Mostro di Firenze, indagato un ottantaseienne pratese con un passato nella Legione straniera
C’è un nuovo indagato per i delitti seriali del mostro di Firenze. Giampiero Vigilanti, 86 anni, residente a Prato, sarebbe entrato ufficialmente nelle indagini condotte da Paolo Canessa, il pm che ha sempre lavorato alle inchieste sugli omicidi delle coppiette avvenuti nelle campagne fiorentine dal 1968 al 1985.
La notizia, pubblicata questa mattina da Nazione, Repubblica Firenze e Corriere Fiorentino, parla anche di una nuova pista. La pistola calibro 22, la firma lasciata dal mostro in tutti e otto i duplici delitti, avrebbe sparato per occupare gli inquirenti, le forze dell’ordine e l’opinione pubblica durante il periodo della «strategia della tensione». Questa tesi, quella della «pista nera», non è nuova, sarebbe emersa già 30 anni fa ed è stata ripresa da un esposto di Vieri Adriani, avvocato dei familiari di Nadine Mauriot, la donna francese vittima del mostro assieme al fidanzato nel 1985.
Canessa, oggi procuratore capo a Pistoia ma ancora titolare delle indagini sul mostro di Firenze, avrebbe interrogato più volte Vigilanti negli ultimi mesi, facendogli fare anche dei sopralluoghi dove vennero uccise le coppiette. Due anni fa fu Tv Prato a rivelare che l’inchiesta era ancora in corso. I carabinieri del Ros erano venuti in città per ascoltare coloro che avevano conosciuto Rolf Reinecke, imprenditore tedesco, titolare di un carbonizzo alla Briglia, l’uomo che scoprì i cadaveri dei due ragazzi tedeschi uccisi a Giogoli nel 1983. Si trattava delle indagini sui mandanti dei delitti, il cosiddetto «terzo livello».
Canessa e i Ros sono tornati a Prato. Vigilanti è sicuramente un «personaggio» particolare, già conosciuto per aver avuto una vita piuttosto avventurosa. Originario di Vicchio, proprio come Pacciani, Vigilanti si è arruolato nella Legione straniera nei primi anni Cinquanta. Ha combattuto in Indocina e Algeria, dove ha imparato ad usare in modo eccellente fucile e coltello. Negli anni Sessanta scrive addirittura un memoriale delle sue «gesta», nel quale afferma di aver ucciso un barista di Algeri per futili motivi. Nel 1985, poche settimane dopo il delitto di Scopeti, l’ultimo della serie, viene perquisito dai carabinieri. In casa gli trovano molti articoli di giornale sui delitti del mostro – addirittura su quello del 1974, quindi conservato prima che si parlasse ufficialmente di un «mostro» – e su quelli delle prostitute uccise negli anni Ottanta, sempre a Firenze. Nel 1994, dopo un diverbio con un vicino, Vigilanti fu nuovamente perquisito e nella sua casa furono ritrovati oltre un centinaio di proiettili Winchester serie H, gli stessi usati dalla misteriosa, e mai rinvenuta, Beretta calibro 22. Dunque, anche se non indagato, Giampiero Vigilanti per gli inquirenti non era del tutto estraneo alle terribili vicende del mostro. Nel 1998 il legionario torna a far parlare di sé perché dice di aver ereditato un patrimonio milionario da un fantomatico zio d’America, un certo Joe Vigilanti, che lo ha ritrovato dopo aver visto un documentario dedicato proprio ai delitti di Firenze. Questa storia fu raccontata addirittura in tv nella trasmissione «Il Bivio» di Enrico Ruggeri.
Giampiero Vigilanti su Wikipedia (pagina dedicata alla Legione straniera): Giampiero Vigilanti (classe 1930) di Prato. Nel 1948 si arruolò nella Legione. Nel 1954 partecipò alla guerra d’Indocina, ove catturato dagli insorti Viet Minh fu sepolto vivo in una buca. Sopravvisse nutrendosi di scarafaggi e fu liberato dopo una settimana dai camerati legionari. Rientrato in Italia si stabilì a Prato. Suo malgrado fu coinvolto nelle indagini relative agli assassini del Mostro di Firenze, ma fu completamente scagionato da ogni accusa. Ereditò da un parente americano una fortuna. La sua vita è stata narrata da Enrico Ruggeri in “Quante vite avrei voluto. 21 storie al bivio”, edito da Rizzoli, nel 2007.
Ma come si concilia questa nuova pista con la verità giudiziaria, per la quale sono risultati colpevoli Mario Vanni e il reo confesso Giancarlo Lotti? Ricordiamo invece che Pietro Pacciani è morto da innocente, prima che potesse istruirsi un nuovo processo a suo carico come disposto dalla Cassazione. Edoardo Orlandi, criminologo dell’Università di Firenze, si dice perplesso sul ruolo avuto da Vigilanti nella vicenda. «Se Canessa lo ha portato sui luoghi dei delitti probabilmente ritiene che lui possa essere stato presente al momento dei fatti – dice Orlandi – ma allora perché Lotti non ne ha mai fatto menzione nelle sue confessioni? Non può non aver visto una persona che all’epoca pesava più di cento chili, come Vigilanti. Forse anche in questo caso Lotti non ha detto la verità come molti pensano? O Lotti mente su questo oppure mente su tutto». Per Orlandi l’ingresso del legionario e della pista nera mal si conciliano anche con alcuni comportamenti dell’assassino o degli assassini. «Gli omicidi delle coppiette hanno una evidente componente emotiva, passionale – dice ancora il criminologo – e il fatto che possano far parte di una strategia per distogliere l’attenzione mi lascia molto perplesso. Se così fosse non capisco perché il mostro abbia inviato il lembo di seno al magistrato Della Monica oppure abbia scritto la famosa lettera alla Nazione. Sono delle sfide alla Procura e ai giornalisti che secondo me rientrano nella mente di un serial killer e non di una strategia di altro tipo».