Pietro Pacciani “non è assolutamente il Mostro di Firenze” Le dichiarazioni della confidente suor Elisabetta
Giovanna Tedde
Suor Elisabetta, confidente di Pietro Pacciani, è certa che non sia lui il “Mostro di Firenze”. Le sue parole, davanti alle telecamere di Farwest, portano a un altro uomo…
Suor Elisabetta, per 15 anni confidente di Pietro Pacciani, è sempre stata certa dell’estraneità del contadino di Mercatale ai delitti del Mostro di Firenze. Una convinzione, la sua, ribadita poche ore fa davanti alle telecamere di Farwest, la trasmissione di Salvo Sottile che ha mandato in onda un nuovo approfondimento sui duplici omicidi che insanguinarono le campagne fiorentine fino alla metà degli anni ’80. Oggi 90enne, gli è stata accanto a lungo fin da quando Pacciani finì in carcere per le violenze ai danni delle figlie. “Da allora non l’ho più lasciato – ha dichiarato in tv –, specialmente nel periodo in cui fu accusato di essere il mostro. Lì ho anche aumentato i miei incontri con lui perché capivo che era un uomo che soffriva tantissimo, non accettava questa accusa. Non è assolutamente il Mostro di Firenze, va cercato in un altro ambiente. Lui mi diceva ‘Ma si accorgeranno che non sono io?’“.
Suore Elisabetta: “Un detenuto mi disse che Pietro Pacciani non era il Mostro di Firenze e mi fece un nome”
Riavvolgendo il nastro della storia del Mostro di Firenze all’epoca in cui Pietro Pacciani era in carcere, il racconto della suora che fu sua confidente per 15 anni rimanda a un episodio che vedrebbe coinvolto un soggetto all’epoca ristretto nello stesso penitenziario. Così suor Elisabetta lo ha descritto ai microfoni del programma di Rai 3: “Un detenuto venne da me per dirmi ‘Non è Pietro Pacciani il Mostro, e mi fece il nome. Chi è? Preferirei non dire niente. Lascio a voi il compito“.
Ospite della trasmissione di Salvo Sottile anche la criminologa Roberta Bruzzone, da sempre convinta dell’estraneità di Pietro Pacciani e “compagni di merende” alla scia di sangue attribuita al Mostro di Firenze. In studio, ha spiegato perché, dal punto di vista criminologico, il quadro di un loro coinvolgimento nei delitti non regge: “Questa tipologia di condotte, soprattutto l’evoluzione della firma comportamentale, quindi le escissioni che variano poi a seconda della fase della serie, è del tutto incompatibile con l’azione di un gruppo criminale“. Secondo l’esperta, la parabola delle azioni omicidiarie sarebbe invece compatibile con “lo sviluppo, il concretizzarsi in maniera progressiva di una fantasia, chiaramente aberrante, parafilica gravissima, in un soggetto singolo che è portatore di bisogni specifici di tipo sessuale completamente devianti. Difficilissimo – ha concluso la criminologa – che un gruppo possa condividere un’evoluzione di una firma comportamentale così specifica e così peculiare“.