Il 6 Ottobre 2021, presso il carcere di Velletri, viene ascoltato Angelo Izzo da parte della Commissione Parlamentare nelle persone dell’ex Giudice Giuliano Mignini e del Giudice Guido Salvini. Il pregiudicato è stato sentito secondo le forme della libera testimonianza, resa con l’assistenza del suo difensore di fiducia; l’esame è stato effettuato in presenza e sotto la guida del Presidente della Commissione, Senatore Morra.
Nel 2016, (12 agosto 2015) Angelo Izzo ruppe il prolungato silenzio che circondava la vicenda della sparizione della ragazza, raccontando una complessa storia secondo la quale Rossella Corazzin sarebbe stata prima rapita, poi detenuta in un luogo non meglio identificato dalle parti di Riccione. Quindi, nel corso di una cerimonia a sfondo iniziatico ed esoterico, Rossella Corazzin avrebbe subito una violenza sessuale di gruppo e in seguito sarebbe stata uccisa. Tutto questo sarebbe accaduto in una villa presso il Lago Trasimeno, di proprietà di Francesco Narducci. Le dichiarazioni dell’Izzo sono state rese avanti diversi uffici requirenti e sono state al fine valutate dall’ufficio giudiziario perugino, le cui conclusioni si sono orientate nel senso della inattendibilità di Angelo Izzo e, pertanto, hanno dato luogo all’archiviazione del procedimento. Vedi procedimento n. 7416/16/21 RGNR della Procura Perugia.
La Commissione ha ritenuto opportuno audire nuovamente il predetto, detenuto presso la Casa circondariale di Velletri, nelle forme della libera testimonianza. Preliminare all’analisi di quanto dichiarato dall’Izzo è l’esposizione del criterio di valutazione che la Commissione ha deciso di adottare. Su tale metodo, si tornerà nel prosieguo della trattazione e, in particolare, nelle conclusioni della Sezione, allorquando si tratterà di illustrare le conclusioni cui si è giunti e si soppeserà il loro esito nel contesto generale della materia di pubblico interesse in titolo.
Le dichiarazioni di Angelo Izzo possono idealmente suddividersi in due complessi distinti: la gran parte del suo apporto dichiarativo è rivolto alla asserita dinamica del rapimento, della violenza di gruppo e, infine, dell’uccisione di Rossella Corazzin. Una frazione minore delle sue rivelazioni atterrebbe, invece, al suo rapporto e alle sue modalità di conoscenza con Francesco Narducci, con particolare riferimento a quanto Izzo dichiara circa elementi descrittivi, a suo dire narratigli dallo stesso Narducci, con riguardo alla dinamica del duplice delitto di Borgo San Lorenzo del 14 settembre 1974.
Il primo complesso dichiarativo si atteggia come un’affermazione di carattere confessorio con chiamata plurima di correo. Infatti, l’Izzo ammette spontaneamente di aver preso parte alla violenta cerimonia rituale che si risolse, a suo dire, in una violenza sessuale di gruppo in danno della giovane Rossella Corazzin. Si tratta di affermazioni spontanee, nel senso che mai nessuno prima di Izzo, aveva prospettato un suo coinvolgimento nella scomparsa della ragazza; né Izzo si è obiettivamente trovato in condizioni tali da effettuare la chiamata di correità per alleggerire la propria posizione processuale, dal momento che –lo si ribadisce– nulla era mai emerso sulle condizioni obiettive e lo sfondo criminale in cui sarebbero maturati i presunti reati in danno della ragazza scomparsa. Per quel che attiene, invece, alle dichiarazioni riferibili a quanto appreso de relato (dal Narducci) sul delitto di Borgo San Lorenzo, non si è al cospetto di una chiamata di correo nei riguardi del defunto medico perugino, perché l’Izzo ha espressamente affermato che il gastroenterologo umbro non gli avrebbe mai confidato la propria responsabilità nel delitto di Borgo San Lorenzo, rispetto al quale, oltre tutto, l’Izzo stesso si professa completamente estraneo.
