Il 12 ottobre 2022 Nota della Polizia Giudiziaria a firma di Liberato Ilardi sulla riapertura delle indagini.
Questa la nota: 12 ottobre 2022 Nota PG riapertura indagini
Questa la trascrizione:
PROCURA DELLA REPUBBLICA DI FIRENZE
Sezione di Polizia Giudiziaria – Aliquota Carabinieri
N. 00090/29/2017/CC di prot.11o
Firenze, 12 ottobre 2022
Oggetto: procedimento penale n. 14165/19 R.G.N.R. mod. 44.
Richiesta riapertura indagini depositata il 26 luglio 2022 dall’avvocato Vieri Adriani – Analisi
Alla Procura della Repubblica di Firenze Dottoressa Beatrice Giunti Sost.
Dottor Luca Turco Vicario
Premessa
Appare orami provato che fu un’unica arma da fuoco ad essere impugnata per commettere tutti gli otto i duplici omicidi, lo dimostra anche l’ultima perizia balistica del maggiore Paride Minervini. Ma non solo. Il ritrovamento a distanza di anni di un proiettile conficcatosi in un cuscino rinvenuto nella tenda delle ultime due vittime (1985), le cui caratteristiche morfologiche non sono state alterate se non dal passaggio nella canna dell’arma dalla quale è stato esploso, quindi privo di ogni altro segno, ha permesso di acquisire elementi certi sull’arma di provenienza.
E’ opportuno tenere mentalmente in evidenza, nel leggere le risultante delle perizie balistiche che riguardano questo caso, che gli accertamenti per determinare l’arma usata dall’omicida hanno riguardato sia l’esame dei bossoli che dei proiettili repertati, e che gli accertamenti su questi ultimi, con la recente tecnica della misurazione dell’angolo di torsione, hanno dato riscontri più precisi. Le rigature della canna lasciano impresso segni caratterizzanti sui proiettili, in numero variabile ed andamento curvilineo ben preciso in base alla rotazione che chi ha progettato l’arma, ha inteso conferire al proiettile, filettando in tal senso la canna stessa.
Il predetto proiettile è stato esaminato dagli specialisti del Reparto Investigazioni Scientifiche di Roma (comunicazione n. 4308/7 di prot. I.T. 2014 datata 24 marzo 2016) con le seguenti conclusioni:
Queste le conclusioni: “L’esame metrico e ponderale del proiettile in piombo consegnato il 2 aprile 2015 dal personale della Sezione Anticrimine del ROS Carabinieri di Firenze ha consentito di riferirlo al calibro .22 LR. Tale proiettile, repertato all’interno di uno dei due cuscini rinvenuti nella tenda ove il 9 settembre 1985 erano rimasti vittime due giovani turisti francesi, è caratterizzato da un profilo pressoché integro e sulla superficie cilindrica sono presenti n. 6 (sei) rigature destrorse, mediamente ampie 0,5-0,6 mm, impresse dalla canna dell’arma da fuoco che lo ha sparato. Tali canoniche caratteristiche di classe sono compatibili con quelle dei proiettili esaminati nella perizia balistica ARCESE-IADEVITO depositata il 6 febbraio 1984 presso il Tribunale di Firenze e, alla luce dei più recenti database d’identificazione balistica menzionati nella presente relazione, risultano coerenti con quelle delle pistole semiautomatiche, calibro .22 LR, marca “BERETTA” appartenenti ai modelli della serie 70. In considerazione dei quesiti posti si è effettuata una ricerca tre le pistole semiautomatiche, calibro 22 LR, marca “HIGH STANDARD”, che riunissero caratteristiche di classe come quelle del proiettile in reperto e/o degli elementi di cartuccia esaminati sia nella citata perizia ARCESEIADEVITO sia nella consulenza balistica CASTIGLIONE-SPAMPINATO del settembre 1982 (NdR: 30 ottobre 1982). Con riferimento alle caratteristiche di classe dei proiettili solo i modelli della serie HB e B delle citate pistole “HIGH STANDAR”, potrebbero esibire una labile compatibilità, in quanto sono caratterizzate da canne aventi sei rigature destrorse ampie rispettivamente 0,60-0,80 mm e 0,65-0,80 mm (dati ricavati dal database “Firetyde” descritto in atti). Tale panorama, però, si restringe ulteriormente se si prendono in considerazione le caratteristiche di classe dei bossoli esplosi. Infatti, osservando tutti quelli documentati nelle citate relazioni balistiche dell’82 e dell’84, essi esibiscono un’impronta di percussione anulare dalla forma pressoché rettangolare. Questa peculiarità consente di escludere i modelli della serie B delle citate pistole “HIGH STANDARD”, poiché la forma della percussione anulare è di tipo circolare cosi come mostrato nelle due foto sottostanti, le quali ritraggono rispettivamente il fondello di uno dei bossoli calibro .22 LR, marca “Winchester” esaminati nella perizia ARCESE-IADEVITO ed il fondello di un bossolo di pari calibro estrapolato dal database “Firetyde”. Utilizzando il medesimo database sono state estrapolate anche le immagini di un paio di fondelli di bossoli esplosi da pistole semiautomatiche, calibro .22 LR, marca “BERETTA”, della serie 70, da cui si evince la tipica forma rettangolare dell’impronta di percussione pienamente compatibile con quella visibile nei bossoli in reperto trattati nelle citate relazioni balistiche dell’82 e 84. Inoltre, l’analisi relativa all’angolo di torsione delle rigature sui proiettili (parametro contemplato nei moderni database per l’identificazione delle armi da fuoco) ha consentito di misurare un valore compreso tra 2,4°-2,8° per il proiettile in reperto. A questo punto tale misura è risultata solo marginalmente sovrapponibile con quella dei proiettili delle citata pistole “HIGH STANDARD” appartenenti ai modelli della serie HB che è compresa tra 2,2°-2,5°, mentre è risultata altamente compatibile con quella delle citate pistole “BERETTA” appartenente ai modelli della serie 70 che è compresa tra 2,5°-2,8°. Pertanto ed in conclusione si ritiene che il proiettile in reperto giunto il 2 aprile 2015, analogamente agli altri elementi di cartuccia narrati nelle citate relazioni balistiche dell’82 e dell’84 (esaminati soltanto dallo studio degli atti resi disponibili), sia stato esploso da una pistola semiautomatica, calibro .22 LR, marca “BERETTA” appartenente ad uno dei modelli della serie 70. Tale conclusione è supportata non solo dalla coincidenza delle caratteristiche di classe canonicamente previste per i proiettili (numero, andamento ed ampiezza delle rigature) ma anche dalla misura, secondo le nuove tecniche d’indagine balistica, dell’angolo di torsione sul proiettile in reperto, nonché dalla forma dell’impronta di percussione sui bossoli esplosi in reperto”.
La descrizione dell’arma del primo delitto
Rileggendo i documenti del primo dei delitti, ci si imbatte nell’unica persona, allo stato attuale degli atti, che abbia visto e quindi descritto l’arma poi impugnata dal maniaco e mai ritrovata.
E’ Stefano Mele, imputato e poi condannato per l’omicidio della moglie Locci e del suo amante Lo Bianco, che quando a due giorni dal delitti viene formalmente accusato, tra le altre cose, rispondendo alla polizia giudiziaria che conduceva le indagini, fornisce una descrizione dell’arma usata, si riporta uno stralcio del verbale del 23 agosto 1968:
Effettivamente, la pistola che più somiglia a quella descritta da MELE è una Beretta della serie 70 calibro 22 LR che come si dirà in seguito può montare due canne differenti per lunghezza. Il VINCI a cui fa riferimento è Salvatore:
Nel corso delle indagini svolte quando i delitti erano attuali, furono esaminate diverse pistole calibro 22 L.R., la maggior parte marca “Beretta” vendute nella provincia di Firenze, con estensione delle verifiche anche ad anni simili vendute e detenute nei luoghi d’origine di alcuni degli indagati, come nel caso di quelle vendute a Villacidro, paese di nascita dei noti Vinci Salvatore e Francesco.
