IL TELO DI LINO COME IL VELO DI INO ?

Per provare a spiegare questo apparente gioco di parole è necessario riprendere qualche breve nozione di storia e di mitologia greca.

Ino era in origine una mortale.

Figlia del Re di Tebe sposò Atamante, ma a séguito di un crimine verso i suoi figli si gettò in mare. Per pietà e volere degli Dèi fu tramutata in Leucotea (anche se viene chiamata indistintamente con entrambi i nomi) divenendo così una divinità marina, la “Dea bianca” protettrice dei naviganti.

È anche considerata una tra le diverse  “Mater Matuta”, ovvero la manifestazione della Dea Madre sotto forma di terra, piante, animali e uomini.  In altre parole una Madre Natura.

[L’attuale Battistero paleocristiano di San Giovanni in Fonte, che si trova in Lucania, era in precedenza un ninfario a Leucotea. Nel XV secolo i cavalieri di Malta ne prendono la gestione e lo fanno ristrutturare e ampliare.]

La incontriamo  nel V libro dell’Odissea quando Ulisse, dopo aver trascorso sette anni insieme a Calipso sull’isola di Ogigia, riprende il mare a bordo di una zattera per continuare il suo viaggio verso Itaca. Dopo 17 giorni di navigazione riesce a scorgere in lontananza l’isola dei Feaci ma Poseidone, di ritorno dalla terra degli Etiopi, lo vede in mezzo al mare e gli scatena contro per ritorsione una violentissima tempesta poiché Ulisse aveva accecato Polifemo (figlio di Poseidone).

Ulisse viene scagliato in mare e sembra spacciato; nonostante sia un buon nuotatore non ha più le forze per far fronte alle onde del mare in burrasca. Riesce solo a rimanere aggrappato a quello che resta della zattera.

Ecco che Leucotea gli viene in soccorso donandogli un velo divino che lo avrebbe reso immortale. Gli raccomanda di togliersi le vesti e di legarselo in vita per poi nuotare fino all’isola dei Feaci senza timore, perché il velo gli avrebbe evitato sofferenze e morte.

E così accade.

[Da notare che questa è l’unica circostanza in tutto il poema omerico in cui Ulisse viene salvato da una divinità tramite intervento diretto]

Secondo l’esegesi massonica il viaggio di Odisseo è il passaggio in uno spazio onirico dal mondo della materia a quello spirituale, fino al reintegro nel divino”.

L’Odissea è il viaggio nel mondo dell’introspezione, dove la vita è pervasa e compenetrata dalla morte continua, dove ad ogni tappa si prende possesso di un nuovo pezzo di terra ma la presa è solo psichica.

L’Ulisse omerico torna ad Itaca ma dopo il ritorno, obbedendo alla profezia di Tiresia con un remo in spalla riprenderà il viaggio.

Itaca non appaga la sua sete, non è quell’ Altrove verso il quale tende ogni errante.

Omero formula 42 volte l’espressione “il molto paziente divino Odisseo”.

Tutti gli Gerofanti e gli Iniziati erano simbolo del sole del potere del creatore. Ogni Iniziato, sia in oriente che in occidente, diveniva figlio della luce ed assumeva il nome mistico del suo Dio o Istruttore.

Il nome Odisseo, tra le varie attribuzioni, può avere il significato di «colui che odia e che è odiato». Emblema dell’uomo dominato dalle passioni nella prospettiva iniziatica è l’uomo comune: incatenato nelle necessità psicofisiche, con una determinata volontà di soddisfarle senza comprenderne le ragioni.

L’Odissea è composta da 24 canti che costituiscono una polarità tra i primi 12 canti e gli altri 12. I primi narrano la peripezia dell’uomo che esprime il potere della personalità, le astuzie gli inganni e la guerra. I secondi narrano il cammino di esplorazione interiore verso il centro dell’essere. La seconda fase avviene a Itaca, e la lotta con i Proci rappresenta la lotta interiore dell’ essere umano con sé stesso . La stella luminosa che annuncia il ritorno a casa è Venere Afrodite.

Ulisse è l’eroe solare e il suo ciclo è quello del sole che impiega 19 anni, il ciclo dell’astronomo Metone, per ricongiungersi con la luna. L’incontro sole – luna nuova avrebbe coinciso con il Solstizio d’Inverno.

La tempesta (della vita) avvolge i naviganti facendoli vagare in balia dei flutti, alimentando dentro di loro l’incertezza e l’angoscia che li rende impotenti davanti alla vita (uno dei più grandi simboli del caos è l’acqua).

Leucotea è colei che aiuta attraverso l’intuizione i mortali a trasformarsi in Dei (iniziati) soccorrendoli nelle tempeste che attraversano il mare. Il mare delle emozioni al di fuori del controllo del Nous, la ragione, si trasforma in tempesta che può essere solo affrontata attraverso il timone dell’intuizione e del giusto intento. Mettendo il velo di Leucotea  intorno alla vita Ulisse sarà sicuro di non annegare mai, però dovrà ridiventare il Signor Nessuno, essere praticamente nudo senza alcuna altra veste (simbolo di rivestimento materiale e personale) e toccata terra dovrà gettare di nuovo il velo in mare.

Gli eroi omerici possono essere considerati come estensione magnifica dell’umano, assumono caratteristiche umane quasi ad essere modello per i terreni. Sono valorosi, virtuosi e posseggono l’areté, il buono inteso come genesi di qualità onore e bellezza. La ritualità è fortemente rappresentata negli scritti omerici, così come il rituale è spesso il cambiamento.