Ora, alla luce di questo quadro di insieme, la Commissione si è determinata a svolgere una duplice verifica in riferimento a quel che ha affermato Izzo: in primo luogo si è soffermata a valutare l’attendibilità intrinseca di quanto da questi riferito; in secondo luogo, ha ritenuto di vagliare le possibili vie per giungere a dei riscontri esterni. Il secondo iter di indagine–come detto–si è interrotto anzitempo per via dello scioglimento anticipato delle Camere e la dissoluzione della XVIII legislatura repubblicana. Questa scelta, con riferimento alla parte dichiarativa concernente il rapimento e l’omicidio di Rossella Corazzin è conforme agli orientamenti della Suprema Corte di Cassazione a mente della quale: «Ai fini di una corretta valutazione di una chiamata in correità, il Giudice deve in primo luogo verificare la credibilità del dichiarante, valutando la sua personalità, le sue condizioni socio-economiche e familiari, il suo passato, i suoi rapporti con i chiamati in correità e le ragioni che lo hanno indotto alla confessione ed all’accusa dei coautori e complici; in secondo luogo, deve verificare l’attendibilità delle dichiarazioni rese, valutandone l’intrinseca consistenza e le caratteristiche, avendo riguardo, tra l’altro, alla loro spontaneità ed autonomia, alla loro precisione, alla completezza della narrazione dei fatti, alla loro coerenza e costanza; deve, infine, verificare l’esistenza di riscontri esterni, onde trarne la necessaria conferma di attendibilità».
D’altro canto, vale la pena evidenziare che la Commissione si è orientata a seguire questo metodo, pur nella piena consapevolezza che l’Izzo risulta essere un vero e proprio confitente, cioè colui il quale rende confessione, giacché–giova ripeterlo–fu lui stesso sua sponte a far emergere queste sue presunte responsabilità in merito alla scomparsa di Rossella Corazzin, provando a far uscire dal buio, vero o falso che sia il suo apporto dichiarativo, una vicenda sulla quale nulla e nessuno aveva svolto cenni in precedenza. Pertanto, trattandosi appunto di confessione spontanea, la Commissione avrebbe ben potuto uniformarsi idealmente anche ad altro (e meno stringente) orientamento della Suprema Corte di Cassazione secondo il quale: «La confessione è soggetta, come tutte le prove orali, alla verifica dell’attendibilità, ma non vi è la necessità dell’acquisizione di riscontri “individualizzanti”, poiché non si applica, per le dichiarazioni contra se dell’imputato, la disciplina prevista dall’articolo 192, commi 3 e 4 delc.p.p.».
Tuttavia, giusta l’importanza dei fatti su cui vi è accertamento da parte di questa Commissione inquirente, e vista la natura stessa degli organi di inchiesta del Parlamento, nonché la peculiare valenza delle ricostruzioni da queste operate, il collegio si è deciso a mantenere altissima la soglia del dubbio su quanto l’Izzo avrebbe rivelato con le sue primigenie dichiarazioni e la loro rinnovazione avanti la stessa Commissione. In relazione, infine, alla seconda parte del dichiarato dell’Izzo, quella relativa al duplice delitto del 1974, alla Commissione non rimane che prendere atto dell’impossibilità di giungere a riscontri esterni, dato che il de relato che l’Izzo avrebbe tratto dal Narducci, non integrando dirette ammissioni da parte dello stesso defunto medico umbro, varrebbe, soltanto come un elemento volto ad esplicare la conoscenza, l’interesse e un qualche tipo di implicazione indeterminata, del Narducci nel sanguinario episodio criminale accaduto a Fontanine di Rabatta. In altre parole, le affermazioni dell’Izzo varrebbero comunque poco, potendosi considerarle ai fini di una generale valutazione della veridicità dell’asserita conoscenza tra lo stesso dichiarante e, appunto, Francesco Narducci.
Quale dato di ordine generale, l’audito è apparso disponibile e, almeno apparentemente, aperto, sebbene in molti punti ha mostrato non piena coerenza nel discorso e la tendenza a divagare rispetto al tema proposto. In primo luogo, si è soffermato a lungo nel descrivere l’ambiente eversivo romano esistente intorno alla prima metà degli anni Settanta dichiarando in tale contesto di conoscere da molto tempo i fratelli Di Luia, in particolare Serafino Di Luia, braccio destro di Stefano Delle Chiaie. Ha dichiarato di conoscere anche il frate Félix Morlion, fondatore dell’Università «Pro Deo». Secondo Izzo, sarebbe stato questo religioso a indirizzarlo verso la «Rosa rossa»–di cui avrebbe fatto parte anche Serafino Di Luia–una setta di carattere esoterico che ricorre frequentemente nelle indagini sul cd. «Mostro di Firenze»
Izzo ha riferito di aver conosciuto Francesco Narducci in provincia di Arezzo in una tenuta denominata «Il Borro» che, fino al 1993, sarebbe appartenuta alla famiglia reale del ramo dei Savoia-Aosta. Qui si tenevano riunioni monarchiche e incontri che egli definisce di tipo massonico «neo-templare». Questi riferimenti sembrano ricondurre alla «Rosa rossa» di cui il Narducci sarebbe stato forse membro qualificato, con un prestigioso ascendente massonico.
