Riceviamo e pubblichiamo.
33. Il recente provvedimento di archiviazione sulla cartuccia nell’orto
Si commenta brevemente il recente provvedimento del 17 maggio 2024 (doc.9), con il quale il Giudice per le indagini preliminari di Firenze ha archiviato anche l’indagine “stralcio”, nata nel maggio 2019 su iniziativa dello stesso P.M. da una separazione dal procedimento allora pendente a carico di Giampiero Vigilanti. Tutto ciò a seguito delle perplessità espresse dal consulente balistico del P.M., Maggiore Paride Minervini, sull’autenticità della c.d. “cartuccia nell’orto”, a suo tempo invece considerata la “prova regina” nel processo a carico di Pietro Pacciani.
1. La morte di Giampiero Vigilanti. Va premesso che la decisione sull’opposizione alla contraddittoria richiesta di archiviazione del 13 maggio 2022 (doc.2), quest’ultima formulata dopo che lo stesso PM aveva tempestato di richieste il Ris di Roma sulla cartuccia trovata a suo tempo nell’orto di Pietro Pacciani, senza tuttavia mai ricevere risposta, interviene postuma rispetto alla morte di Giampiero Vigilanti, il principale sospettato e indagato dell’ultima decade, deceduto il 9 gennaio 2024, cioè nel tempo intermedio intercorso fra l’udienza di discussione dell’opposizione (25 ottobre 2023) ed il deposito della presente decisione (17 maggio 2024). Non vi è dubbio, pertanto, che molti dei rilievi critici sollevati dal difensore dei familiari francesi perdano di interesse, almeno dal punto di vista giudiziario, poiché i morti non sono processabili (a parte Silvio Berlusconi, come è noto).
2. Il precedente decreto di archiviazione (doc.1). Era quello che aveva definito il procedimento a carico di Giampiero Vigilanti il 9 novembre 2020 e che viene citato come esaustivo in quest’ultimo del 17 maggio 2024, ancorché il primo non abbia mai chiarito numerosi punti della vicenda riguardante il Legionario e fra essi a anche quelli relativi alle misteriose circostanze in cui sono spariti reperti fondamentali per la buona riuscita delle indagini: pistola High Standard cal. 22, proiettili Winchester serie H sequestrategli nel 1994, calchi in gesso delle impronte di anfibo francese rilevate sul luogo del delitto di Calenzano del 22.10.1981. Tutte sparizioni che hanno costellato l’indagine dal 2013 al 2019 e cioè prima dell’archiviazione. Per non parlare delle foto della Nikon appartenuta alla coppia francese: anch’esse risultate incredibilmente introvabili per la stessa Procura.
3. L’errata citazione delle conclusioni della parte opponente. Strano a dirsi, ma nel provvedimento 17 maggio 2024 sono riportate erroneamente le conclusioni della parte opponente (vedi doc. 4) che non sono quelle che si leggono virgolettate, bensì le seguenti:
– rigettare la richiesta di archiviazione, indicando come necessarie le ulteriori indagini suggerite da questo difensore
sia in questo punto 3 (accertamenti balistici)
sia nella precedente richiesta inevasa di riapertura delle indagini 21.03.22 sub doc. 5
– restituire gli atti al Pubblico Ministero per l’ulteriore corso di giustizia.
4. “Riproposizione di elementi già oggetto di indagini”. Sarebbe questa la motivazione essenziale del rigetto dell’opposizione alla richiesta di archiviazione, laddove non è chi non veda come l’elemento di novità assoluta sia rappresentato (quanto meno ma non solo) dalla mancata risposta dei Ris di Roma. Risposta già sollecitata per due anni (dal 2019 al 2021) dallo stesso Pubblico Ministero e di cui però non è dato sapere se essa sia mai pervenuta o meno, e in caso positivo di quale tenore essa possa essere, tanto per capire se il segno rinvenuto alla base della “cartuccia nell’orto” sia compatibile con una cal. 22, e se sì con quale oppure se sia frutto di manomissione, come suggerisce il consulente del P.M. Suona altresì incomprensibile come mai la Procura, dopo tanta insistenza (il PM scrisse ai Ris non meno di quattro volte), vi abbia improvvisamente rinunciato all’udienza del 25 ottobre 2023.
