindi affermato che l’interesse tutelato da questa impugnazione non riguarda (se non indirettamente) l’azione civile, ma l’azione penale dalla quale soltanto la parte civile può ottenere il vantaggio
perseguito.
3.5 In prosecuzione con tale orientamento si colloca la decisione delle SS.UU. che con la sentenza 29.5.2008 n. 25695, P.C. in proc. D’Eramo, Rv. 249702, ha affermato il principio che “Il ricorso per cassazione della persona offesa costituita parte civile contro la sentenza fi non luogo a procedere, emessa all’esito dell’udienza preliminare, è proposto, dopo le modifiche introdotte dalla L. n,. 46 del 2006, all’art. 428 cod,. proc pen. esclusivamente agli effetti penali, sicchè la Corte, in caso di annullamento con rinvio, dispone la trasmissione degli atti al
Tribunale cui appartiene il GUP che emesso la sentenza impugnata”.
3.6 Tale soluzione deriva, oltretutto, dalla riflessione che, rispetto agli effetti civili, la sentenza di improcedibilità emessa all’esito dell’udienza preliminare non produce effetti preclusivi ne’ pregiudizialmente vincolanti sull’azione civile. Come implicitamente confermato dall’art. 652 comma 1 cod. proc. pen., in tema di efficacia non preclusiva della sentenza penale di assoluzione dell’imputato non pronunciata all’esito di giudizio dibattimentale (che consente, quindi, alla parte civile che intenda perseguire effetti civili, ad intraprendere l’azione civile nella sede competente), la norma in questione costituisce la riprova della carenza di interesse della parte civile ad impugnare la sentenza ex art. 425 cod. proc,. pen., agli effetti civili.
3.7 E’ del resto, la stessa nuova previsione normativa aggiunta al comma 2 dell’art. 428 cod. proc. pen. ad avvalorare la tesi assolutamente dominante che, con tale riforma, il legislatore ha inteso accordare specifica tutela alle ragioni di tipo squisitamente penale del della vittima del reato che subisce il cd. “danno criminale” (v. sul punto, di recente Sez. 6^ 22.1.2011 n. 22019, Liotta ed altri, Rv. 252774 e richiami giurisprudenziali in essa
contenuti).ù
3.8 Diretta conseguenza di tale affermazione è che, nella ipotesi di annullamento con rinvio della sentenza processuale, il giudice competente va individuato nel GUP che ha pronunciato la sentenza impugnata (così Sez. 4^ 26410/07 cit. e Sez. 6^ n. 22019/11 cit.).
- Riepilogati in questi termini i punti fondamentali della questione in connessione con i motivi principali addotti dai ricorrenti P.M. e parte civile, occorre adesso verificare se il GUP si
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sia effettivamente attenuto a tali regole ermeneutiche: la risposta, sia pure con alcune doverose puntualizzazioni con riguardo a specifiche ipotesi delittuose, è decisamente negativa. Ne deriva, quindi, in linea di massima, la fondatezza sul piano generale Idi entrambi i
ricorsi.
4.1 Tuttavia, con riferimento alla imputazione di cui al capo 1) (il delitto associativo), ritiene il Collegio che la decisione del GUP, sebbene in più punti sia andata oltre il consentito laddove si colgono motivazioni o considerazioni ridondanti, oltre che divergenti dalla prospettazione accusatoria in merito alle cause (vds. pag. 3 della sentenza impugnata) che determinarono la morte di NARDUCCI Francesco il cui cadavere venne rinvenuto tra l’8 ed il 9 ottobre 1985 ed occultato nei giorni successivi fino al 14 ottobre di quell’anno, appare corretta sotto il profilo dell’epilogo e coerente con le caratteristiche peculiari dell’udienza preliminare.