Gli eroi rappresentano la loro ritualità per esprimere ambizione e tensione divina, avvicinarsi al sacro per essere modello ai terreni.

Parlare di Omero e di Odisseo non significa null’altro se non porci nella condizione essenziale, in quanto iniziati, di rivedere – se non addirittura di vedere per la prima volta – il percorso di vita fin qui compiuto da noi stessi, le nostre pene ed i nostri dolori, i nostri successi ed insuccessi, i nostri valori, siano essi presunti o reali.

Un tortuoso viaggio di ritorno a ciò che è conosciuto, come se fosse la prima volta e forse alla ricerca di una nuova partenza.

Non esistono dati certi sulla biografia di Omero: sappiamo però che è sempre rappresentato come un «non vedente».

La cecità era condizione favorevole all’essere poeta, al saper leggere nell’ altro ed orientarsi nel buio della vita. E proprio in questo, nella vita stessa di Omero, ritroviamo un primo fondamentale messaggio esoterico che chi si appresta ad essere iniziato deve saper cogliere: la condizione di cecità è infatti proprio quella in cui si pone il recipiendario che chiede di entrare a far parte dell’Ordine massonico. Cerca la luce poiché vive nelle tenebre? Ma quali tenebre? E soprattutto, quale luce?

La condizione del bussante è quella di colui il quale è già alla ricerca, poiché non ha abbandonato il timone della sua navigazione e non è pertanto in balìa degli eventi; è la condizione di chi è già alla ricerca di qualcosa che modifichi il senso profondo della sua esistenza, non certamente di nuovi orpelli.

Il bussante insomma sa intuire, sa rinunciare alle tentazioni ed è mosso dal desiderio di accedere almeno in parte alla rivelazione della Verità. Le vicende vissute da Ulisse sembrano ricalcare pienamente tale condizione dell’Essere, le cui caratteristiche si identificano per i futuri iniziati nel termine riassuntivo di «qualificazioni». Questo stato di coscienza presuppone già in sé, da parte del recipiendario, l’osservazione di un’alternanza tra tenebre e luce, un movimento che egli può intuire per esperienza diretta nel contrasto tra le forze del bene e quelle del male.

Passi tratti da:

  • Il ritorno di Odisseo attraverso le 12 porte di Vincenzo Pisciuneri
  • Quaderno di lavoro ” Il Massone – L’ Ulisse contemporaneo a cura della Loggia Signa Hominis

L’ Odissea è anche piena di elementi che suggeriscono una forte somiglianza tra Ulisse e gli sciamani della Siberia.

Ci sono molti elementi sciamanici disseminati in tutto il poema; uno fra i più interessanti è proprio quando Ulisse arriva nella terra dei feaci. Nuotando controcorrente verso la foce del fiume finisce a riva tra gli alberi e si addormenta. Nelle tradizioni sciamaniche la foce del fiume è una connessione tra il mondo superiore, il mondo di mezzo e quello inferiore. Questo passaggio simboleggia il ritorno di Ulisse dall’ aldilà (e senza l’aiuto di Leucotea non avrebbe potuto farlo).

Nella relazione di consulenza tecnica che gli fu commissionata il Prof. Introvigne, oltre a sviscerare una dettagliata panoramica che tocca molteplici aspetti, si concentra sull’ipotesi che fa riferimento ad una simbologia egizia nella ritualità massonica, considerando il fatto che il telo è di lino. Sebbene il 90% delle ritualità magiche anche attuali ha radici in quelle egizie, le relative massonerie non riconoscono come loro l’uso del telo.

Non solo: i loro riti non prevedono né interventi sulla salma né la presenza della stessa.

Come riporta la relazione “le obbedienze massoniche egiziane, in quanto si presentino come indipendenti e sovrane, rientrano nell’ambito della cosiddetta «massoneria di frangia»”. Come troverebbe quindi applicazione una ritualità che include elementi di mitologia greca e che non sia slegata dalla sfera egizia? Bisogna ricordare che quando si parla genericamente di antico Egitto le dinastie in realtà si suddividono in:

– periodo protodinastico
– antico regno
– medio regno
– nuovo regno
– dinastie posteriori

e sono proprio queste ultime quelle in questione. Infatti nel 525 a.C. l’Egitto fu invaso dai Persiani e nel 432 a.C. Alessandro Magno occupò il paese diffondendo la cultura greca.

Ciò dette inizio al cosiddetto periodo greco romano. A tal proposito ricordiamo anche i “papiri magici greci”, un gruppo di papiri dell’Egitto greco e romano ognuno dei quali contiene parole, formule, inni e rituali magici.

Spaziano dal II sec. a.C. al V sec. d.C. e furono rinvenuti a partire dal XVIII sec. d.C. .

[L’Odissea è stata composta in forma orale intorno al XI sec. a.C. per poi essere trascritta a partire dall’ VIII sec. a.C.]

Non conosciamo qual era il tessuto del velo di Ino, ma è così irragionevole supporre che nel qual caso la scelta sia ricaduta sul lino poiché racchiude i due nomi

L (Leucotea) INO (Ino)?

Buona riflessione.

L’autore chiede di rimanere anonimo.

Riceviamo e pubblichiamo

19 Giugno 2023 Il telo di LINO come velo di INO?
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