Mostro di Firenze, Vigilanti: “Ho ucciso in guerra ma non sono io quello che cercano”
La vicenda giudiziaria dei delitti che insanguinarono la Toscana: l’intervista integrale all’uomo indagato nel “cold case” fiorentino
rato, 27 luglio 2017 – Senta, ma lei lo sapeva di essere il mostro? «Così dice il giornale». Quindi è lei il Mostro di Firenze? (Fa una pausa. Prende fiato). «No. È che mi cercano sempre, da sempre. Ma poi non trovano mai nulla». Cappellino da baseball, voce gentile. Mani militaresche. Sull’avambraccio destro: il guerriero tatuato ai tempi della Legione Straniera in cui si arruolò nel 1952, per uscirne 9 anni dopo. Giampiero Vigilanti è un ex legionario, ha 86 anni e se ne sta ritto sul cancellino del suo buen retiro, la villetta di via Anile, nel cuore del Cantiere: un ritaglio di periferia di Prato, strozzato tra la ferrovia e il fiume Bisenzio dove abita da 30 anni. Da 24 ore è sospettato di aver avuto un ruolo negli omicidi del Mostro di Firenze.
I carabinieri sono venuti qui?
«Non in questi giorni, ma negli ultimi 10 anni avrò visto il pm Canessa (pubblico ministero che indaga ancora sui delitti del Mostro ndr) decine di volte. È venuto a interrogarmi anche qui, a casa. Ora è in servizio a Pistoia, ma quando era a Firenze i militari sono venuti a prendermi per interrogarmi quasi ogni settimana, mi portavano nella caserma di Borgo Ognissanti».
Quando l’ultima volta?
«L’anno scorso. Ma non hanno mai trovato nulla».
Forse sono stati insospettiti dal suo amore per le armi…
«Ho quattro pistole regolarmente detenute. Anzi le avevo».
Come le aveva? Dove sono finite?
«Mi sono state rubate lo scorso settembre dai ladri. Sono entrati in casa mia tra le 4 e le 5 di mattina mentre ero fuori a portare a passeggio il cane».
Una coincidenza strana…
«Eppure è così».
Ha idea di chi possa essere stato?
«Una persona che conosce molto bene casa mia. Non ho fatto subito la denuncia perché pensavo di riuscire a recuperarle, ma non le ho più trovate».
Di che pistole si trattava?
«Due americane, di cui una risalente alla guerra in Indocina, una pistola turca e una francese».
Erano armi compatibili con i famigerati 176 proiettili Winchester calibro 22 serie H che i carabinieri le avevano trovato in casa nel 1994?
«No, non c’entravano nulla».
E perché teneva in casa quei proiettili?
«Ho sempre avuto armi e proiettili in casa, tutti regolarmente detenuti come già dimostrato».
Ma lei conosceva bene Pietro Pacciani?
«Sì. Nel 1948 gli detti anche una bastonata sulla testa».
Perché?
«Abitavamo a Vicchio. Una volta finita la guerra, a suo padre toccò il lavoro che il mio aveva perso andando al fronte. Al ritorno ne nacque una lite. Gli ruppi la testa con un bastone, ma non sporse mai denuncia».
Conosceva Salvatore Vinci (fratello di Francesco, inizialmente inquisito come Mostro e poi prosciolto ndr)?
«Sì, eravamo vicini di casa a Vaiano, ma non ci parlavo. Lo conoscevo di vista. Mi sembrava violento».
Poi non ha più visto nemmeno Pacciani?
«Sì, lo vidi quando tornai in Italia dopo il 1961, lui doveva scontare 14 anni di prigione per il delitto dell’amante della sua fidanzata. Sapeva di aver sbagliato».
Perché si arruolò nella Legione proprio l’anno di quel delitto?
«Passai la frontiera con la Francia per guadagnarmi da vivere, lo avevo già fatto a 16 anni. La polizia francese mi disse: scegli, o torni a casa o ti arruoli. Ho combattuto 8 anni in Vietnam. Ho lavorato anche a Marsiglia dove ho aperto un locale tipo nightclub».
E poi?
«Andò male, c’erano contrasti con due arabi che ci ricattavano e fummo costretti a farli fuori».
Quanti Vietminh ha ucciso durante la guerra di Indocina?
«Non li contavamo, ma credo centinaia. Almeno 300 o 500…».