Izzo ha narrato che, poco tempo dopo il duplice delitto in danno di Pasquale Gentilcore e di Stefania Pettini, consumato il 14 settembre 1974, in località Fontanine di Rabatta presso Borgo San Lorenzo (FI), Narducci gli avrebbe parlato di alcuni dettagli di tale atto omicidiario e degli aspetti «esoterici» che lo contraddistinsero, mostrando una notevole conoscenza di elementi della dinamica dei fatti e dello scenario che si presentò agli inquirenti al momento del ritrovamento delle vittime. Va precisato che, all’epoca, presso l’opinione pubblica, tali dettagli erano per lo più ignoti. Ha, inoltre, descritto taluni particolari della fisionomia e della personalità di Narducci che sono apparsi piuttosto analitici ed esatti, sebbene va detto che gran parte di questi elementi sono ormai divenuti di dominio pubblico o comunque di facile reperimento. Per averlo appreso da Narducci, Izzo ha ricondotto il citato duplice delitto del 1974 al gruppo «satanistico» nazista, dei «Nove Angoli» dedito ai sacrifici umani, legato alle dottrine dell’Ordine Ermetico della Golden Dawn di Aleister Crowley. I riferimenti fatti da Izzo potrebbero essere parto delle sue ricerche o potrebbero essere conseguenza di conoscenze acquisite da terzi, magari in carcere; tuttavia, non può escludersi che possa aver appreso effettivamente tale circostanza da Narducci. Conseguentemente si presenta il problema del possibile coinvolgimento del medico perugino nel duplice omicidio del1974, che potrebbe–secondo alcune ipotesi meglio illustrate nel prosieguo–rappresentare la genesi della serie di omicidi comunemente denominati i delitti del «mostro di Firenze».
Non può sottacersi ai fini di valutare l’attendibilità di Izzo che, intorno agli anni Novanta o verso i primi anni Duemila, egli ebbe a ricevere nel carcere di Paliano ove era detenuto, la visita della giornalista Gabriella Pasquali Carlizzi che era nota per la sua approfondita conoscenza della setta della «Rosa rossa». D’altro canto, tuttavia, ella non sembra essersi mai occupata dell’altra setta, quella dei «Nove Angoli». Quindi, sul punto rimane un’incertezza di fondo riguardo l’origine della conoscenza di quanto riferito da Izzo in ordine a queste sette e non può, dunque, escludersi che il racconto dell’audito corrisponda, in tutto o in parte, al vero. In sintesi, rimane plausibile l’ipotesi che Narducci possa essere stato, in qualche misura, coinvolto nei delitti del «mostro di Firenze», così da fornire particolari dettagliati in ordine al primo di questi (se si esclude, come si chiarirà oltre, il duplice delitto del 1968 avvenuto a Signa). L’ipotesi del coinvolgimento del Narducci in tale vicenda è stata, in ogni caso, accolta come possibile dall’ordinanza del GIP perugino Marina De Robertis, nel procedimento n.1845/08/21 RGNR della Procura Perugia.
L’ipotesi appare, comunque, probabile per il fatto che Izzo non ha mostrato, nel corso delle sue dichiarazioni, particolare interesse per glia spetti «esoterici» asseritamente narratigli dal Narducci, il che induce a ritenere che della setta della «Rosa rossa» e di quella dei «nove Angoli» egli abbia appreso da terzi. Un’altra circostanza che appare possibile e finanche verosimile è l’incontro che Izzo racconta di aver avuto con il medico perugino nella chiesa templare di San Bevignate di Perugia, che è situata assai vicino al cimitero comunale. Ora, i luoghi e l’interno della chiesa sono descritti da Izzo con discreta precisione, se si tiene conto del fatto che l’episodio riferito si sarebbe verificato in epoca risalente a quasi cinquant’anni prima, difficilmente avrebbe potuto visitare quella chiesa e i dintorni di Perugia. D’altro canto non appare ragionevole che ciò abbia fatto nel periodo in cui si rese latitante a seguito dell’evasione che lo vuole protagonista nel 1993.
