Il patto segreto e i mostri di Firenze. Giuttari riapre i fascicoli dei delitti
Nel nuovo libro l’investigatore storico delle colline di sangue rilancia l’ipotesi di un livello superiore. E dopo le presunte rivelazioni di Izzo racconta: “Non la Corazzin, ma la Ciabani è un’altra vittima”
Luigi Caroppo
Firenze, 9 dicembre 2022 – Michele Giuttari, nel suo ultimo libro ‘I mostri di Firenze e il patto segreto’ teorizza un livello superiore oltre gli esecutori sul campo.
“Non sono stato io ad avere ipotizzato il possibile livello superiore, ma i giudici di merito che avevano condannato per alcuni delitti i complici di Pacciani in concorso tra di loro e con lo stesso Pacciani che nel frattempo era deceduto. Io fui delegato dal Pubblico Ministero a sviluppare, quale capo della Mobile, questo nuovo segmento, ma già dall’inizio si registrarono episodi istituzionali anomali. Il significato magico dei delitti mi sembra comprovato da più elementi, tutti ben evidenziati nel libro, mentre per la massoneria non generalizzerei. A Perugia ci furono gli interventi di alcune persone per la morte di Francesco Narducci, come emerso dalle indagini della procura perugina”.
Una pistola o due hanno ucciso? Lei parla di due, ma i bossoli della seconda non sono stati trovati. Perché?
“L’unica pistola per me non era una certezza e l’avevo rappresentata anche su La Nazione più volte. Ora a distanza di oltre 20 anni anche l’attuale Pubblico ministero starebbe cercando una seconda pistola stando a quanto La Nazione, sempre ben documentata, ha riportato in alcuni recenti articoli. In pratica i bossoli trovati sulle scene del crimine erano stati quasi sempre in numero inferiore ai colpi effettivamente esplosi come era risultato dai proiettili recuperati. I quali non tutti furono analizzati perché fortemente deformati come nel caso di Baccaiano. Questi sono dati certi che fanno riflettere”.
Il passaggio della pistola che sparò nel ’68. Lei ha ipotizzato che un avvocato abbia ricevuto la pistola. Ci può dire di più? E che ne fece questo avvocato della pistola, la famosa beretta calibro 22?
“Il passaggio di mano della pistola del ’68 è risultato da precise testimonianze, alcune acquisite nel procedimento fiorentino, altre, a mio giudizio ancor più importanti, in quello perugino nell’ultima fase del mio lavoro con il Pm Mignini ma non potuto proseguire per la contestualità dell’imputazione del reato di abuso d’ufficio. Non c’è stato il tempo di identificare questo avvocato. L’arma fu ceduta nel ’74 quando iniziò la serie omicidiaria”.
Pacciani, è sicuro che fu ucciso? E da chi?
“Personalmente ne sono convinto anche alla luce degli esami tossicologici, della visita del cadavere sul posto, dell’esame della scena al momento del rinvenimento del Pacciani da me visto in quella occasione per la prima volta. Da morto. E ancora dai suoi timori di essere ucciso come da biglietti manoscritti trovati nel corso della perquisizione e da testimoni ascoltati. A Pacciani, che aveva avuto comunque una parte anche in altre vicende intrecciate con la storia del Mostro (magia nera, festini con minori…) non andava di pagare lui solo per tutti e in attesa del suo giudizio d’appello aveva inviato all’agenzia Ansa quattro pagine di quaderno manoscritte nelle quali si professava innocente dicendo che il “Vero Mostro” non era lui, ma chi aveva ucciso altre vittime, indicate in almeno quattro. Dopo qualche giorno e alla vigilia dell’inizio dell’appello nella casa di Pacciani, presente solo la moglie, irruppe una donna in pelliccia che rimase tutta la notte dentro casa a rovistare tra le cose. L’indomani Angelina, tramortita, fu soccorsa nel giardino di casa. Di questa donna si seppe che era arrivata col pullman e aveva acquistato un farmaco in farmacia, ma non era stato possibile identificarla”.
Cartuccia nell’orto, non compatibile con la pistola che ha sparato. Allora cosa è stata quella avvenuta nella casa di Pacciani?
“Adesso, alla luce delle nuove perizie dello scrupoloso Pm si è appreso che la cartuccia nell’orto, la prova regina a carico di Pacciani, sarebbe stata artefatta e comunque secondo i Ris era incompatibile con la Beretta del Mostro. La novità è giunta nel 2022, ma nel mio rapporto del 3.12.2001 (21 anni prima) c’erano quattordici richieste di deleghe tra cui un nuovo esame di tutte le cartucce e proiettili della vicenda. Le deleghe però non furono rilasciate, tranne una dopo sei mesi (era quella sulla presenza fiorentina di Francesco Narducci su cui già stava indagando Perugia) e in quel contesto temporale si deteriorò il mio rapporto con il capo della Procura”.
E allora?
