Caso Ciabani, il misterioso appunto entra nel rapporto finale della Commissione d’inchiesta Antimafia

Nel rapporto, che riepiloga nelle pagine 117 e 118 la misteriosa vicenda di Ciabani, archiviata come suicidio nonostante due pugnalate, una che dal pube raggiunse l’ombelico e l’altra, mortale, al cuore, è scritto: “L’eventuale presenza sul luogo del delitto di un appunto riconducibile all’ispettore Luigi Napoleoni accrescerebbe non di poco la possibilità che questi avesse lungamente svolto indagini sistematiche sui fatti di sangue connessi (anche in termini di cosiddetti eventi delittuosi collaterali) alla serie omicidiaria del “mostro” di Firenze. D’altra parte proprio tale ipotesi darebbe anche spiegazione del compimento, da parte dell’ex ispettore (deceduto nel 2007, ndr), di attività in luoghi posti al di fuori della propria competenza territoriale. L’eventuale presenza di Napoleoni a Scicli, forse addirittura il 23 agosto 1982, giorno successivo a quello della morte di Elisabetta Ciabani, e soprattutto il suo interessamento alla morte della ragazza apparirebbero difficilmente spiegabili se non si ipotizzasse che egli dovesse già trovarsi in tale località a seguito delle indagini svolte che lo avevano posto sulle tracce di qualcuno.” Quindi la conclusione: “La Commissione non ritiene di poter giungere a conclusioni compiute sul punto.”

Il risultato della perizia pro veritate, commissionato dalla ricercatrice Valeria Vecchione, è stato firmato da Francesco Rende, perito grafologo giudiziario iscritto all’albo del Tribunale di Roma, trasmesso da Vecchione al procuratore di Ragusa, Fabio D’Anna.

Ma chi era Luigi Napoleoni? Ispettore di polizia di stanza a Perugia, compì indagini sul “mostro”, spesso senza riferire i propri spostamenti e per questo richiamato ufficialmente dai superiori. Il suo nome compare, in particolare, nelle indagini sulla scomparsa del gastroenterologo Francesco Narducci, rampollo di una famiglia perugina dell’alta borghesia legata alla Massoneria, il cui cadavere venne recuperato il 13 ottobre 1985 nel lago Trasimeno dopo cinque giorni dalla sua scomparsa. Narducci era sospettato di appartenere a una setta esoterica e di tenere nascoste parti di corpo femminile che il mostro tagliava alle vittime subito dopo averle uccise. Le indagini si conclusero con una delle tante archiviazioni che a distanza di tempo continuano a non convincere: suicidio. Anche perché, come ha ricordato qualche giorno fa l’ex magistrato Giuliano Mignini in un’intervista al Giornale.it, “quella mattina accadde qualcosa di strano e, ancora oggi, non spiegato. Su quel pontile c’erano tutti. A parte i giornalisti (e verrebbe da chiedersi chi li avesse avvertiti con tanto tempismo), c’era il questore di Perugia e c’era la squadra mobile, che non erano titolati ad essere lì. La competenza di svolgere le attività di recupero del cadavere e i primi accertamenti sarebbe spettata ai carabinieri di due stazioni locali. Ma tolto questo, non vennero fatti accertamenti. C’è stata un’omissione di accertamenti di una gravità incredibile, questo va detto. Mai successa in Italia una cosa simile: non è stata fatta l’autopsia, non è stata fatta una visita esterna completa del cadavere, il quale non è stato portato in obitorio: c’è stato l’ordine di una parente, la moglie del fratello, di portarlo nella villa di San Feliciano (località affacciata sul lago Trasimeno) prima ancora che ci fosse il provvedimento del giudice di consegna ai familiari, che sarebbe intervenuto il giorno prima dei funerali, ossia più di una settimana dopo. Ma giusto per continuare a elencare le stranezze: non fu misurata la temperatura rettale, non sono state fatte le foto.” E allora? A chi apparteneva? “Forse l’avevamo identificato – dice il dottor Mignini all’intervistatore, Gianluca Zanella – poteva trattarsi di un messicano, un corriere della droga. Certo non era Narducci”.
Nel 2001 le indagini passano a Giuliano Mignini, che l’anno dopo dispone la riesumazione del cadavere. In quella bara effettivamente c’è il corpo di Narducci, sul quale risultano evidenti i segni di strangolamento: “C’era una frattura del corno superiore sinistro della cartilagine tiroidea. Dunque questo significa che l’assassino era mancino. E molto forte. Nel 1985, invece, si era parlato di annegamento ‘da probabile episodio sincopale’. Il tutto senza un’autopsia”.