E’ stato ripetuto l’accertamento presso la “Beretta” limitatamente alla pistola appartenuta ad ARESTI Franco, nato a Villacidro il 10/8/1938, deceduto in Velsen (Olanda) il 9/11/1963, in seguito ad un incidente sul lavoro.
La pistola marca “Beretta” calibro 22 L.R. modello 71, matricola 24856 che, dall’esame degli atti dell’epoca, risultava di proprietà di ARESTI, mai è stata reperita. Di essa si sono perse le tracce non figurando né smarrita né rubata, tantomeno ereditata dai successori del predetto (comunicazione n. 34/354-1 datata 20 novembre 1984 del Reparto Operativo del Gruppo Carabinieri di Firenze allegata in copia alla richiesta del 17 maggio 2017).
L’esito dell’accertamento ha permesso, inoltre, di fugare le perplessità scaturite dal ritrovamento sui luoghi dei delitti di più bossoli rispetto ai canonici otto che comunemente si riteneva potesse contenere il serbatoio di anni simili, o magari 9 considerando l’inserimento di una cartuccia direttamente in canna.
Gli incaricati della “Fabbrica d’Armi Pietro Beretta S.p.A.” di Gardone Val Trompia, oltre a confermare i dati di vendita dell’arma, hanno specificato che:
– la stessa è stata prodotta il 28 agosto 1959;
– non sono in grado di precisare la lunghezza della canna ed il numero di cartucce del serbatoio, non essendo elementi sottoposti a registrazione di pubblica sicurezza;
– al tempo erano prodotte canne da 90 mm e da 150 mm oltre che serbatoi da 8 e da 10 cartucce;
quindi l’arma potrebbe avere l’una o l’altra canna oppure entrambe (comunicazione n. 222_17 datata 24 maggio 2017 della “Fabbrica d’Armi Pietro Beretta S.p.A).
I reperti balistici sequestrati nel corso degli accertamenti di quel primo duplice omicidio, furono esaminati, su incarico della Procura della Repubblica, dal colonnello Innocenzo Zuntini. E’ opportuno ricordare alcune sue osservazioni, per poter meglio valutare i risultati delle successive perizie:
Il colonnello Innocenzo Zuntini esaminò anche i reperti balistici del secondo duplice omicidio, quello avvenuto a Borgo San Lorenzo nel settembre 1974, vittime Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore (allegato 1).
Tra le altre cose giungendo a queste conclusioni:
( … ) pag. 25
Il colonnello Zuntini, nel ricostruire la dinamica del delitto evidenzia che i colpi furono esplosi in rapida successione, dandone una valida spiegazione, inoltre fa una stima dei colpi esplosi molto dettagliata. Si fa notare che alcuni modelli della Beretta serie 70 in calibro .22 hanno il serbatoio che può contenere fino a 10 cartucce, come sopradetto, nonché essere già approntate per lo sparo introducendo manualmente una cartuccia in canna.
Per meglio descrivere i reperti li disegna come rilevato dalla schede allegate alla relazione delle quali si riporta quella che raffigura uno dei bossoli repertati sulla scena del delitto, in basso si nota la rappresentazione della anomalia rilevata alla base dei bossoli, uguale a quella segnalata nei reperti del delitto del 1968 che il perito descrive come “rigonfiamento ben marcato (arma usurata con molla esausta)”:
Stessa anomalia riscontrata nei bossoli del primo delitto e poi rilevata anche sui bossoli di quelli successivi.
In tempi più recenti, nell’ambito del procedimento 364/10 R.G.N.R. mod. 45, gli esperti della Polizia Scientifica di Firenze, hanno avuto modo di esaminare la pistola semiautomatica consegnata da Anna DEL RE alla Stazione Carabinieri di San Casciano in Vai di Pesa, appartenuta al defunto padre Elio DEL RE. Trattandosi di una Beretta modello 72 calibro .22 Long Rifle (con serbatoio da 9 cartucce), come da prassi ormai consolidata nella lunga indagine sui delitti del “mostro di Firenze”, l’arma su delega del dottor Paolo CANESSA, è stata sottoposta a verifica che ha avuto il seguente risultato (allegato 2):
Questa è la fotografie dell’arma esaminata.