4.2 Nessuna illogicità manifesta o contraddittorietà permea la decisione di non luogo a procedere relativamente a tale fattispecie, dovendosi condividere, nell’ottica di una inutilità della celebrazione della fase dibattimentale, quanto affermato dal GUP, il cui percorso argomentativo incentrato sulla configurabilità stessa del delitto associativo per il modo con il quale dall’Accusa viene descritto il programma criminoso indispensabile per poter affermare l’esistenza di tale reato, può definirsi corretto. Viene esclusa, secondo il GUP, la “credibilità logica di un sodalizio che si sarebbe formato su iniziativa di gente normale” per nulla incline o abituata a delinquere; viene, del pari, ritenuto inimmaginabile un sodalizio composto non solo da gente normale ma da gente rispettabile e in parte appartenente alle stesse forze dell’ordine che, anzichè rendersi impermeabile ab externo si presta ad infoltire le proprie file ricorrendo sovente a concorrenti esterni occasionali con il correlato e certo rischio di essere scoperto. Possono richiamarsi per sintesi le considerazioni sviluppate dal GUP alle pagg. 6 e 7 della sentenza (punti 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 7) rivelatrici di un programma inconsistente ex sé (non semplicemente fragile, il che avrebbe, in ipotesi, potuto giustificare un approfondimento nella fase successiva), frutto di una vera e propria fantasia, anche se fosse stata vera la tesi
dell’omicidio.
4.3 Quindi il GUP, che pure ha privilegiato, magari sulla base di convincimenti o elucubrazioni personali, la tesi del suicidio (incompatibile con l’ipotesi associativa coltivata dall’Accusa ed assecondata dalla parte civile), non può fare a meno di pervenire ad una soluzione negativa in ordine al passaggio alla fase dibattimentale, laddove mostra di seguire per mera ipotesi scolastica la tesi dell’omicidio, in quanto è il programma stesso ordito dai possibili componenti di questa (fantomatica per come la ha ritenuta il GUP) compagnie criminale a non reggere ad una analisi superficiale che esclude la possibilità di approfondimenti
successivi.
4.4 Esattamente, infatti, il GUP parla, non già di un sodalizio criminale (che per sua natura deve essere stabile nel tempo; strutturato attraverso una suddivisione di ruoli e compiti;
13
ideatore di un programma delinquenziale che prevede una serie di delitti-fine), ma di persone
che, ognuna in via autonoma, potrebbero essere concorse nel compimento di alcuni dei delitti-
scopo (che poi il GUP escluderà per ragioni diverse e tra loro variegate sotto il profilo
processuale) senza il collante del comune programma delittuoso (vds. pag. 12 della sentenza).
4.5 Ed i richiami alle due ordinanze del Tribunale del Riesame (la prima, con la quale
venne ritenuto sussistere a livello di gravità indiziaria idonea a giustificare la misura cautelare
ma con riferimento a quelli che il GUP definisce “reati della prima ora” – così pag. 15 della
sentenza; la seconda, con la quale, mantenuta la consistenza indiziaria relativamente a detti
reati, il Tribunale escluse che i fatti successivi potessero inquadrarsi in un programma
criminoso raffinato e conseguente al programma iniziale così pag. 16) vengono utilizzati dal
GUP per corroborare la tesi della inconfigurabilità giuridica del delitto associativo.
