Mostro di Firenze, la nuova pista che porta al cimitero Usa: clamorosa svolta, chi è il killer?
Al settimo piano del Palazzo di Giustizia di Firenze, sezione Procura della Repubblica, in un faldone forse etichettato “Joe Bevilacqua”, forse “Zodiac”, si conserva da più di tre anni un verbale di denuncia sulle ammissioni di colpevolezza di un ex testimone del processo a Pietro Pacciani relative ai duplici omicidi del Mostro di Firenze. Il PM titolare del caso è Luca Turco, il magistrato che indaga Matteo Renzi. Bevilacqua, per le agenzie statunitensi Joseph, all’anagrafe italiana Giuseppe, è un ex soldato italoamericano. Dopo aver lasciato l’esercito, dal luglio 1974 alla fine del 1988, lavorò presso il cimitero americano di Firenze, a San Casciano in Val di Pesa. A verbale si riporta che con un “non volevo mettere nei guai gli altri” e un “lo sapevano” ammise spontaneamente al sottoscritto di essere il responsabile degli omicidi del serial killer fiorentino e del “californiano” Zodiac.
La Procura di Firenze ha da poco acquisito il DNA di Bevilacqua. Alcuni mesi fa, l’ex direttore del cimitero americano di Firenze si era sottoposto a un test su richiesta della Procura della Repubblica di Siena, nell’ambito dell’indagine sull’omicidio della taxista Alessandra Vanni, uccisa nel 1997 a Castellina in Chianti. L’esito del test è stato negativo. Attualmente non si sa se è arrivata una richiesta di acquisizione del DNA di Bevilacqua anche dagli Stati Uniti o se l’ex sergente italoamericano sia stato sottoposto anche a un esame comparativo della calligrafia. Zodiac ha infatti lasciato un vasto repertorio di campioni della sua grafia consistente in varie lettere recapitate a polizia e stampa americana, prevalentemente scritte in stampatello minuscolo.
Il 19 giugno 2018, a seguito della denuncia su Bevilacqua che avevo sporto a marzo a Lecco, venne fatto alla polizia giudiziaria fiorentina un nuovo, lungo resoconto su ciò che era avvenuto nell’estate precedente. La confessione parziale di “Joe”, raccontai agli inquirenti, avvenne nel corso di una telefonata di alcuni minuti, al termine di una serie di colloqui a casa sua, un paese in provincia di Firenze dove risiede stabilmente dal 2010. «Non parliamo al telefono di queste cose», mi aveva chiesto, per nulla tranquillo, mentre gli dicevo che c’era il suo nome nelle lettere di Zodiac. Seguirono le ammissioni.
Bevilacqua sostenne che, dopo tanti anni, gli inquirenti non avrebbero potuto dimostrare che fosse il colpevole, perlomeno non negli Stati Uniti. All’epoca dei delitti di Zodiac, a cavallo degli anni ’60-’70, “Joe” lavorava per la Criminal Investigation Division, acquartierata tra Washington D.C. e Falls Church, Virginia. Non ci sarebbero state tracce della sua presenza in California nei record militari. Alla fine, però, desistette. Era senza speranza. Gli consigliai di costituirsi. «Cosa devo portare ai carabinieri? La pistola?», chiese. «Sì, porta tutto». Ricordo un gemito di dolore della moglie, Meri. Bevilacqua, frustrato da un’insolita interferenza iniziata alla parola “avvocato”, le aveva passato il telefono per prendere il numero di cellulare del consulente legale Francesco Moramarco, da me suggeritogli. Questi i fatti messi a verbale da me denunciati. Ai Carabinieri dissi anche, e ne resto convinto, che la conversazione telefonica fra me e Bevilacqua fosse stata intercettata. Da chi? Non ne ho idea. La denuncia Bevilacqua avrebbe dovuto costituirsi a Borgo Ognissanti, sede del comando provinciale dei Carabinieri di Firenze, ma due giorni dopo le ammissioni, quando mi presentai in città per accompagnarlo, lui aveva cambiato idea.