Gli argomenti in premessa sono d’obbligo atteso che si continua a sollevare dubbi sull’arma assassina, malgrado le perizie e le consulenze ottenute anche interpellando direttamente i tecnici della Beretta.
Di seguito si darà una spiegazione a quanto riportato nei punti dell’opposizione affrontando esclusivamente gli argomenti inerenti i delitti in questione.
Sui punti 1.1 – 1.2 – 2.2 – 2.3 – 2.4 dei motivi dell’opposizione alla richiesta di
archiviazione
Dagli atti del procedimento penale n. 7265/17 R.G.N.R. mod. 21 a carico di Giampiero Vigilanti, in particolare dalla relazione balistica preliminare, di cui ai fogli 1012 al 1031 del faldone 6, documento a firma del C.T. Paride Minervini, si rileva che effettivamente per la comparazione tra i reperti balistici in sequestro, relativi agli otto duplici omicidi, è stata usata, tra le altre, una pistola HI—Standard Military modello 107, e non l’esatto modello “104”, evidentemente non reperita. E’ per questo che il C.T. sottolinea che “la differenza tra i due modelli -104 e 107- è solo inerente alla tacca di mira regolabile, dove nelle “104” è presente sulla culatta del carrello è nella “107” è montata su un ponticello che si vincola al castello e permette all’interno, di far scorrere il carrello alleggerito” (allegato 3).
Tale organo si ricorda serve solo ed esclusivamente alla mira, essendo esterno all’arma, chiaramente non produce effetti sia sui bossoli che sui proiettili, ovvero non lascia segni per un eventuale confronto comparativo.
Per le altre argomentazioni si rimanda a quanto in premessa, sottolineando ancora una volta che è orma prassi analizzare tutte le pistole in calibro .22 L.R. rinvenute o consegnate alla P.G. per la rottamazione qualora le condizioni delle stesse lo consentano.
Sul punto 3.4
Come appurato dai militari del ROS di Firenze che hanno sentito Francesco Caccamo, comunicazione n. 73/1-64-2013 datata 23 aprile 2016, atti di cui ai fogli 494 a 514 del Faldone 4 del procedimento 7265/17 (allegato 4), la pistola HISTANDARD in questione ed un revolver è stata acquistata dal predetto dal maresciallo Giocondo Bove, nei primi anni ’70, presso il poligono di Prato, ove costui gestiva la vendita del munizionamento e curava la cessione della armi ai tiratori. Caccamo, sempre a suo dire, le aveva poi ricedute a Bove quando con l’entrata in vigore della legge sulle armi (L. 100/1975) erano state imposte limitazioni sul numero di armi detenibili.
L’arma successivamente giunge a Paolo Franchi, come si rileva dagli atti inseriti nella comunicazione n. 90/3/2017 datata 8 maggio 2018, faldone 5 fogli 511 e seguenti in particolare foglio 680. Infatti, il 3 giugno 1983, Franchi ha dichiarato, denunciandolo alla Questura di Prato, di essere venuto in possesso, oltre di un fucile ricevuto dall’armeria “Bianchi Antonio” di Prato, anche della predetta HISTANDARD acquistata dal Tiro a Segno Nazionale – Sezione di Prato (allegato 5)
Sul punto 3.5
Le armi, si precisa solo per dovere di cronaca, acquistate o cedute e comunque ogni variazione della loro detenzione, si denunciano presso i Commissariati di P.S. del luogo di residenza o presso le Stazioni Carabinieri di competenza ove non presente il predetto Ufficio di P.S.. Ciò premesso come si rileva, tra le altre cose, dalla comunicazione n. 90/3/2017 datata 8 maggio 2018, faldone 5 fogli 511 e seguenti, precisamente foglio 722, Vigilanti allorquando acquista il revolver matricola 314 calibro 7,65 e lo denuncia alla Questura di Prato in data 15 ottobre 2008, come previsto, correttamente riepiloga le armi e munizioni detenute, nel caso specifico la pistola Hi-Standard registrata al numero 554 e n. 100 cartucce calibro 22 LR registrate il 23/10/1995 (allegato 6). E’ evidente, quindi, che a quella data non detiene altre anni e munizioni.