Tornando alla descrizione fisiognomica di Narducci, Izzo ne ha parlato alla Commissione con una certa precisione, ma questa circostanza potrebbe non essere di per sé significativa giacché non può escludersi che il pregiudicato romano possa avere visto fotografie del personaggio. Più puntuale è il suo riferimento al «lievissimo» accento perugino che caratterizzava il modo di esprimersi di Narducci: elemento corrispondente al vero e di una qualche pregnanza se si considera che quella del Narducci era a malapena una inflessione e non un dialetto o una marcata tendenza a parlare un italiano dai tratti fonetici localizzabili. Del resto, è noto come la parlata perugina, a differenza degli altri dialetti dell’Umbria, sia percepibile e individuabile con una certa difficoltà da persone abitanti in altri contesti. Infatti, capita regolarmente che l’inflessione perugina venga scambiata per «aretina» o, comunque, «toscaneggiante» dai settentrionali e dai toscani e, viceversa, più o meno affine all’accento romanesco dai meridionali.
Izzo ha riferito anche di due incontri avuti in autostrada con Francesco Narducci presso il Motel Esso, in particolare, uno con il «Fronte»–cioè, sembrerebbe, con l’organizzazione di Valerio Junio Borghese–l’altro, nel 1974, con «Ordine nero». L’anno citato da Izzo, il 1974, risulterebbe in effetti compatibile con la genesi di «Ordine nero». In tale contesto, va rilevato che dalle lunghe indagini che hanno riguardato la morte di Narducci e che hanno altresì esplorato molteplici aspetti della sua vita, non è mai emerso alcun elemento circa una eventuale vicinanza del medico perugino agli ambienti dell’estrema destra. La completa estraneità di Narducci a tali ambienti apparirebbe, secondo alcune ipotesi, piuttosto singolare atteso che a quei tempi il capoluogo umbro era noto per essere una città «roccaforte» sia di Ordine Nuovo che di Ordine Nero. È innegabile, però, che il Narducci tendesse a vivere in una sorta di compartimentazione, celando comprensibilmente aspetti più compromettenti, specie nel contesto perugino in cui era conosciuto come uno stimato e prestigioso medico e ricercatore.
Quanto all’appartenenza a logge massoniche di Francesco Narducci, le dichiarazioni di Izzo sembrano confermare quanto emerso dalle indagini svolte negli anni Duemila. A parte l’ambiente familiare–in cui oltre al padre Ugo Narducci, appartenente alla loggia «Bellucci» del G.O.I., anche il suocero Gianni Spagnoli, il suocero del fratello, Giovanni Ceccarelli e il testimone di nozze della moglie Francesca, Mario Bellucci (quest’ultimo appartenente alla loggia omonima), sono risultati tutti appartenenti a logge del G.O.I.–dagli atti di indagine è emerso che anche Francesco Narducci era un iscritto alla massoneria. Fu visto coi paramenti massonici nella vecchia sede del G.O.I. di Perugia ma, probabilmente, la sua loggia di appartenenza era fiorentina, forse la «Concordian.110» di Firenze, con cui aveva un forte rapporto la loggia militare USA pisana, «Benjamin Franklin n.521». (Si vedano le dichiarazioni del Notaio Dr. Paolo Biavati in data 27 (17) ottobre 2005, nel proc. n. 2782/05/21 RGNR della Procura di Perugia). Di questo fatto risultano concordanti spunti tanto nelle dichiarazioni di Izzo quanto in quelle rese dinanzi al XXI Comitato di questa Commissione antimafia dall’ex Gran Maestro del G.O.I., Giuliano Di Bernardo. Vale la pena precisare, ancora una volta, che in questa sede ci si limita ad esporre e valutare le sole dichiarazioni di Izzo suscettibili di scrutinio, in quanto ragionevolmente verosimili e tali da essere oggetto di possibile riscontro o conferma.