5. “Fonti di prova già acquisite o meri elementi congetturali”. Così si esprime il Gip nel definire e respingere l’oggetto delle richieste istruttorie della parte opponente, senza tenere conto del fatto che non si è mai accertato e si era chiesto, invece, che lo fosse (cfr. doc.4), solo a titolo di esempio e tra le questioni più rilevanti (elenco non esaustivo):
-l’identità di due soggetti intervenuti nella cessione della pistola High Standard da Caccamo a Vigilanti rimasti sempre a volto coperto;
-la disponibilità di una pistola Beretta cal. 22 da parte dello stesso Vigilanti tramite accesso ai registri di polizia;
– come, da chi, quando e perché sia stata ordinata la frettolosa distruzione delle cartucce Winchester serie H sequestrate a Giampiero Vigilanti nel corso di una perquisizione domiciliare del novembre 1994;
– la corrispondenza fra i reperti descritti dal Colonnello Zuntini nella sua relazione balistica sui reperti del delitto del 1968 (scarsa percepibilità delle impronte di percussore, estrattore ed espulsore) e i bossoli e proiettili repertati nel 1982 come riferiti apparentemente allo stesso delitto recanti invece le suddette impronte in modo assolutamente visibile;
– la corrispondenza dei 25 proietti Winchester serie H rinvenuti presso l’ex Centro Sismi di FMB con gli altri reperti balistici significativi; quelli recapitati ai magistrati, quello trovato nell’orto di Pietro Pacciani, quelli seminati in cinque posti diversi dopo il delitto della coppia francese fra il settembre e l’ottobre 1985;
– la presenza o meno della pistola sequestrata a Genova nel 1990 al figlio di Giampiero Vigilanti nei registri tenuti presso il Sismi oppure la sua provenienza dal suddetto centro di Firenze diretto da FMB
6. La replica “puntuale” del P.M. all’opposizione alla richiesta di archiviazione. Tale è, secondo il Gip, la memoria depositata dal P.M. il 31.01.23 (doc.6), che viene interamente riproposta tramite copia- incolla dalla fine di p. 2 dell’ordinanza di archiviazione fino alla p. 11 che precede il formale “Per Tali Motivi”, con cui si giustifica l’accoglimento dell’archiviazione. In realtà, quella memoria del P.M. è a sua volta un altro copia/incolla di una nota di Polizia Giudiziaria datata 12 ottobre 2022 (doc.5) sulla base della quale lo stesso P.M. aveva già rigettato una precedente richiesta di riapertura delle indagini del 21.03.22 di questa difesa (doc.2). A quella memoria si era adeguatamente replicato con nostra successiva del 31 maggio 2023 (doc.7), che tuttavia il Gip non pare avere letto, essendo stata a sua volta dal medesimo non oggetto di smentita ma solo citata, en passant.
7. La memoria 31.05.23. Con tale memoria (doc.7) non solo si replicava con dovizia di argomenti a quella del P.M. del 31.01.23 (a sua volta copia/ incolla della nota di P.G. del 12 ottobre 2022), mettendone in luce la povertà concettuale e argomentativa e la scarsa conoscenza della vicende processuali pregresse, a parte la storicamente sconfessata “pista “sarda” che, per l’estensore di quella nota (e adesso, per effetto del suo recepimento, anche del Gip), sembra invece essere la risposta appagante a tutte le questioni sollevate dall’opponente, compreso l’invito a indagare su… Antonio Vinci perché aveva un Alfa rossa!
Insomma, un P.M. tornato…. “sardista” d’un colpo, come nel ruggente 1982! Ma soprattutto si introducevano, in quella nostra memoria, nuove richieste istruttorie mai esaminate e, fra le tante, vedi in particolare:
– verificare la fondatezza di quanto sta scritto in un articolo, pubblicato sulla Nazione del 10 agosto 1984 ove si legge: “Da Pistoia un anonimo che usa il nome di una delle vittime del mostro ci ha telefonato per farci sapere che l’assassino di Pia e Claudio, la notte del delitto, aveva parcheggiato la sua auto – una Flavia coupé rossa con tetto nero – quasi in mezzo alla strada. Lui era fermo dentro e al sopraggiungere del pistoiese sarebbe sceso per controllare se la macchina sarebbe potuta passare: «somiglia all’identikit da voi pubblicato – ci ha detto il pistoiese -, solo ha i capelli più lunghi». Articolo di Umberto Cecchi. Più eloquente di così… scritto in tempi non sospetti, quando l’auto rossa con cofani neri di Giampiero Vigilanti non era ancora saltata fuori, non può più essere una semplice coincidenza (vedi qui doc.8).