4.6 Saltando a piè pari la certosina pazienza con la quale il GUP, tra variopinte citazioni e
salaci o sarcastici commenti, spesso a mò di chiosa critica, si sofferma, magari
romanzescamente (come pare confermare la stessa considerazione di fondo del GUP) ad
esporre la ricostruzione dei fatti secondo l’impostazione accusatoria, in modo fin troppo lezioso
e magari anche di difficile lettura per la metodologia seguita, non può comunque farsi a meno
di rilevare che quale che sia l’impostazione seguita dal GUP (tesi omicidiaria propugnata
dall’Accusa e tesi suicidaria privilegiata dal GUP), il giudice perviene ad una conclusione
condivisibile sul piano logico e processualmente ortodossa, in quanto il GUP tiene presente i
possibili sviluppi processuali, per poi negarli in modo deciso avendo quale riferimento la
struttura del reato associativo e i tratti essenziali di tale figura delittuosa, esclusi in modo
persuasivo: si tratta, quindi, di una valutazione prognostica di tipo processuale che prende le
mosse dalla inesistente struttura del reato associativo. Se proprio deve operarsi una
valutazione della portata decisoria di tale valutazione, si tratta di una operazione condotta sulla
falsariga del primo comma dell’art. 425 cod. proc. pen., per di più nella sua stesura originaria
ante-riforma del 1993: l’evidenza della insussistenza del fatto-reato che deve comunque
costituire l’oggetto della valutazione di tipo processuale richiesta in questa sede la GUP,
emerge a chiare lettere e costituisce una garanzia della correttezza della decisione nel pieno
rispetto della formula processuale.
4.7 I rilievi del P.M. ricorrente e della parte civile, se vanno quindi condivisi in termini
generali con riferimento al contorto percorso argomentativo del GUP, spesso altalenante tra
una decisione processuale ed una valutazione di merito ed intriso di giudizi non sempre
ortodossi con riguardo ad alcuni dei reati-fine ovvero di altri reati estranei al prospettato programma criminoso, non colgono nel segno con riferimento al delitto di cui all’art. 416 cod.
pen.
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k
r
4.8 Il vero è che l’ipotesi delittuosa contestata al capo 1), per sua stessa conformazione
non regge dal punto di vista giuridico prima ancora che fattuale: e ciò basta a giustificare la
sentenza di non luogo a procedere nei termini enunciati dal GUP.
4.9 In questi termini non possono condividersi i rilievi del P..M. e della parte civile con
riferimento alla asserita apoditticità ed apparenza della motivazione in quanto il GUP, una volta
scartata l’ipotesi delittuosa sotto il profilo intrinseco, ha, seppur con una inusuale e spesso
leziosa dovizia di argomenti, escluso la possibilità che su tale delitto con la messe di elementi
acquisiti – vi potessero essere sviluppi tali da meritare il vaglio dibattimentale, anche perché
tale operazione valutativa è stata condotta non già sulla base dei personali convincimenti del
GUP circa la causa della morte del NARDUCCI Francesco, ma seguendo le stesse
argomentazioni spese dall’Accusa.
4.10 Con riferimento, quindi al reato di cui al capo 1) i ricorsi del P.M. e della parte civile
(che ha circoscritto la propria impugnazione a tale reato), vanno rigettati.
4.11 Passando all’esame del ricorso ben più articolato del P.M. soluzione identica, ma assai
più agevole in relazione ad una circostanza di tipo temporale (la maturata prescrizione
oltretutto mestamente riconosciuta dallo stesso ricorrente in fine al proprio ricorso) va adottata
per i reati di cui ai capi 4) e 5) (con esclusione dell’imputato BRIZIOLI Alfredo che ha
rinunciato alla prescrizione); 7), 8), 9), 10), 15), 18), 19) e 20).
4.12 Si tratta, invero, di ipotesi delittuose per le quali, pur profilandosi la valutazione
espressa dal GUP, come vero e proprio giudizio di merito, inibito nella fase preprocessuale
anche perché avente quale dato caratteristico più ancora che la prospettiva della inutilità o
utilità del giudizio dibattimentale, un giudizio sull’innocenza dei singoli imputati, sono proprio le
stesse perplessità espresse dal GUP (confortate in qualche caso persino dalle espressioni
adoperate e dalla formula processuale di “proscioglimento” utilizzata) ad imporre la soluzione
della prescrizione e dunque del rigetto del ricorso del Pubblico ministero, apparendo del tutto
superfluo il passaggio ad una fase dibattimentale per esaminare reati ormai estinti da tempo.