Non è dato sapere il motivo per cui Giampiero Vigilanti abbia dichiarato ai giornalisti di aver posseduto una “Beretta” ed il perché un’affermazione simile sia stata riferita dalla moglie ai militari del ROS di Firenze. E’ però certo che malgrado le varie perquisizioni, subite nel corso degli anni, stiamo parlando di tutti atti a sorpresa, questa detenzione mai è stata appurata.
Quello che si legge alle pagine 389 e seguenti del Faldone 3 del procedimento 7265/17-21, ovvero la trascrizione dell’appunto redatto a mano individuato dai militari del ROS di Firenze negli atti dell’Arma territoriale di Prato, ha ben diverso significato se si leggono per interno i periodi indicati come “punto 9” riguardante l’uso di armi da parte di Vigilanti:
“9) dal 1976 è iscritto al poligono di tiro ma fino al 1980 non ha mai sparato nel 1980 spara con una 22 Beretta”
“9. dal 1976 è iscritto al poligono di tiro ma fino al 1980 non ha mai sparato può essere successo che: 1) abbia sparato con qualche suo amico che riempiva il modulo a suo nome 2) non abbia (mc) al poligono) (mc)… per la prima volta con pistola del poligono ma tutte cal 22 ha poi sparato (mc) nel 1983 ha comprato una High Standard L.R.”
E’ chiaro che il secondo “punto 9” sia stato arricchito con la precisazione che Vigilanti potrebbe essersi esercitato al poligono (non indicato ma potrebbe essere quello di Prato) e che quindi il riferimento sia a pistole calibro 22 in dotazione a quel campo di tiro (allegato 7)
Sul punto 3.6
L’iter delle 176 cartucce calibro 22 LR marca Winchester serie H, sequestrate a Vigilanti Giampiero il 22 novembre 1994 a seguito di perquisizione è stato riepilogato dai militari del Ros di Firenze nella comunicazione n. 73/1-29 di prot. 2013 datata 27 luglio 2015, fogli 338 e seguenti del faldone 3 del procedimento7265/17 (allegato 8). Leggendo gli atti utilizzati dai predetti per ricostruire la sorte delle munizioni sequestrate nel relativo procedimento penale a carico di Vigilanti, si comprende che il Giudice per l’Esecuzione dottor Geloso Petragnani in due diverse date ha disposto la confisca delle munizioni in sequestro ed il versamento alla competente direzione di artiglieria, rispettivamente il 18/10/1996 (foglio 405) ed il 13/7/00 (foglio 410). Questa seconda volta specificando che si tratta del corpo di reato n. 1286 e che il versamento è relativo a munizioni specificando tra parentesi “due proiettili”. E dal carteggio della Sezione di Polizia Giudiziaria della Procura di Prato si comprende il motivo di questi due diversi provvedimenti: dopo la sentenza detti militari hanno depositato le 176 cartucce calibro 22 sequestrate, ma non le due calibro 7,65, perché mai sequestrate, ma solo prese in consegna ricevendole una da Vigilanti ed una da Beatrice Garardo, quest’ultima parte offesa nel procedimento, quindi hanno chiesto al giudice dell’esecuzione un provvedimento specifico.
Del resto sarebbe incomprensibile un doppio provvedimento per uno stesso reperto, mentre invece, conoscendo la prassi, è plausibile considerare che sia stata la Direzione di Artiglieria a pretendere che fosse formalizzato l’essere le due cartucce calibro 7,65 confiscate e quindi da distruggere, in mancanza del relativo sequestro.
Detto ciò, si deduce che ad ordinare la confisca e la conseguente distruzione, in applicazione della prevista procedura in questi casi, è stato il giudice dell’esecuzione dottor Geloso Petragnani.