Altro snodo nevralgico in relazione al quale potrebbe in ipotesi rivalutarsi, sia pur con ogni possibile prudenza, il livello di attendibilità specifica di Izzo consiste nelle confutazioni che egli ha offerto in audizione circa le conclusioni dei magistrati perugini che lo ritennero non credibile. Secondo quanto emerge dalla lettura degli atti del procedimento della procura della Repubblica di Perugia in cui Izzo venne sentito, il P.M. non ritenne degne di fede le sue dichiarazioni in quanto «non vi sarebbero state prove che potessero validare uno specifico frammento dichiarativo», con particolare riguardo al fatto che Izzo aveva affermato di essersi recato al Circeo in posti vari e indeterminati perché non trovava la villa di Andrea Ghira. Ebbene, dinanzi alla Commissione Izzo ha obiettato che, quando si recava al Circeo–ben prima del cd. «massacro del Circeo» del 1975 per cui fu poi condannato –, andava a dormire a casa di tale Esposito e che, prima della villa al Circeo, la famiglia Ghira poteva contare su una villa aFregene dove Izzo si recava sovente. Anche l’episodio dell’acquisto di armi da cui sarebbero derivati problemi giudiziari ad Izzo si verificò al Circeo, proprio in quel periodo. La sua presenza al Circeo sarebbe stata evidente e conseguenziale al ti podi vita che conduceva in quel periodo nel quale non aveva confidenza con la villa di Ghira dove, com’è noto, nel settembre del 1975 venne consumato il cd. «massacro del Circeo» ai danni delle vittime Rosaria Lopez e Donatella Colasanti. Izzo, a conferma della sua presenza al Circeo nel periodo in cui sarebbe stato avvertito del rapimento della Corazzin e della imminente «cerimonia», ha fornito ulteriori particolari. Ha citato, ad esempio, anche il nome di una tale Alessandra Casellato che «avrebbe sentito parlare»–ma qui il riferimento dell’audito è apparso vago e confuso–del sequestro della povera Rossella Corazzin. Sul punto, Izzo ha persino rappresentato alla Commissione la sua disponibilità ad un confronto, aggiungendo poi un ulteriore particolare: sempre partendo dal Circeo, lui e i suoi complici di allora avrebbero compiuto il sequestro di un certo Francisci, con l’esito fruttuoso di ben 300 milioni di lire di bottino. Pur trattandosi indubbiamente di elementi da riscontrare–espressi per altro, come sopra accennato, nel contesto di una narrazione vaga e confusa–vi sarebbe forse ancora margine per verificarne la veridicità o, quanto meno, la plausibilità o verosimiglianza. La Commissione, tuttavia, non è stata in grado di poter procedere ad u piano sistematico di ulteriori audizioni, a causa della chiusura anticipata della Legislatura, di tal ché non è stato possibile eseguire, qui come per altre circostanze narrate da Izzo, i riscontri istruttori necessari per formulare una qualsiasi valutazione definitiva su quanto dichiarato di Izzo innanzi a questa Commissione.
Queste riflessioni valgono anche per il successivo narrato dell’audito. Izzo, ad esempio, ha aggiunto di essere stato fermato dai Carabinieri e cita a riscontro comprovante il fatto che il suo amico ascolano Lucilio Crocetti, detto «Lothar», fosse stato arrestato mentre lo stava raggiungendo proprio al Circeo. Questi era, secondo Izzo, l’autore della rapina di Ortona. Era a bordo di una Fiat 132. Questo individuo sarebbe stato trovato con un MAB, un’arma da guerra e una pistola Beretta. Anche su queste vicende e sui dettagli ad esse connessi, Izzo ha manifestato un certo disordine espositivo e una frenesia dichiarativa che rendono anche tali micro-episodi complessivamente non conducenti circa una piena affermazione di plausibilità del suo racconto. Complessivamente, l’audito ha tenuto a sottolineare più volte in audizione il fatto di non essere stato creduto dai magistrati perugini, mentre le sue dichiarazioni avrebbero potuto e dovuto essere verificate, come anche altri episodi.
Di particolare rilievo ai fini della valutazione della credibilità del racconto di Izzo sui fatti di cui la casa di Narducci sarebbe stato teatro, è certamente la descrizione che egli ha offerto alla Commissione della villa dove avrebbe avuto luogo la «cerimonia» in seguito alla quale Rossella Corazzin sarebbe stata uccisa. Effettivamente, alla villa di Narducci a San Feliciano si accede da una strada bianca, e Izzo l’ha descritta asserendo di esservi stato solo una volta e poco meno di cinquanta anni fa. La strada collega la parte della frazione di San Feliciano di Magione (PG) che è ad altezza del lago, con il cancello ad ingresso della villa che si trova sulle alture. Izzo ha precisato che la villa non era proprio sul lago ma era disposta all’interno. Anche questo dato è esatto. Ha poi affermato che all’interno, oltrepassato il cancello, vi era una specie di giardino e quindi il fabbricato di una villa che non era enorme. Anche questi particolari corrispondono al vero. Ha quindi aggiunto che dalla villa era possibile vedere il lago. Pure questo elemento corrisponde a verità, atteso che dall’immobile effettivamente è possibile scorgere un’estremità del lago, probabilmente la sponda orientale, verso