- Soluzione diversa va, invece, adottata con riguardo alle imputazioni di cui ai capi 2), 3),
6), 11), 12), 13 e 14): si tratta, in particolare, dei reati di violenza a pubblico ufficiale e
rivelazione di segreto di ufficio (capo 2); favoreggiamento personale aggravato (capo 3);
interruzione di pubblico servizio aggravata (capo 6); falso giuramento e violenza a pubblico
ufficiale (capo 11); calunnia aggravata continuata, violenza a pubblico ufficiale e interruzione
di pubblico servizio (capo 12); falsa testimonianza (capo 13) e calunnia aggravata e
diffamazione in concorso (capo 14), alcuni dei quali non ancora prescritti ed altri, pur prescritti,
suscettibili del vaglio dibattimentale in relazione alla rinuncia dell’imputato BRIZIOLI Alfredo.
5.1 Una prima notazione riguarda, infatti, la posizione del detto imputato che, oltre a rispondere di altri due reati contemplati ai capi 4) e 5), per i quali è maturata la prescrizione, a lui non applicabile stante la sua rinuncia, è chiamato a rispondere, egli solo, anche dei reati 15
sub 2) e 3), pure essi prescritti, ma per i quali la astratta inutilità della celebrazione del
dibattimento è frustrata dalla decisione del BRIZIOLI di rinunciare alla formula estintiva. Quanto ai reati sub 6), 11) e 12), poi, si tratta, anzitutto, di ipotesi delittuose non ancora prescritte sicchè, a prescindere dalla rinuncia del BRIZIOLI, in ogni caso il passaggio alla fase
successiva si imponeva in relazione alla manifesta illogicità che caratterizza la decisione del GUP su tali fattispecie delittuose ed al giudizio di merito espresso al riguardo.
5.2 Ed invero, con riguardo al reato sub 2), la stessa formula del “proscioglimento” adoperata dal GUP (difetto di dolo), costituisce la conferma della necessità di un accurato vaglio dibattimentale determinata dalla aperta illogicità della motivazione: manca, infatti, quel giudizio prognostico che certamente non può ravvisarsi nell’espressione adoperata dal GUP per
giustificare la propria decisione laddove esclude il carattere minatorio della frase pronunciata al telefono percepita invece come tale dalla destinataria (vds. pag. 788 e ss. della sentenza impugnata). Il GUP si guarda bene dal formulare una prognosi di superfluità del dibattimento, limitandosi a fornire una giustificazione all’operato dell’imputato in termini tipici del giudizio di merito: il che certamente tradisce lo spirito della sentenza processuale di cui si parla.
5.3 Discorso identico va fatto con riguardo al reato di cui al capo 3), in quanto, anche in questo caso, il GUP non ha per nulla esplicitato le ragioni della inutilità della verifical
dibattimentale, ma si è limitato a parlare di una incompatibilità tra il reato associativo ed il
reato di favoreggiamento personale per il quale è stata anche avanzata la tesi del concorso da parte del BRIZIOLI (Alfredo) nell’omicidio (reato presupposto rispetto alla ipotesi di
favoreggiamento) insostenibile sotto il profilo giuridico: manca anche in questo caso come
esattamente rilevato dal P.M. ricorrente quel giudizio prognostico indispensabile per farsi
–
luogo alla sentenza di cui all’art. 425 cod. proc. pen.
5.4 Per quanto riguarda il reato di cui al capo 4) (ipotesi da considerare in via residuale
perché prescritta per tutti gli altri imputati che non hanno rinunciato alla prescrizione), oltre ad
apparire errata dal punto di vista giuridico la decisione riguardante l’imputato BRIZIOLI, in
quanto la formula di proscioglimento adoperata (“perché il fatto non costituisce reato”) non
consentiva, stante la rinuncia alla prescrizione da parte del detto imputato, il proscioglimento
ex art. 129 comma 2 cod. proc. pen., come osservato dal P.M. ricorrente, data per certa
l’oggettività giuridica del reato, il difetto del dolo per il reato di diffamazione sotto forma di non
consapevolezza, da parte degli imputati (per quanto qui rileva del BRIZIOLI) della falsità della
incolpazione si scontra con la incertezza che, sempre secondo il GUP, farebbe da sfondo in
merito ai rapporti tra il defunto NARDUCCI e i vari delitti “del mostro” verificatisi tra il 1974 ed
il 1985.