Litigammo al telefono e non ci parlammo più da allora. Nelle 24 ore successive, feci due distinte segnalazioni a polizia e carabinieri da un indirizzo di posta certificata. Pensavo che avrebbero indagato. Agli investigatori, successivamente, dissi che non avevo registrato i colloqui con Bevilacqua e non disponevo di campioni della sua scrittura, a parte una firma. Non avevo nemmeno scattato una fotografia alla croce celtica, simbolo del serial killer americano, disegnata sulla prima pagina dell’album che conteneva sue foto di cinquant’ anni fa. Non accadde niente per mesi, perciò decisi di denunciare. Era il marzo 2018. A maggio, scrissi alcuni articoli e la storia esplose sui media. Ci fu una smentita con minacce di querela da parte di Bevilacqua. Una fonte mi disse che uno degli avvocati delle vittime, Vieri Adriani, aveva presentato un esposto su di me per depistaggio.
Negli ultimi mesi, però, qualcosa si è mosso, e potrebbe arrivare una svolta nel caso. La decifrazione consegnata ai Carabinieri Lo scorso dicembre è stato decriptato il testo cifrato più celebre inviato da Zodiac alla stampa americana. Ieri, è stata consegnata ai carabinieri di Borgo Ognissanti, a Firenze, la decifrazione completa del nome di Bevilacqua nei 13 simboli che il serial killer Zodiac inviò al San Francisco Chronicle più di mezzo secolo fa. Nella decifrazione compare in modo evidente la parola chiave “BEKIM”. Un dettaglio che si ricollega alle vicende del Mostro.
Il giorno in cui la lettera veniva affrancata a San Francisco, il 20 aprile 1970, in sei sale cinematografiche e drive in della città e della baia, zona dei misfatti del serial killer, era in proiezione “The adventurers”, primo dei pochissimi film di Hollywood che vide come protagonista Bekim Fehmiu. L’attore jugoslavo è noto al pubblico italiano di quegli anni per l’interpretazione che lo rese famoso: Ulisse. La prima replica della serie “Odissea” con Fehmiu protagonista venne trasmessa prima serata sul canale 1 della RAI nel luglio 1974, quando Bevilacqua si trasferì al cimitero americano di Firenze, due mesi prima del primo delitto ufficialmente attribuito al Mostro.
Quarant’ anni dopo, intercettato nel carcere di Pisa, Mario Vanni, postino di San Casciano condannato per correità per quattro dei sette duplici omicidi attribuiti al Mostro dal 1974 al 1985, accusò dei delitti un americano che si faceva chiamare “Ulisse”. Pacciani, l’imputato più noto del caso Mostro, avrebbe raccontato a Vanni di averlo incontrato in un “bosco”. Ulisse, forse senza essere inizialmente creduto, gli avrebbe confessato di essere il maniaco delle coppie. Per qualche ragione, Pacciani lo avrebbe definito “nero”. È possibile che non si riferisse al colore della pelle, ma alla croce celtica con cui il serial killer si firmava e che aveva ricamato sulla sua veste nera con il cappuccio, indossata in occasione di un’aggressione a una coppia nel 1969. Pacciani, insomma, potrebbe avere scambiato Zodiac per un neofascista, un “nero”.
Gli investigatori non avevano mai sentito parlare di Ulisse, prima del 2003. All’epoca, credettero che potesse identificarsi in Mario Robert Parker, stilista gay statunitense che nel 1983 abitava vicino a una scena del crimine. L’identificazione fu un fallimento. La famiglia non aveva mai sentito parlare di “Ulisse”. La testimone Gabriella Ghiribelli, che lo avrebbe identificato in Parker, aveva dichiarato che “Uli” non fosse di colore, a differenza del sospettato. La questione venne lasciata in sospeso dal 2008, quando il filone di indagini in cui rientrava la ricerca di Ulisse si concluse con l’assoluzione del farmacista Francesco Calamandrei, uno dei presunti “mandanti” degli omicidi del Mostro. Nel 2018, raccontai alla polizia giudiziaria che avevo mostrato a Bevilacqua l’intercettazione di Vanni. Lui era rimasto in silenzio qualche secondo e poi aveva esclamato furibondo: «Penso che lo uccideranno. Penso che uccideranno Vanni». Mi diede una pacca sullo stomaco. «Grazie di avermelo detto». Non sapeva che Vanni era già morto.