Perugia. Del pari, risulta veritiero che vi fosse una terrazza che Izzo afferma «si potesse coprire o scoprire». Nella villa vi sarebbe stato, poi, una specie di giardino-cortile a cui si accedeva da un viottolo. Inoltre, l’audito ha ricordato che dalla porta o, per meglio dire, da una delle due porte, si trovava l’accesso nella parte interna. Ha ricordato, senza però esserne certo, che vi fossero due porte; certamente vi era però un ingresso che dava verso il lago: ed anche questo particolare è risultato esatto. Se il dato appare tutt’altro che specifico e qualificante di un’esperienza visiva personale, lo è molto di più il secondo elemento mnemonico che egli riferisce e cioè che vi era un ingresso laterale. Izzo non ricorda se fosse dalla parte destra, spalle al lago, o alla sinistra, ma non dubita che dalla casa si vedesse il lago e che l’ingresso fosse sulla destra avendo accesso dal sentiero. Dall’ingresso dalla parte del lago si accede ad una specie di «tavernetta», così denominata dalle persone che frequentavano la villa ai tempi delle indagini sui fatti che condussero alla morte di Narducci. Si trattava, in realtà, di una specie di ripostiglio, al piano terra dell’immobile, con stanze sulla destra, sempre spalle al lago. Izzo ha descritto alla Commissione il contesto con una certa precisione: ha rammentato che sulla destra, sempre al piano terra, vi era la cucina e, per quanto sia stato impossibile procurarsi una piantina catastale sullo stato dei luoghi risalente al 1975, il dato risulta confermato da alcuni sopralluoghi effettuati nella prima decade degli anni Duemila, in occasione delle indagini sul decesso del Narducci. All’interno della casa vi erano delle scale ed Izzo le ricorda bene. Alle scale si accedeva soprattutto dall’ingresso laterale. Izzo ha rammentato che erano vicine all’ingresso di lato e il dato risulta corrispondente al vero. Infine, Izzo ha descritto nel corso della sua audizione la stanza grande ove sarebbe avvenuta la «cerimonia». Ha ricordato come da quella stanza ampia si giungesse poi nella terrazza coperta da dove si vedeva il lago; ha poi aggiunto che vi erano delle camere. Anche questo dato è confermato: alla destra del salone, guardando il lago, si aprivano all’epoca altre stanze. O almeno così era nei primi anni duemila, epoca dei richiamati sopralluoghi. In sintesi, le dichiarazioni sul punto rese da Izzo appaiono non inverosimili e dimostrano con ragionevole probabilità che il prevenuto si era effettivamente recato presso la villa di Narducci.
Passando a valutare la descrizione dei due giovani perugini che erano tra coloro che, secondo le dichiarazioni di Izzo, avrebbero preso parte alla «cerimonia» che condusse alla morte di Rosella Corazzin, deve osservarsi come la descrizione offerta dall’audito appaia estremamente vaga e non consenta alcuna individuazione. Il predetto li ha indicati, infatti, senza dare ulteriori dettagli, come due soggetti «alti, “fini”, biondicci e con occhi spiritati» specificando che uno dei due era «tarchiato». Izzo ha, poi, indicato tale Serafino Di Luia tra i partecipanti alla «cerimonia». Lo ha descritto come un soggetto che vantava una notevole cultura «magico-esoterica», apparendo alla stregua di un seguace della dottrina di Julius Evola, ma anche di Arturo Reghini, massone del gruppo UR, che denota una certa accentuazione del mito della «Romanità». Da quanto ha raccontato Izzo ed, in particolare, laddove riferisce alla Commissione le parole che sarebbero state pronunciate da Di Luia nel corso della citata «cerimonia», sembra potersi dedurre che i riferimenti di tale personaggio fossero orientati verso il «neo-templarismo», con una vaga sottolineatura «cristianeggiante» e militare.
Tornando alla chiesa templare di San Bevignate a Perugia, Izzo ha dichiarato che con lui c’era tale Esposito (vedi supra), oltre a Francesco Narducci: quest’ultimo, secondo quanto affermato dall’audito, sembrava assumere quasi il ruolo di guida esoterica intento com’era ad illustrare, ad un Izzo allora relativamente disinteressato, la simbologia che arredava quell’edificio. Izzo si è pure soffermato in audizione sulla collocazione–risultata corretta–del cimitero rispetto alla chiesa di San Bevignate. Guardando al lato della chiesa parallelo alla strada (quella che dal vecchio policlinico porta al cimitero comunale), il cimitero è di lato, effettivamente. È posto a circa 200 metri a sinistra. Izzo non è riuscito ad essere più puntuale nella descrizione, tuttavia a domanda risponde con precisione che il cimitero «si trovava a lato della chiesa», lungo la strada. Guardando la chiesa, invece, dall’altro ingresso, quello volto verso la salita che portava al vecchio policlinico, il cimitero era situato dietro alla chiesa. L’ audito non è stato in grado di fornire ulteriori dettagli. E già per uno che non era mai stato al cimitero, quello che lui aveva intravisto, cioè l’ingresso principale, poteva essere anche un’ala del cimitero. In definitiva, Izzo ha affermato che il cimitero lo vide su un lato, precisando come esso sembrava «avvolgere» la parte posteriore della chiesa.