5.5 Rientrano nella vera e propria valutazione di merito, incompatibile con la natura
processuale della sentenza di non luogo a procedere, i giudizi espressi dal GUP relativamente
16
ai reati sub 4) e 5), tanto più che il GUP si prefigura varie opzioni interpretative in merito alle condotte incriminate, pervenendo poi ad una soluzione tipica del giudice del dibattimento.
5.6 Analogo discorso vale per il reato di cui al capo 6), mentre con riguardo ai reati sub 11) e 12) non solo il GUP esprime una valutazione di merito, ma anche a non volerla considerare tale, il non luogo a procedere si scontra con le diverse interpretazioni possibili (vds. da pag. 848 a pag. 852) che il GUP mostra di avere ben presenti e che avrebbero, per ciò solo, dovuto imporre un approfondimento in sede dibattimentale.
5.7 Sostanzialmente analogo il vizio che caratterizza la pronuncia del GUP in merito al reato di cui al capo 13): si tratta di una ipotesi di falsa testimonianza contestata all’imputata MAGARA Emma per la quale il GUP, mentre non dubita in merito alla esistenza dell’elemento oggettivo, tanto è vero che il GUP pronuncia il n.l.p. per difetto del dolo, esprime al riguardo una valutazione di merito, mentre il dato, con gli elementi disponibili e con quelli che si sarebbero potuti acquisire al dibattimento, avrebbe dovuto imporre al GUP un particolare approfondimento motivazionale, in realtà del tutto mancante e dunque non in linea con i principi propri della sentenza di non luogo a procedere.
5.8 In ultimo, con riguardo al reato di cui al capo 14), si tratta, ancora una volta, di una valutazione di merito sia pure espressa nel solco del 3° comma dell’art. 425 cod. proc. pen. che, basato come è sulla incertezza o insufficienza o contraddittorietà degli elementi di prova, con riguardo alla fattispecie contestata (calunnia) esclusa dal GUP per carenza dell’elemento soggettivo del reato, avrebbe dovuto imporre al giudice non già il “proscioglimento” ex art. 425 cod. proc. pen., ma il rinvio a giudizio. Ed invece il GUP si è attardato a sviluppare una motivazione tanto articolata da oltrepassare i limiti del giudizio prognostico per sconfinare nel giudizio di merito non consentito in quella sede.
–
- Quanto agli altri motivi di ricorso, sono certamente infondati stante la maturata prescrizione che rende comunque inutile la celebrazione del dibattimento pur condividendosi le censure specifiche sollevate dal P.M. ricorrente i motivi sub 2) e 3) riguardanti i reati di cui ai capi 18) e 15).
–
6.1 Quanto al reato sub 14) oltre al vizio denunciato nel primo motivo di ricorso (vizio che questo Collegio reputa sussistente), ricorre anche il vizio ancor più palese motivazione in merito ai contenuti della intercettazione riguardante la conversazione tra SPEZI Mario e PORQUEDDU Mario. Valgono sul punto le corrette riflessioni del P.M. ricorrente soprattutto con riguardo al profilo soggettivo del reato di calunnia (aspetto già esaminato da questo Collegio con riguardo al primo motivo di ricorso del P.M.), ed, ancora, alla mancata valutazione da parte del GUP delle ammissioni fatte dallo SPEZI al giornalista che semmai rafforzavano, anziché indebolirlo, come ritenuto dal GUP il dolo tipico del reato di cui all’art. 368 cod. pen. cui non è rimasto estraneo il coimputato RUOCCO. Il motivo in esame viene comunque sostanzialmente assorbito dal primo motivo.
