Tre omicidi, un solo assassino: quel serial killer mai scoperto
Dopo 25 anni di indagini, potrebbe esserci una svolta per gli omicidi di Milva Malatesta e Alessandra Vanni. Il sospetto è che dietro i delitti si celi la mano di un serial killer
Rosa Scognamiglio
Due omicidi, tre vittime. C’è un filo rosso che collega le morti sospette – per certo non accidentali – di due donne toscane, rinvenute entrambe senza vita, nel terre del Chianti, tra il 1993 e 1997. A circa 25 anni dai fatti, proprio quando le indagini sembravano giunte ad un punto di non ritorno, potrebbe essere arrivata la svolta per entrambi i casi. Dietro i due delitti, stando a quanto si apprende dal quotidiano La Nazione, si celerebbe la mano di un unico autore: forse, un serial killer.
I due omicidi
Il primo omicidio risale al 20 agosto del 1993. I corpi carbonizzati di Milva Malatesta, 31 anni, e del figlioletto Mirko, di appena 3, vengono ritrovati a bordo di una Panda riversa sul ciglio della strada di Poneta, nel territorio del Barberino, tra Siena e Firenze. Accanto alla vettura, gli investigatori ritrovano una tanica di benzina – svuotata del combustibile e senza tappo – usata verosimilmente per appiccare il fuoco. Il secondo omicidio avviene nella notte tra l’8 e il 9 agosto 1997, a Castellina in Chianti, nel Senese. Una tassista, Alessandra Vanni, di 29 anni, è stata strangolata durante l’ultima corsa della giornata a bordo dell’Alfa 155 imprestatagli dallo zio. Il corpo della donna sarà ritrovato senza vita con le mani legate dietro al sedile di guida. Due delitti irrisolti, avvenuti a distanza di 4 anni l’uno dall’altro, che oggi le procure di Firenze e Siena provano ad intrecciare all’ombra di un medesimo sospettato. Un serial killer?
Le indagini irrisolte
Manca il nome dell’assassino in entrambi i casi. Per l’omicidio di Milva Malatesta era finito sott’accusa l’ex marito, Francesco Rubbino, che non avrebbe accettato la fine della relazione coniugale al punto da mietere un’atroce vendetta ai danni della moglie e del figlioletto (questa l’ipotesi formulata al tempo delle indagini). Ma l’uomo è stato assolto in tutti e tre i gradi di giudizio risultando completamente estraneo alla vicenda. Un’altra pista investigativa convogliava sul mostro di Firenze, Pietro Pacciani, con cui la madre della Malatesta avrebbe intrattenuto una relazione. Tuttavia, a seguito di approfonditi accertamenti, anche questa ipotesi è stata sconfessata. Chi ha ucciso, allora, Milva e Mirko?
Per il delitto di Alessandra Vanni, irrisolto per più di 20 anni, ora ci sono due sospettati. Tecniche di investigazione all’avanguardia hanno consentito di prelevare tracce di Dna, verosimilmente appartenti all’assassino, compatibili con due profili genetici. Tra questi si distingue il nome di un tal Nicola Fanetti, artigiano di Castellina in Chianti, al tempo dei fatti poco più che trentenne. L’uomo sarebbe proprietario terriero del terreno vicino al quale è stato ritrovato il taxi della Vanni, un dettaglio che non è sfuggito agli investigatori. Ma perché i due omicidi sembrerebbero collegati?
Il collegamento
Il nome di Fanetti ritorna anche nel caso di Milva Maltesta. Stando a quanto si apprende dalle pagine de La Nazione, la sera del 20 agosto del 1993, i due avrebbero dovuto incontrarsi ma l’appuntamento non ebbe mai luogo. O, almeno, così era sembrato prima dei recenti sviluppi del caso. I due si frequentavano da un mesetto e quella sera si erano dati appuntamento al distributore di San Donato. Ma l’artigiano, che prima di mettersi in marcia si era fatto prestare una tanica con della miscela da un amico, ebbe un imprevisto. In una delle ultime curve prima di arrivare a destinazione, al bivio di Oliena, con la sua Ape si ribaltò e finì fuori strada. Lo raccolse malconcio una coppia, a cui Fanetti chiese di farsi accompagnare al benzinaio dell’appuntamento. Milva non c’era – lo confermeranno anche i due testimoni – e Fanetti, anziché farle una telefonata dalla cabina presente sulpiazzale, sfruttò ancora la disponibilità dei fidanzati per farsi accompagnare a casa. Col padre, si recò poi in ospedale per farsi medicare. Ma proprio nel punto in cui Fanetti raccontò alla polizia di essersi ribaltato col motocarro, la scientifica raccolse un tappo verde verosimilmente compatibile con quello di chiusura delle taniche di benzina. Che fosse proprio quello mancante dalla tanica vuota rivenuta accanto alla Panda di Milva Malatesta?
Gli altri elementi sospetti
Sul luogo in cui l’artigiano riferirì del sinistro, c’erano frammenti di carrozzeria. Si trattava di due pezzetti dei fanali posteriori dell’Ape di Fanetti e, stando a quanto riferisce ancora il quotidiano toscano, “un frammento di paraurti anteriore di una vettura Fiat Panda 1° serie, dello stesso tipo di quello montato dalla vettura della Malatesta”. Ma men tre la comparazione con il resto del faro dell’Ape venne effettuata, con esito positivo, non fu possibile comparare le plastiche del paraurti con la Panda di Milva perché il calore del rogo aveva sciolto quei componenti della carrozzeria. Quei reperti comunque lascerebbero pensare ad una collisione tra la vettura della vittima e il motocarro di Fanetti. Posto che non vi sia dietro dell’altro, un retroscena macabro, che potrebbe saltare fuori dopo 25 anni di dubbi.