Tornando alla dinamica del delitto Corazzin (rectius: dei diversi crimini in ipotesi consumati in danno della ragazza), Izzo ha riferito alla Commissione quanto gli avrebbe raccontato Narducci, sia in ordine all’ucisione della ragazza, che sarebbe avvenuta per strangolamento con una corda, sia sull’occultamento del cadavere avvenuto nei dintorni della villa di sua proprietà a San Feliciano di Magione. Rispondendo a precise domande, Izzo racconta poi del primo omicidio da lui stesso asseritamente commesso, in danno di Giuliano Carabei e della sua donna Tiffany: «vicino, sul lago», dice Izzo. Una vicenda quest’ultima inverificabile. (Si tratta di Tiffany Hoyveld, nome d’arte di Maria Teresa Lorray, attrice e fotomodella inglese di origine sudamericana vissuta a Roma negli ultimi tre anni della sua vita. Come risulta dalla stampa dell’epoca, i corpi dei due giovani, attinti da numerosi colpi di arma da fuoco, furono rinvenuti da due guardiapesca durante un regolare giro di controllo la mattina del 15 dicembre 1971 lungo le sponde del lago di Martignano nei pressi di Roma. Iresponsabili del duplice omicidio non furono mai identificati).
Venendo ora al duplice delitto del settembre 1974, consumato a Borgo San Lorenzo (FI) in località Fontanine di Rabatta in danno di Pasquale Gentilcore e di Stefania Pettini, Narducci era, secondo quanto dichiarato da Izzo, molto informato e consapevole dei risvolti «esoterici» che avrebbero caratterizzato la dinamica del duplice omicidio. Tuttavia, mette conto precisare che Izzo, nelle sue dichiarazioni alla Commissione, non dice che Narducci gli avrebbe confessato il suo diretto coinvolgimento nel delitto, bensì afferma che costui gli avrebbe parlato nel dettaglio della scena di Rabatta, di cui sembrava conoscere bene sia la dinamica in generale che i dettagli del duplice omicidio. Va ricordato che al tempo in cui accadeva tale terribile evento, Narducci si trovava a Firenze dove aveva iniziato a svolgere il servizio militare prima di essere riformato. Si tratta di un dato–noto da molti anni e che in rete è facilmente rinvenibile–che è già stato considerato da chi ha riflettuto e indagato sull’eventuale coinvolgimento di Francesco Narducci nei delitti in danno delle coppie occorsi nella provincia di Firenze. Ciò premesso, è indubbio che se le circostanze riferite da Izzo fossero veritiere, il racconto reso avrebbe significativo rilievo, tenendo conto che: a) il duplice delitto di Borgo San Lorenzo, pur efferato e sensazionalistico, non poteva essere di comune conoscenza del pubblico e quindi di Francesco Narducci, visto che peraltro non era ancora ascrivibile ad una catena omicidiaria a vittimologia determinata come si evidenzierà solo di seguito, a partire dall’estate del 1981; b) per Narducci ed Izzo un fatto criminale come il duplice omicidio Pettini–Gentilcore non poteva avere particolare richiamo, dato che nessuno di loro aveva ragioni specifiche di contatto con la campagna fiorentina e con l’area di Vicchio del Mugello; c) nella narrazione degli eventi fatta ad Izzo da Narducci costui aveva posto in forte evidenza la «componente esoterica» di tale duplice crimine, connessa al terribile dettaglio del «tralcio di vite» e ad altre caratteristiche rinvenibili nella dinamica omicidiaria.
Izzo ha, inoltre, riferito alla Commissione che Narducci, sempre con riferimento al duplice omicidio di Borgo San Lorenzo del 1974, gli confidò di aver ricevuto supporto dall’ambiente perugino (non si sa bene in cosa, peraltro, dato che l’audito mai ha parlato di un diretto coinvolgimento del medico nel delitto), sebbene quello fosse, a detta di Narducci, un contesto di cui egli stesso non si fidava, perché erano «mezzi malavitosi» e, tra essi, c’era un pugile, un certo Pieristè. Peraltro, Izzo, in una delle sue divagazioni non poco confuse, aggiunge che Perugia era una specie di roccaforte di Ordine Nuovo e non di Avanguardia Nazionale, a cui, invece, sembrerebbero essere stati vicini gli «amici» di Izzo e in particolare Di Luia. Ed in effetti, conosciuto a Perugia era ed è il pugile Pieristè un personaggio, particolarmente violento che faceva anche da «guardaspalle» e proteggeva personaggi altolocati o comunque di un certo potere- Pur dovendosi prendere atto che di episodi criminali ascrivibili a questa persona non vi sono risultanze ufficiali o riscontri, informazioni diffuse ma mai confermate tramandano che il Pieristè sarebbe stato coinvolto in diversi episodi di violenza. Le indicazioni di Izzo sono complessivamente coerenti anche su questo punto e conferiscono un tenore di verosimiglianza al suo racconto. Tuttavia, la Commissione è consapevole del fatto che la generale plausibilità del narrato, pur accompagnata da dettagli forniti in grandissima quantità, non è comunque sufficiente, di per sé, a far considerare le dichiarazioni dell’audito come riscontrate o asseverate.