Inutile soffermarsi sui lotti di cartucce Winchester serie “H”, attesa la vastissima produzione di questa munizione, tant’è che ancora oggi se ne sequestrano scatole intatte. Le cartucce inesplose, non avendo subito i vari passaggi in un’arma, tali da lasciare impresse sulle loro parti i segni dell’azione meccanica dei congegni che portano allo sparo, non sono utili per i confronti. E’ un assunto intrinseco ad ogni relazione balistica: il perito cerca proprio i segni caratteristici lasciati dalle specifiche parti meccaniche dell’arma e naturalmente ha bisogno di quest’ultima per produrre reperti poi da confrontare, diversamente la sua indagine è utile solo per indirizzare gli accertamenti mirati all’individuazione della arma con la quale le cartucce in esame sono state esplose. In sostanza, ogni perizia balistica che escluda per il confronto, non avendola rinvenuta, l’arma incriminata, è da considerarsi incompleta.
Sul punto 3.7
Non sono state individuate agli atti fotografie dei reperti balistici del primo omicidio, quello del 1968. Le fotografie ditali reperti si ritrovano nelle successive perizie balistiche. Leggendo la perizia dell’epoca, svolta dal colonnello Zuntini, appare chiaro che non furono scattate foto dei reperti, ma lo stesso si limitò alla loro osservazione con dispositivi di ingrandimento ottico (lenti e microscopio). La descrizione fu minuziosa e si soffermò su particolari individuati sui bossoli che avrebbero consentito un facile riconoscimento dell’arma che li aveva esplosi, qualora questa fosse stata ritrovata (allegato 9):
Questa particolare impronta presente sui bossoli segnalata già nel ’68 dall’attento colonnello Zuntini, non sfuggì ai successivi periti. Solo ad esempio, anche perché riepiloga un po’ tutte le analisi svolte sui reperti balistici dei sedici omicidi, la perizia dell’ingegner Domenico Salza e Pietro Benedetti (allegato 10) che tra le altre cose, spiegano anche perché in alcuni bossoli non è evidente questo rigonfiamento:
( … ) pag. 7
Si ricorda, in ultimo, che allo stesso risultato di assoluta identicità dell’arma da fuoco impiegata dall’autore dei delitti del cosiddetto “mostro di Firenze”, giunge il perito • Maggiore Paride Minervini, che ha esaminato per ultimo tutti i proiettili ed i bossoli repertati.
Naturalmente resta unicamente imponderabile la provenienza di quei frammenti di proiettili repertati, che proprio perché tali, deformati e frazionati in più parti, non consentono alcuna analisi balistica, assunto più volte chiarito dai vari periti.
Il motivo della richiesta è intuibile: si teme o sospetta la creazione di prove ad arte per indirizzare le indagini verso i sardi. Non se non comprende un logico scopo, considerando che all’epoca, nel 1982, non vi era alcuna pista specifica o privilegiata, tanto da dover, per evitare conseguenze da parte, a questo punto dobbiamo dire del “depistatore”, sviare le indagini.
La questione del collegamento con il delitto del 1968 è stato affrontato anche dagli inquirenti del tempo.
Dal verbale del colonnello Olinto Dell’Amico sentito dal giudice istruttore Mario Rotella e dai pubblici ministeri Vigna e Canessa il lontano 9 maggio 1989 (allegato 11). Tra le altre cose:
“La S.V. mi chiede come durante le indagini del 1982 si ebbe notizia del possibile collegamento del delitto di Montespertoli con un precedente duplice omicidio del 1968. In quel periodo io reggevo anche il Reparto Operativo e anzi mi trovavo nell’Ufficio del quel Comando. Una mattina venne da me il maresciallo Fiore, che era addetto al Nucleo Informativo del Gruppo, e che nel 1968 era presso la Compagnia di Signa. Egli mi fece rammentare che appunto in quell’anno vi era stato il duplice omicidio di Signa e che la pistola era dello stesso calibro di quella adoperata per il duplice omicidio di Signa. Io ricordai anche che la pistola in quella circostanza non era stata trovata. Il giorno dopo ne parlai con il G.I. Tricomi. Il maresciallo Fiore mi disse semplicemente che si era ricordato dei fatti del 1968. Durante quegli anni, pur essendosi susseguiti nel ’74 e nell’81 altri delitti, non si era rammentato del collegamento, perlomeno non me ne aveva parlato. Fiore mi spiegò che improvvisamente si era reso conto che anche nel 1968 vi era stato un assassinio di due persone in una autovettura ferma. Per quanto ne so io, escludo che Fiore, che faceva parte del Nucleo Informativo, e quindi era estraneo alle indagini del 1982, avesse avuto notizia anche di fonti confidenziali, sia pure indirettamente, relative al fatto del 1968.”