– sentire l’ufficiale del Sismi M.M. autore di uno scritto pesantemente indiziario sul conto di Giampiero Vigilanti indicato come indagabile, fin dal novembre 1985, per i delitti delle coppiette
– accertare dove e da chi fossero stati custoditi per lungo tempo e prima di essere ritrovati bossoli e proiettili apparentemente riferiti al 1982
– indagare sulla militanza e sull’impunità di Giampiero Vigilanti come organico delle formazioni para-militari di contrasto al comunismo operanti sui monti dell’Appennino toscano
Al punto 4 della suddetta memoria 31.05.2023 (doc.7) si erano inoltre avanzati per la prima volta in assoluto, numerosi quesiti mirati ad “accertare l’appartenenza dell’assassino (unico) oppure di uno dei complici all’ambiente dell’estrema destra toscana”, richiamando in causa, in particolare, il rinvenimento di bossoli cal. 22 e di residui di cartucce marca Winchester Leader (le stesse usate dal Mostro) nel luogo ove si era tenuto un campo para-militare a Pian degli Ontani, fraz. di Cutigliano, in Garfagnana, nella prima settimana di giugno 1974
-nella medesima memoria, che si allega a questo intervento, si erano riportate, una per una, tutte le occasioni in cui, negli stessi anni in cui colpiva il Mostro, la Gladio ed altre organizzazioni paramilitari erano nella disponibilità di pistole cal. 22, sia Beretta che High Standard e si era anche citato un campo para-militare a Rioveggio, indicato anche da un quotidiano del 31.08.1974; località che coincide con quella citata dal figlio di Giampiero Vigilanti in un suo intervento in Rete nel 2010, ben noto al P.M. ed al Giudice, in cui riferisce che il padre fu interrogato, anzi perseguitato, per la sua supposta frequentazione di un campo paramilitare, proprio a Rioveggio.
Invece, niente di niente…solo “elementi congetturali” o “riproposizioni di richieste già formulate”, secondo il Gip di Firenze. Non vi è chi non veda come un privato altro non possa che proporre delle ipotesi investigative. Spetta poi all’A.G. verificarle. E queste non parevano irragionevoli, ma solo richiedenti tempo, risorse e soprattutto tanto acume, doti che, ahimè, non sono emerse in questa vicenda.
8. La presunta identità dell’arma. Anche il pensiero del consulente Minervini è stato mal riportato, per non dire ribaltato.
Non solo egli non ha mai parlato di identità dell’arma per tutti i delitti, cosa che invece per il P.M. ed il Giudice sembra scontata, ma ha anche precisato che, mentre i bossoli provengono tutti “da una stessa arma”, pare una Beretta calibro 22 della serie 70, “non è possibile affermare con certezza che i proiettili siano stati sparati dalla stessa arma…” ! (cfr. incarico 13.07.16, pagina 98/111, in faldone VI, p. 492 pp. 7265/17 nr- 9118/18 gip).
Inoltre, il ctp del P.M. ha ipotizzato, a torto o a ragione, non ci pronunciamo, la presenza di una seconda arma sulla scena del delitto del 1985, in particolare di una pistola a tamburo o di una Beretta della serie 48 (cfr. incarico citato, 108/111, cfr. sempre in filza VI, pp. 500 ss.). Non è compito nostro affermare se egli abbia colto nel segno ma, di sicuro, non si comprende come si possa attribuirgli l’avere detto che la pistola è una sola, come scrivono sia il P.M. che il Gip., poiché così è l’esatto contrario di ciò che ha scritto. Ma anche questo rimane un mistero non svelato delle tortuose vicende giudiziarie.
Infine, il Maggiore Minervini a pag. 496 della stessa relazione come sopra, descrive il proiettile rinvenuto nel cuscino come esploso da una pistola munita di una canna diversa e più grande rispetto a quella altrimenti impiegata in tutte le altre occasioni: “Morfologia del proiettile nel cuscino, reperto V3: Da un’attenta analisi morfologica del reperto V3, è possibile notare che il reperto al momento dello sparo, in balistica interna, assume una morfologia totalmente differente da tutte le tipologie di proiettili analizzati sia come test di sparo che come reperti recuperati in sede autoptica. Tale differenza morfologica viene trasmessa al proiettile in balistica interna, per tale motivo la stessa può essere addebitata ad una canna della stessa tipologia utilizzata nei vari delitti, ma con dimensioni e morfologia differente”.
9. “Uomo sconosciuto 1”. Ripercorrendo le pagine delle ultime consulenze balistiche sui bossoli e proiettili attribuiti all’arma del c.d. “Mostro” (in numero di quattro, dal 2016 al 2018), emergono numerose incongruenze che hanno segnato purtroppo la ricostruzione di fatti da parte dei professionisti incaricati dalla Procura della Repubblica di Firenze. Su molti bossoli e proiettili, infatti, i consulenti genetisti dello stesso P.M. hanno rinvenuto il dna del consulente balistico del P.M. Magg. Paride Minervini. In particolare, a pag. 946 del faldone VI, depositato all’esito delle indagini nei confronti di Giampiero Vigilanti + 1, si legge che in data 21.11.2018 per i consulenti genetisti “il profilo genetico del campione 706-PM è coincidente con quello di “Uomo sconosciuto 1″, per cui è da ritenersi che Paride Minervini debba essere identificato, al di là di ogni ragionevole dubbio, come il donatore del materiale biologico presente sui reperti esaminati” (vedi allegato A “minervini 944-946.pdf”). Ciò significa, evidentemente, che l’intervento del consulente balistico ha compromesso le tracce, che si sarebbero potute trovare, degli assassini o dell’assassino, su tutti i reperti balistici in esame. La possibilità di rinvenire tali tracce su un‘ogiva già esplosa è sottintesa dallo stesso incarico conferito dal P.M.al proprio consulente genetista. Altrimenti che senso avrebbe avuto interpellarlo? Sarebbe stato opportuno, in ogni caso, effettuare prima la verifica del Dna e poi le indagini balistiche ed anche che il Magg. Minervini usasse dei guanti, almeno durante la manipolazione dei reperti, il che non sembra sia avvenuto.