Izzo, infine, in ordine alle ragioni del ritardo con il quale ha rivelato quanto confidatogli da Narducci sul delitto Corazzin, ha offerto giustificazioni che sono apparse non convincenti e, comunque, molto generiche. È vero tuttavia che la veridicità delle dichiarazioni non si può scartare per principio, anche perché la vicenda Narducci era certamente non più di attualità allorché, negli anni 2013-2014, erano state emesse le sentenze del GUP di Perugia Paolo Micheli in data 20 aprile 2010 (depositata il 20 febbraio 2012) e del GUP di Firenze De Luca, in data 21 maggio 2008. La prima sentenza fu poi quasi interamente annullata dalla III Sezione Suprema Corte di Cassazione, in data 21 marzo 2013; la seconda pronuncia, di assoluzione all’esito di giudizio abbreviato nei confronti dell’ultimo imputato per i duplici delitti fiorentini, divenne definitiva, in seguito alla mancata impugnazione.
Conclusioni in ordine alla attendibilità delle dichiarazioni di Angelo Izzo.
I riferimenti a vicende criminose estranee, almeno all’apparenza, al milieu di appartenenza di Narducci, restano un problema rilevante che si affianca a quello che già si presentò allorquando la procura della Repubblica di Perugia cercò di far luce innanzitutto sui fatti relativi alla sua scomparsa nei giorni di ottobre del 1985, sul lago Trasimeno. I riferimenti di Izzo a Narducci, alla chiesa templare di San Bevignate e, soprattutto, alla villa del medico sulle alture di San Feliciano di Magione (PG), sono tutti puntuali e questi ultimi, in particolare, l’audito non poteva averli appresi dalla cronaca. Ugualmente della setta dei «Nove Angoli», prima di Izzo non si era sentito parlare, con riferimento a Narducci, neppure dalla giornalista Pasquali Carlizzi. Quel che si può dire è comunque che il medico sembrava condurre una vita separata e distinta a seconda dell’area geografica nella quale si trovava: teneva un basso profilo a Perugia dove era conosciuto e stimato come gastroenterologo e docente universitario, mentre si esprimeva «più liberamente» al di fuori dell’area perugina e specialmente in Toscana. Ora se è vero che i riferimenti a sètte, come la «Rosa rossa», e a rituali di varia natura, Izzo può averli colti dai media e dall’attività della nota giornalista Gabriella Pasquali Carlizzi, è però anche innegabile che il suo apporto dichiarativo può scomporsi in due frangenti entrambi della massima importanza. Il primo, naturalmente, attiene all’indicazione offerta circa la vicenda della scomparsa di Rossella Corazzin: un fatto che non ha mai trovato spiegazione e che la Commissione ha ritenuto utile approfondire nella sua interezza, anche in ragione delle notevoli difficoltà delle indagini e della divergenza di orientamenti, di cui si è scritto in apertura di questa Relazione, registratasi tra la procura della repubblica di Perugia e le riflessioni di un magistrato già procuratore capo a Belluno. Il secondo fronte di interesse, invece, giunge dalle affermazioni di Izzo relative alle confidenze ricevute dal medesimo riguardo il delitto di Borgo San Lorenzo (FI) del settembre 1974.
Vedi Relazione Commissione Parlamentare
Ripetiamo, idea personale su le capacità o meno di mentire del soggetto. La descrizione della casa è stata estremamente particolareggiata e difficilmente poteva esserlo a questo livello per il solo sentito dire. Poi ognuno è libero di pensare ciò che vuole. Il fatto che una persona sia un mostro non significa che menta a priori.
No cara Redazione, mi dispiace ma sono tutte fantasie di uno squilibrato assassino. Il caso Corazzin è andato in tutt’altra maniera, invito ad approfondire la vicenda.
Ci fornisca lei le informazioni in merito. Magari possiamo organizzare per farla parlare con la Commissione, sempre che Lei abbia coraggio delle sue dichiarazioni.