Le espressioni “egli mi fece rammentare” e “io ricordai anche” originano dal fatto che l’allora tenente Dell’Amico aveva partecipato alle indagini sul delitto del 1968, quando era in servizio presso il Nucleo Investigativo del Gruppo Carabinieri di Firenze, come si evince dal rapporto giudiziario n. 34/354 del 21 settembre 1968 (allegato 12) e aveva assistito il dottor Antonino Caponnetto, all’epoca sostituto procuratore, nelle operazioni di ricognizione dei cadaveri (verbale allegato al predetto rapporto).
Quanto riferito dal colonnello Dell’Amico viene poi riportato in alcuni passi della sentenza ordinanza n. 357/1981 in data 13.12.1989 del giudice istruttore dott. Rotella (allegato 13, che si riporta di seguito):
(…) pag. 60
Venuta meno la “pista Spalletti”, un portantino di Montelupo arrestato durante le indagini per il duplice omicidio del 1981 di Scandicci e scarcerato in seguito a quello di Calenzano, le indagini non avevano un filo conduttore.
Questo filo sarebbe stato offerto dal ricordo del m.llo Fiori, in servizio presso il Comando Gruppo Carabinieri, e nl 1968 alle dipendenze della Compagnia di Signa. Egli rammentava al comandante del Reparto Operativo, T. Col. Dell’Amico, che in quell’anno dirigeva il Nucleo Investigativo dello stesso Gruppo, che nel 1968, appunto, era stata uccisa una coppia in Castelletti di Signa a colpi di pistola. L’arma non era mai stata rinvenuta. Un colpevole era stato trovato in persona del marito della donna uccisa, per quanto se ne sapeva condannato dalla Corte d’Assise di Firenze nel 1970.
Effettuati opportuni riscontri, si accertava che il condannato, Stefano Mele, aveva subito tutti i gradi di giudizio ed uno di rinvio a Perugia. Il G.I. dell’epoca, avvertito disponeva il recupero del fascicolo processuale. Intorno al 20 luglio del 1982 esso si trovava sul suo tavolo. Allegati al fascicolo erano, per fortuita e inspiegabile combinazione, i bossoli e i proiettili rinvenuti dopo il duplice omicidio. Disposta comparazione, già a livello informale si accertava l’identità dell’arma adoperata nel 1968 e nel 1982.
Il giudice avvertiva il p.m.. La notizia veniva tenuta segreta per necessità imprescindibili delle indagini, che avrebbero poi condotto all’incriminazione di Francesco Vinci.
Scagionato quest’ultimo dalle sopravvenienze nl 1984, la riservatezza del 1982 avrebbe suscitato non poche diffidenze, mai sopite, nei mass-media e perciò nell’opinione pubblica, con seguito di anonimi consiglieri che hanno ritenuto d’indirizzare le indagini nei confronti di taluno degli stessi membri delle stesse forze di P.G.. Nel 1983 tutti coloro che, tra i carabinieri del Gruppo di Firenze, avevano contribuito alla scoperta del precedente sono stati escussi e taluni, nuovamente, negli anni successivi. Da ultimo, un questo 1989, si è ritornati incidentalmente sull’argomento, in rapporto ad atti rinvenuti nel fascicolo del Nucleo Operativo della Compagnia di Prato (fascicolo “Parretti“, ed alla possibilità, smentita in maniera assoluta dagli accertamenti, che la notizia del precedente del 1968 fosse stata ottenuta diversamente, per esempio attraverso una confidenza.