Napoleoni si occupò anche di altri accertamenti sulla vicenda “mostro”. La Commissione parlamentare d’inchiesta cita il suo nome 65 volte tra le 120 pagine del dossier e afferma, tra l’altro, che l’ex ispettore fu spesso a San Casciano “quando nessun clamore o dato di effettiva rilevanza riguardava quel luogo e, a maggior ragione, si poteva conferire un qualche rilievo alla presenza in paese di Francesco Narducci” e che fu “quantomeno reticente e contraddittorio quando fu ascoltato circa le indagini su Narducci”.

Se Napoleoni iniziò a occuparsi seriamente del mostro nel 1985, si chiede la Commissione parlamentare d’inchiesta, com’è possibile che tre anni prima un suo scritto fosse ritrovato il giorno dopo nella lavanderia del Baia Saracena, in cui Elisabetta Ciabani venne rinvenuta cadavere? E perché l’appunto sul quale compaiono i numeri di tre appartamenti del Baia Saracena, fra cui quello occupato da Elisabetta e dai suoi familiari – il 6, da cui parte una freccia che finisce con tre puntini – non venne ritrovato quella domenica mattina e soltanto oltre 24 ore dopo dal giornalista Giuseppe Calabrese, all’epoca collaboratore di Video Mediterraneo? Quale mano lo aveva dimenticato o lo aveva volontariamente lasciato proprio lì? E per quale motivo? Nessuno, per tutta la giornata della domenica, si accorse nella terrazza di Baia Saracena della presenza di quella pagina strappata da un’agenda, quindi lo scritto risale allo stesso giorno del ritrovamento, il 23 agosto 1982? Domande che rimangono senza risposta, in un nugolo di altri episodi veramente inquietanti sul caso Ciabani. Due in particolare, oltre a quello ben conosciuto della sua presunta conoscenza con Susanna Cambi, uccisa dal mostro insieme al fidanzato Stefano Baldi nell’ottobre del 1981 a Travalle di Calenzano. Le due abitavano a distanza di 90 metri, stesso marciapiede, nel quartiere fiorentino di San Jacopino. Nell’era in cui non c’erano telefonini né internet e quando i giovani s’incontravano nelle piazze vere e non virtuali, sarebbe stato impossibile non conoscersi.

L’estate del 1981 Elisabetta aveva lavorato per tre mesi come cameriera nel Castello dell’Oscano, hotel nelle campagne perugine, all’epoca secondo molti meta di incontri massonici. Aveva conosciuto Narducci e poi lo avrebbe rivisto per caso a Firenze? Citiamo un esperto di esoterismo, Paolo Franceschetti, che nel 2009 scrisse: “Elisabetta che sapeva alcune cose sulla Rosa Rossa – un setta all’epoca molto attiva e potente in Umbria – e voleva parlare, era in cura da Maurizio Antonello, uno psicologo trovato morto sulle scale di casa a Trivignano il 14 maggio 2003, con un braccio appoggiato a una pila di documenti e al collo una cintura spezzata, con l’altro pezzo attaccato alla ringhiera delle scale, cintura che nessuno in famiglia aveva mai visto prima. Antonello non avrebbe lasciato scritti o manifestato l’intenzione di togliersi la vita.” L’autopsia certificò che il decesso avvenne per infarto e non per soffocamento. L’archivio cartaceo dello psicologo non venne rinvenuto e il suo computer, acceso per verificarne il contenuto, esplose subito. Inservibile. Conclusione dell’indagine: suicidio.
Tanti interrogativi e una cosa certa, in quest’intreccio: tre persone si sono auto soppresse in circostanze misteriose e singolari. Anche troppo.

