Mostro di Firenze, nuovo mistero: la tenda ritrovata non apparteneva alle vittime francesi
Luca Marrone
Firenze. Lo scorso 30 gennaio, dinanzi alla Corte di Assise di Firenze, si è proceduto ad esaminare alcuni reperti che si ritenevano appartenenti a Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveishvili, i giovani francesi uccisi dal Mostro di Firenze nella notte tra il 7 e l’8 settembre 1985.
L’esame era stato richiesto dai legali dei familiari delle due vittime. I reperti erano conservati in due contenitori. Tra questi, una tenda che si riteneva appunto quella in cui i due stavano passando la notte al momento dell’aggressione mortale. Una tenda che era risultata intonsa, priva di lacerazioni. “La cosa interessante è che la tenda non presenta tagli”, avevano commentato gli avvocati all’esito dell’esame, richiamandosi ad una testimonianza che, all’epoca dei processi per i delitti del Mostro, aveva invece menzionato un taglio che l’omicida avrebbe praticato con un coltello sul telo del reperto.
Ebbene, a quanto si apprende ora, la tenda presa in esame il 30 gennaio, non sarebbe appartenuta alle ultime vittime dell’elusivo serial killer delle campagne toscane, ma a Salvatore Vinci, uno dei sospettati dei delitti nell’ambito della cosiddetta “pista sarda”, conclusasi con il proscioglimento di tutti i sospettati nel 1989.
La singolare circostanza è emersa nel corso del lavoro di catalogazione dei reperti legati ai delitti condotto, in questi mesi, dai pubblici ministeri Ornella Galeotti e Beatrice Giunti, titolari dei fascicoli ancora aperti relativi al Mostro.
Il plico in cui il telo era conservato, a quanto sembra, riportava la data di archiviazione del dicembre 1986 e il numero di procedimento risulta quello dell’indagine a carico di Vinci. Non è ancora chiaro, precisa SkyTg24, se lo scambio derivi da un errore di catalogazione o altro.
“L’equivoco sulla tenda è uno dei tanti circa la mala gestione dei reperti e della documentazione, inerente alla lunghissima indagine sui delitti fiorentini”, commenta, in esclusiva per AbruzzoLive, Paolo Cochi, reporter e documentarista, uno dei massimi esperti del caso. “Il nome di Vinci era scritto proprio sopra al contenitore e già gli avvocati ne avevano preso atto all’udienza.”
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