“Si voleva dimostrare che il serial killer non era altro che Pacciani e il caso si sarebbe chiuso lasciando fuori altri. Come pure in quel medesimo contesto temporale (1990) se fosse stata resa pubblica l’indagine segreta delle logge massoniche sul coinvolgimento del Narducci, anche in questa ipotesi il caso sarebbe stato chiuso. Solo che era prevalsa la linea della segretezza come emerso da precise testimonianze perugine, e allora ecco Pacciani, il cui nominativo era stato rilevato dal paziente lavoro della Sam e forse, credo, “soffiato” anche da qualche informatore (nel libro spiego anche questo aspetto) perché Pacciani in qualche modo aveva avuto a che vedere con quei crimini”.
“Sulla morte violenta di Narducci c’è la perizia eseguita dal prof Pierucci di Pavia che parla di frattura tipica dello strozzamento manuale. Unica autopsia eseguita a distanza di anni dopo una messinscena anche sul doppio cadavere all’epoca del rinvenimento del cadavere sconosciuto nelle acque del Trasimeno la domenica del 13 ottobre 1985 per nulla corrispondente al Narducci come emerso da più consulenze disposte dallo scrupoloso Mignini. Su chi voleva la sua scomparsa si può solo ipotizzare che forse non era ritenuto più affidabile e avrebbe potuto mettere a rischio i complici. Dalle indagini emerse che avrebbe fatto parte di una setta, forse denominata della Rosa Rossa, ma sul suo ruolo non sono stati acquisiti a quanto mi risulta dati certi”.
La commissione parlamentare sui fenomeni criminali si è occupata anche degli omicidi sulle colline di Firenze. Che ne pensa?
“Ho letto il lavoro della Commissione che sostanzialmente mi sembra inconcludente tranne la parte perugina sulla morte di Narducci, sulla massoneria e sul doppio cadavere, già accertati con le indagini di Mignini, membro della Commissione”.
E di Izzo che ha allungato l’elenco dei morti con Rossella Corazzin, rapita in Cadore e uccisa in Umbria?
“Su Izzo non mi pronuncio non avendo avuto modo di ascoltarlo personalmente. Posso solo dire che nelle indagini sulla vicenda del Mostro non era emersa mai la Corazzin, mentre era emerso il nominativo di Elisabetta Ciabani morta durante un periodo di ferie in provincia di Ragusa con una azione definita suicidaria, ma che per le modalità non poteva assolutamente esserlo. Esaminammo il caso tanto che su delega del magistrato andai personalmente in Sicilia ad acquisire quel fascicolo che in un primo momento non si trovava e non mi mossi da lì senza prima riceverlo. La Ciabani era morta dopo aver lasciato il lavoro, credo di un solo mese poco prima, a Perugia dove si tenevano riunioni anche di natura politica con la partecipazione di massoni e dove si era discusso anche della strana morte del Narducci”.
“Nell’ultimo delitto sono stati compiuti diversi errori. C’è stata la partecipazione di più persone sulla scena del crimine. Sono stati lasciati dei fazzolettini sporchi di sangue. È stato inviato il reperto della vittima femminile alla dottoressa Della Monica, una chiara inequivocabile minaccia. E non si capisce come non sia stata interessata all’epoca la Procura competente quando un Pm di Firenze subisce minacce. Era evidente che quel reperto non poteva essere stato inviato nell’immediato che da uno degli assassini. Poi le lettere di minaccia o di sfida ai tre pubblici ministeri impegnati nelle attuali indagini. Troppe azioni. Qualcuno forse aveva inteso violare le regole del gruppo. È un’ipotesi, ma plausibile”.
Tra chi potrebbe dire qualcosa di più c’è il cosiddetto anonimo fiorentino. Che ruolo ha in tutta la vicenda?
“L’Anonimo Fiorentino sicuramente era ben documentato sulla vicenda e lo ha dimostrato con le sue 33 lettere inviate tutte tra l’inizio delle indagini su Pacciani e la sua condanna di primo grado. Aveva previsto con anticipo di alcuni mesi anche il sotterramento della cartuccia nell’orto di Pacciani per incastrarlo invitando gli avvocati a fare controllare il giardino anche con i metal detector. E poi li ha rimproverati per non avere accolto i suoi consigli. Oggi possiamo dire che aveva ragione e non possiamo che porci una domanda: era uno del gruppo e si era distaccato prendendo le distanze? Durante le indagini sui complici di Pacciani, invece, non si è fatto mai sentire, mentre sono giunti altri anonimi anche con chiare minacce di morte, prima mai registrate”.
“Il libro ha tutto documentato ed ha anche il fine di non coprire nessuno e di fornire un ulteriore contributo di verità a chi ha interesse ad andare avanti, in particolare le parti civili delle vittime che tanto impegno stanno dimostrando, perché la vicenda non può considerarsi chiusa”.
E al babbo di Pia Rontini che vorrebbe dire se lo incontrasse ancora una volta sotto la questura di Firenze?
“Nel mio studio ho la foto di Renzo Rontini che, dopo la condanna dei complici, nel corridoio dell’aula Bunker mi abbracciò con grande tenerezza mormorandomi “Grazie! ho sentito odore di giustizia”. Gli direi: qualcuno inaspettatamente ha voltato le spalle alla Giustizia”.
https://www.lanazione.it/cronaca/giuttari-mostro-1.8366660