10. Il proiettile V3. Si tratta dell’ogiva rinvenuta nel cuscino, nell’aprile 2015, a distanza di trenta anni dai fatti, che, se non contaminata con le modalità anzi descritte, avrebbe potuto rappresentare un’evidenza significativa sull’autore di quel delitto: certamente non era stato compromesso, almeno fino ad allora, da qualsiasi altro precedente consulente, visto che al momento della rimozione è stato anche “inserito in una provetta tipo Falcon sterile dalla polizia giudiziaria”. Per quanto si è capito, invece, anche su tale proiettile, purtroppo, è stato trovato il dna del Magg. Minervini (vedi allegato B. pag. 749).
Era questo un reperto di grande interesse, anche perché è descritto come “traccia mista”, nel senso che contiene il dna di due uomini. Infatti, come in questo caso, quando su un locus ci sono tre o quattro numeri, per esempio 14-17-18, si è al cospetto di almeno due dna. Su questo reperto dunque ci sarebbe, per quanto capito, sia il profilo genetico di Minervini, sia quello di un altro un soggetto, rimasto sconosciuto, verosimilmente l’autore oppure uno degli autori del duplice delitto del 1985 in danno dei due turisti francesi. Al momento, in definitiva, il dna di “uomo sconosciuto 2” non è facilmente identificabile, sì che occorrerebbero degli interventi “riparatori”, per scorporarlo da quello del Magg. Minervini e poi confrontarlo con quelli riportati nell’elenco di nominativi, già predisposto dalla polizia giudiziaria, fra i quali vi sono anche quello di Giampiero Vigilanti e di Francesco Caccamo (vedi sempre in filza VI). Su questo punto, essendo in corso degli accertamenti, da parte di chi scrive, sicuramente si ritornerà.
Non sembra che di ciò si sia tenuto conto nelle consulenze genetiche, per cui permane l’interesse nostro a stabilire se il dna originale del probabile assassino o del suo complice possa ancora essere concretamente recuperato nell’attualità e comparato con quello di altri proiettili, soprattutto quelli rinvenuti a Giogoli e a Vicchio, dove sono state rinvenute tracce biologiche compatibili con quelle di “uomo sconosciuto 2”.
11. Il guanto di lattice di Scopeti. È quello trovato in un rovo della piazzola, a distanza di giorni da quei tragici fatti, che conterebbe un profilo misto, ossia il dna di due uomini. Leggendo a pag. 740 del faldone VI, si evidenzia, infatti, la colonna del reperto 623-5 (che è appunto il guanto di lattice): in alcuni locus compaiono tre cifre; quindi, (come detto sopra) si tratta di due distinti dna. Pertanto, potrebbe essere opportuno svolgere ulteriori accertamenti più mirati: sia perché l’assassino potrebbe aver lasciato tracce dei propri polpastrelli, sia, appunto, per accertare se un profilo misto possa contenere il dna di uno degli indagati (magari nella considerazione che l’altro potrebbe essere quello della vittima, cioè di JMK).
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In definitiva anche questa seconda decisione di archiviazione, appare frettolosa e sorretta da argomenti che non trovano riscontro nel lavoro di preparazione svolto da questo difensore e dai suoi collaboratori in occasione dell’opposizione alla richiesta di archiviazione, ma anche successivamente, come dimostra la memoria 31.05.23 che si è riassunta, del tutto ignorata.
Vi è solo da augurarsi che nel futuro la giustizia su casi rilevanti come quello in commento possa conoscere momenti migliori di quelli che abbiamo vissuto e stiamo vivendo in questi anni successivi al pensionamento del dr. Paolo Canessa, e non per colpa nostra.
Firenze, 18 maggio 2024
Elenco cronologico dei documenti citati
decreto di archiviazione pp. 7265/17 nr
richiesta di riapertura delle indagini 21.03.22
richiesta di archiviazione pp. 14165/19 nr
opposizione alla predetta richiesta
nota di PG 12.10.22
memoria del PM 31.01.21
memoria difensiva 31.05.23
articolo de “La Nazione” 10.08.84
decreto di archiviazione 17.05.24