Caso Ciabani, il misterioso appunto entra nel rapporto finale della Commissione d’inchiesta Antimafia

10 Novembre 2022 Stampa: Ragusa Oggi – Caso Ciabani, il misterioso appunto entra nel rapporto finale della Commissione d’inchiesta Antimafia
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6 pensieri su “10 Novembre 2022 Stampa: Ragusa Oggi – Caso Ciabani, il misterioso appunto entra nel rapporto finale della Commissione d’inchiesta Antimafia

  • 14 Novembre 2022 alle 21:40
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    Se la Perizia grafologica è corretta, viene da chiedersi perchè mai non lo si dovrebbe considerare il colpevole di quella morte. Cioè, a volte la sfiga capita e proprio sul “più bello”, zacchete ti cade senza che te ne accorga un foglietto, un documento di identità, un qualcosa che fa risalire a te.
    Ma soprattutto ci sarebbe da chiedersi “chi” potrebbe averlo mandato a Scicli, perchè è impensabile che tutta la vicenda possa farsi risalire ad una persona sola, visto che gli elementi per indicare un gruppo coeso e multi-livello con agganci operativi e di copertura nelle istituzioni sono ormai una quantità tale che non si possono più negare.
    Chi a Perugia poteva essere interessato a mandarlo a Scicli e chi a Perugia aveva l’autorità gerarchica per comandargli quella missione? Queste sono le domande che dovreste porvi e sulle quali approfondire. Non si può tacere su un simile argomento. Oppure, in alternativa, si deve pensare che la perizia grafologica sia tutta sbagliata (e come ben sappiamo, delle perizie nel caso del mostro di Firenze, c’è veramente sempre ben poco di cui potersi fidare).
    Buon lavoro ragazzi, complimenti e continuate a battere sul quel nome (e su chi lo mandò in Sicilia): ne farete saltare fuori delle belle di sicuro.

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    • 14 Novembre 2022 alle 21:56
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      La presenza del biglietto non indica assolutamente la presenza di chi lo ha scritto, ed in questo sta il bello. Il biglietto è stato trovato il giorno dopo, se era presente il giorno prima gli inquirenti lo avrebbero sicuramente trovato, quindi è stato messo nottetempo sulla scena del crimine.

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  • 16 Novembre 2022 alle 20:50
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    Il biglietto è stato trovato il giorno dopo, certo.
    Non per dire eh, MA:
    …anche i bossoli nel 1974 sono stati trovati il giorno dopo. Ciò no significa che quei bossoli derivino da spari in loco il giorno successivo.
    Inoltre, un viaggio a Scicli ipotizzato come fate al “giorno successivo”, lascia scoperti alcuni punti di non seconda importanza:
    1- quando (e come) il N. avrebbe saputo della morte della Ciabani a Scicli ( quasi in presa diretta visto che il giorno seguente già sarebbe stato in loco).
    2- Chi e per quale ragione, a Perugia, gli avrebbe dovuto firmare un permesso per assentarsi ed intervenire nell’area di competenza di un’altra Procura/Tribunale e per di più per una persona non di diretta pertinenza perugina (quel primo giorno, tra l’altro, ancora considerata come solo deceduta, visto che la Perizia autoptica ancora non poteva essere stata fatta). Il biglietto “caduto in loco” il giorno successivo: non pare proprio avere le gambe molto solide. Però è una versione che viene molto comoda se, volontariamente od involontariamente, si vuole tenere “Perugia” fuori dai dubbi (che invece ci sono).

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    • 17 Novembre 2022 alle 00:30
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      Guardi che lei si riferisce ad un articolo che il blog riporta. Il nostro personale pensiero è che Napoleoni a Scicli non c’è mai stato.

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      • 17 Novembre 2022 alle 15:59
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        Cioè state dicendo che voi ritenete possibile che qualcuno abbia sottratto a N. una pagina dei suoi appunti, senza che lui se ne accorgesse, e che il giorno successivo alla morte della Ciabani, di fretta e furia, sia corso da Perugia fino a Scicli, per la lasciarla su una scena, ormai fredda e già controllata, di una morte di cui ancora non era stata fatta alcuna autopsia?
        Non vi è alcuna logica in una simile ricostruzione.

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        • 17 Novembre 2022 alle 16:13
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          Una logica esiste, per quello che pensiamo noi, non per quello che scrive lei. Ma non la scriviamo qua la nostra logica. Se lei ci riflette la trova da solo la quadra, ma sembra che giri intorno alla boa senza toccarla.

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