Italia 1993, il mostro Pacciani: una crudeltà lucida che mescolava pietà e violenza

di Teresa Ciabatti

Accusato di essere il violentatore omicida di Firenze, stuprava le figlie di 9 anni e su una parete di casa teneva le foto delle bambine nude accanto a immagini sacre

Come passare l’estate? A riguardare Un giorno in pretura su RaiPlay. Condotto da Roberta Petrelluzzi, non ha niente da invidiare alle docuserie del momento. Non solo per il materiale d’archivio preziosissimo, ma per il montaggio, la consequenzialità narrativa con cui vengono raccontate le vicende giudiziarie e il contrappunto di Petrelluzzi che non giudica mai, riportando alla misura, se non al dubbio. Tra i casi più interessanti il processo a Pietro Pacciani accusato di essere Il Mostro di Firenze. La ricostruzione del processo ha un valore giudiziario, e insieme antropologico. Attraverso i testimoni, attraverso voci ora spavalde, ora impaurite (vedi le figlie di Pacciani), vergognose (vedi le prostitute), si compone uno spaccato della storia del nostro Paese, un documento che racconta chi eravamo trent’anni fa.

Quel mondo che ridacchia in tribunale

Pietro Pacciani, lucidissimo e crudele, violenta le figlie dall’età di nove anni, spiegando loro: «A venire con me non c’è pericolo, con gli altri invece rischiate di rimanere incinte». Nel caso le bambine dovessero rifiutarsi, giù botte. A detta di un testimone, su una parete di casa, mischiate a immagini sacre, Pacciani tiene le foto di donne nude tra cui quelle delle figlie – qui a sottolineare l’assoluta non percezione dell’abominio, finanche l’esibizione presso un mondo che accetta. Lo stesso mondo che in Tribunale ridacchia allorché Pacciani scatta in piedi per replicare alla testimonianza di una donna: «La lasciai per l’odore che aveva lei, puzzava di volpe (…) E lei mi dice che io venni a cercare lei? Se io l’avessi attaccata a un piede, mi taglierei il piede» (frase testuale). È il 1993, l’imputato (già in carcere per aver stuprato le figlie) è accusato di sedici omicidi. Il resto, in una gerarchia naturale di reati, finisce in farsa.

Immagini sacre e incesto

Eppure è proprio questo resto, il carico di dettagli ininfluenti ai fini processuali – scoppi d’ira, insulti, risate – che oggi, a distanza di trent’anni, impressiona. L’ostinazione, quasi la fiducia dei protagonisti che tutto possa stare insieme, perché normale. Così dopo il racconto mostruoso delle figlie sulle violenze subite, Pacciani in lacrime sostiene di aver voluto un gran bene alle bambine. E così, a inizio processo, lui recita una sua poesia: «Se nel mondo esistesse un po’ di bene, se ognuno si considerasse suo fratello, ci sarebbe meno pensieri e meno pene, e il mondo sarebbe assai più bello». La contiguità tra pietà e violenza, tra preghiera e ingiuria, definisce il contesto e il tempo. Come la parete dove sono affiancate immagini sacre e foto di incesto.

22 Luglio 2022 Stampa: Corriere della Sera – Italia 1993, il mostro Pacciani: una crudeltà lucida che mescolava pietà e violenza
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