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- Per quanto riguarda il quinto motivo di ricorso, ancora una volta, pur astrattamente condividendosi come del resto per il reato di cui al capo 18) – le ragioni esposte dal P.M. ricorrente in ordine al vizio di manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, il motivo in esame non può essere accolto stante la intervenuta prescrizione del reato.
- E’, invece, infondato il motivo sesto riguardante la manifesta illogicità tra la motivazione ed il dispositivo relativamente al reato associativo, per quanto precedentemente considerato in merito alla insussistenza manifesta della fattispecie ipotizzata dall’Accusa.
- Con riguardo al settimo motivo di ricorso, ferma restando l’intervenuta estinzione dei reati sub 4) e 7) per la maturata prescrizione (causa estintiva che non vale soltanto per BRIZIOLI Alfredo, avendovi egli rinunciato), il motivo va rigettato limitatamente alle posizioni riguardanti gli imputati NARDUCCI Maria Elisabetta, NARDUCCI Ugo, NARDUCCI Pierluca, BRIZIOLI Antonio e VALERI Elisabetta. Con riguardo al BRIZIOLI Alfredo, ferma restando la rinuncia di costui alla prescrizione, non possono essere condivise le ragioni esposte dal P.M. in merito alla denunciata contraddittorietà della motivazione (oltre che la manifesta illogicità) tra quanto argomentato con riguardo al reato di cui al capo 1) e quanto esposto con riguardo ai reati sub 4) e 7). In realtà il motivo in esame è sostanzialmente assorbito per effetto dell’accoglimento del motivo primo con riferimento alla posizione del BRIZIOLI, sicchè, più che parlarsi di contraddittorietà nei termini indicati dal P.M. ricorrente, deve parlarsi di erronea applicazione della legge penale processuale così come precedentemente esposto.
- Quanto, infine, all’ottavo motivo di ricorso, valgono le considerazioni precedentemente svolto con riguardo alla intervenuta prescrizione dei reati di cui ai capi 2) (limitatamente alla fattispecie della minaccia a pubblico ufficiale) e 4) che rendono del tutto superfluo il rinvio alla
fase dibattimentale.
- In conclusione, quanto ai reati di cui ai capi 4) e 5), con esclusione delle contestazioni
mosse a BRIZIOLI Alfredo, nonché ai reati di cui ai capi 7), 8), 8), 10),15), 18), 19) e 20), va annullata la sentenza impugnata senza rinvio per essere i detti reati estinti per intervenuta
prescrizione.
- Con riguardo, invece, ai reati di cui ai capi 2), 3), 6), 11), 12), 13) e 14), nonché a quelli di cui ai capi 4) e 5) ascritti a BRIZIOLI Alfredo, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al GUP del Tribunale di Perugia la sentenza impugnata relativamente.
Nel resto vanno rigettati i ricorsi del P.M. e della parte civile.
P.Q.M.
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Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere estinti per prescrizione i reati di cui
ai capi 4) e 5), escluse le contestazioni riferite a BRIZIOLI Alfredo, nonché i reati di cui ai capi
7), 8), 8), 10),15), 18), 19) e 20).
Annulla con rinvio al GUP del Tribunale di Perugia la sentenza impugnata relativamente ai reati di cui ai capi 2), 3), 6), 11), 12), 13) e 14), nonché ai reati di cui ai capi 4) e 5) ascritti a
BRIZIOLI Alfredo.
Rigetta i ricorsi nel resto.
Così deciso in Roma il 21 marzo 2013
Il Consigliere estensore
Renato Grillo
сетями,
Il Presidente
Alfredo Maria Lombardi
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DEPOSITATA IN CANCELLERIA
IL
CORTE
TONE
2 A SET 2013
IL CANCELLIERE Luana Maroni
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