Analogamente non ha nessun fondamento che sia pervenuto al G.I. dell’epoca (1982) un anonimo, nel quale fosse menzionato in relazione agli omicidi delle coppie, il precedente di Signa. Un anonimo che riferisce di precedente esiste, bensì, negli atti generici del fascicolo del p.m. relativo al delitto di Montespertoli, ma concerne un reato a sfondo sessuale, circa il quale aveva indagata a suo tempo, e con successo, la magistratura fiorentina. (…)
Il Giudice Istruttore del 1982 a cui si fa riferimento nella suddetta sentenza è Vincenzo Tricomi; dagli atti del fascicolo n. 357/81A emerge che il 29 ottobre 1982, mentre si trova a Palermo, TRICOMI nel trasmettere al Consigliere Istruttore presso il Tribunale di quel capoluogo le dichiarazioni di Rosalia Barranca e Lo Bianco Rosa, affinché vengano sentiti, nel riepilogare schematicamente i fatti scrive: “A seguito di segnalazione anonima che esisteva un quinto duplice omicidio commesso dal cosiddetto “mostro” si risaliva all’omicidio di Antonio Lo Bianco e Locci Barbara Locci commesso nel 1968 in relazione al quale era stato condannato il marito della Locci.
Tutti e cinque gli omicidi sopra indicati sono legati dall’uso della medesima pistola calibro 22.”
(allegato 14).
Sul punto 3.8
Interviene l’ultima perizia quella del maggiore Paride MINERV1NI a sciogliere ogni dubbio sulla provenienza unica di tutti i reperti balistici e la predetta perizia del RIS Inoltre, l’ipotesi di “un vero e proprio depistaggio attuato dal o per conto del vero responsabile/i, così da far sembrare che l’autore dei delitti commessi dal 974 in poi dovesse essere ricercato nell’ambiente malavitoso dei sardi, già condannati e/o indagati per quello del 1968″ non trova conferma dalla lettura degli atti stessi riguardanti le indagini condotte nel corso degli anni che, visti nel loro insieme, chiaramente dimostrano che gli inquirenti dell’epoca seguivano più piste e svolgevano vari tipi di accertamenti in “filoni” paralleli non trascurando alcunché. Ciò è dimostrato, tra le altre cose, dalle perquisizioni e dalle varie attività investigative svolte nel corso degli anni che hanno interessato eterogenei soggetti.
Lo stesso orientamento era quello dell’allora giudice istruttore dottor Mario Rotella, come lo si evince dalla sua lettera del 30 novembre 1987 avente ad oggetto: “duplici a omicidio dal 1968 in Signa al 1985 in San Casciano V.P. VINCI Salvatore imputato/indiziato”, indirizzata anche alla Procura della Repubblica di Firenze (allegato 15). La lettera è stata individuata in un faldone sulla cui costala è riportata l’indicazione “Appunti fuori indice – copia atti – atti G.I. Vinci 5.”.
Il giudice tra le altre cose scrive:
(…)
1) questo G.I. non “preferisce” alcunché e tantomeno ha conto di condividere “sue preferenze” con colleghi di altri distretti. L’indirizzo d’indagine, a norma dell’art. 299 C.p.p. è determinato, in questa come in ogni altra istruttoria, “in base agli elementi raccolti e allo svolgimento dell’istruzione”, e sulla scorta di precise richieste o pareri del P.M..
2) nessun altro magistrato, poi, risulta autorizzato a seguire altre piste, dal momento che si procede unitariamente con rito formale per tutti i reati della serie omicidiale, dal 1968 ad oggi.
In precedenza, durane le indagini preliminari intorno a ciascun caso (da ultimo Vicchio e San Casciano), il P.M. ha svolto secondo i suoi liberi intendimenti, ed esercitando poteri-doveri previsti dalla legge, indagini generiche. Allo stato, per quanto mi risulti, ogni iniziativa del P.M. si risolve in richieste rivolte a questo G.I.
Peraltro l’istruttoria formale deve accertare la verità in assoluto, anche perché, nella specie, ne va della vita delle persone. Oltre che a carico dell’imputato, questo giudice deve indagare, ed in concreto indaga, alternativamente, anche contro ignori, supponendolo innocente. Tutto ciò, sempre sulla scorta di richieste, pareri, interventi del P.M..
L’Ufficiale di PG
(Luogotenente C.S. Liberato Ilardi)