All’indomani della deposizione che Bevilacqua aveva reso al processo Pacciani, il 6 giugno 1994, La Repubblica titolò il pezzo di cronaca a firma di Franca Selvatici in: “Pacciani era nel bosco”. L’ex direttore del cimitero americano di Firenze aveva sostenuto di aver visto l’imputato al margine del bosco di Scopeti pochi giorni prima degli omicidi avvenuti in quella zona nel 1985. Né Bevilacqua né Pacciani dissero di conoscersi, al processo, ma, riferii agli investigatori, l’americano mi disse che si erano incontrati più volte, prima della sua deposizione. Pacciani frequentava abitualmente il bosco di Scopeti e avrebbe anche cercato di farsi assumere al cimitero americano, senza successo. È comprensibile che Pacciani, per evitare di collocarsi nella zona del crimine, facesse finta di non conoscere Bevilacqua, ma come si spiegherebbe la reticenza dell’americano? Le indagini della Criminal Investigation Division a San Francisco Bevilacqua non andò al processo Pacciani dicendo di essere un ex sergente dell’esercito degli Stati Uniti con 20 anni di carriera e un turno di servizio in Vietnam. Si presentò semplicemente come ex direttore del cimitero americano e, sollecitato dagli avvocati, come ex “poliziotto criminale”.
Per dieci anni, a partire dal 1964, Joe fu al servizio della Criminal Investigation Division come investigatore e agente sotto copertura. Per questa ragione, nei suoi record militari pubblici sono assenti alcune assegnazioni, tra cui quelle in California, quando indagò sul caso “Khaki Mafia”. Nel 2017, Bevilacqua conservava ancora il libro su questa inchiesta scritto da June Collins e Robin Moore. La vicenda esplose sulla stampa americana l’1 ottobre 1969, in concomitanza con il caso Zodiac. L’indagato di rango più elevato di una sorta di “mafia militare” era il Sergente Maggiore dell’Esercito William O. Wooldridge. I rapporti investigativi della Criminal Investigation Division riportano che le indagini si focalizzarono in Vietnam e California, dove aveva sede Maredem, la società con cui i soldati indagati, fra cui Wooldridge, facevano affari con club e mense militari amministrati da personale corrotto.
Nell’inchiesta furono coinvolti decine di agenti CID in tutto il mondo, fra cui Bevilacqua. Almeno tre indagini si svolsero a San Francisco, a partire dal 1 luglio 1969 fino alla fine del 1970, nell’epoca in cui Zodiac colpì o inviò lettere. Una testimonianza risalente al gennaio 2019 al vaglio degli investigatori conferma che Bevilacqua abbia svolto attività d’indagine sotto copertura mentre era nell’esercito.
Altre testimonianze potrebbero aggiungersi a breve, se le autorità statunitensi, che finora hanno negato l’esistenza di un dossier investigativo su Bevilacqua nel caso Zodiac, decidessero di verificare la sua presenza a San Francisco tra il 1968 e il 1971. Bevilacqua, nel 1968, era in turno di servizio in Vietnam. Questo però non gli impedì di volare con un’autorizzazione a San Francisco nel dicembre di quell’anno, quando nella vicina Vallejo una coppia di teenager appartati in auto venne uccisa da Zodiac con una pistola calibro 22. Un dettaglio che si aggiunge al fatto che uno dei colleghi di Bevilacqua abbia messo su casa a Santa Rosa, California, fra il 1973 e il 1974, quando Zodiac spedì una lettera dopo un’assenza di diversi anni, citando un delitto avvenuto proprio a Santa Rosa. Inoltre, la madre del genero di Bevilacqua (di San Francisco) abitava a 15 minuti d’auto da dove venne ucciso da Zodiac il taxista Paul Stine, nel 1969. Sul fronte Mostro, non c’è solo il fatto che, nel periodo degli omicidi a Firenze, Bevilacqua abitasse a 10 minuti di cammino dall’ultima scena del crimine del maniaco e a meno di mezz’ ora dalla maggior parte degli altri delitti. Ci sarebbe una prova che frequentasse il quartiere dove risiedeva Susanna Cambi, una delle vittime del Mostro, nei giorni in cui venne uccisa a Calenzano. Per qualcuno, Bevilacqua è un uomo vessato da molte coincidenze sfortunate. A breve, però, rischiano di diventare troppe.