Mostro di Firenze, il dna che potrebbe riaprire il caso e le piste che passano da Arezzo: da Narducci alla “tesi” Vinagli

Nadia Frulli

La scoperta della presenza di tracce di un dna sconosciuto su proiettili che legano tre omicidi potrebbe far riaprire il caso. E permettere di accertare le ipotesi che puntano i riflettori su Arezzo

Un Dna sconosciuto. Tre duplici delitti, degli otto complessivi, legati da una traccia biologica da poco riscontrata. E il caso più misterioso d’Italia, quello del mostro di Firenze, che potrebbe essere riaperto.  Potrebbe addirittura esserci una svolta sulla vicenda dell’assassino che terrorizzò e insanguinò le colline attorno a Firenze tra 1968 il 1985. Anni di indagini hanno portato a tracciare tante piste. La vicenda giudiziaria è conclusa da tempo. La giustizia italiana ha stabilito la sua verità. Pietro Pacciani fu condannato in primo grado e assolto in secondo grado. La sentenza fu annullata dalla Cassazione e il processo d’appello doveva essere celebrato quando Pacciani morì. Condannati i presunti complici Mario Lotti e  Giancarlo Vanni. Ma i dubbi irrisolti, alcuni dei quali portano dritti ad Arezzo, restano tanti. E forse potrebbero essere chiariti dall’esame del dna.

Emanuele Petri e l’inseguimento di Narducci

Una di queste piste ruota attorno alla figura di Francesco Narducci, medico perugino trovato senza vita nel lago Trasimeno, e porta ad Arezzo sulle due ruote di una motocicletta. Quella dell’agente di Polizia che poi fu ucciso nel 2003 dalle Brigate Rosse, Emanuele Petri

La vicenda risale al 1985 ed è stata raccontata dall’ex pm della Procura di Perugia Giuliano Mignini in base alla rivelazione di un testimone, l’amico del poliziotto Enzo Ticchioni.  Petri era un agente di appena 30 anni, ma già esperto nel suo lavoro. Era in servizio presso la Polizia Stradale di Arezzo. Stando a quanto riportato da Ticchioni, Petri avrebbe “indagato su Narducci due giorni dopo la sua scomparsa al Lago Trasimeno”. Era passato quasi un mese dall’ultimo duplice omicidio degli Scopeti, avvenuto il 9 settembre 1985.

Nei giorni precedenti ci sarebbe stato anche un pedinamento di Narducci, che in quell’occasione era alla guida della sua moto rossa. Da Firenze era diretto al Lago Trasimeno. Fu seguito fino a Terontola, poi fece perdere le sue tracce.

Mignini, oggi in pensione, ha spiegato che il nome di Emanuele Petri saltò fuori all’improvviso. “Era il 2004 – ha dichiarato il pm in una intervista a Perugia Today – e stavo cercando di delineare un quadro sulla morte di Narducci ascoltando pescatori e personaggi del Trasimeno. L’audizione era con un tale Enzo Ticchioni, pescatore, che verso la fine dell’incontro disse che il suo amico Petri, il poliziotto ucciso dalle Br, gli aveva raccontato che, insieme a un collega, aveva fatto un inseguimento per cercare di prendere una motocicletta che però gli era sfuggita all’altezza di Terontola”.

Il pm spiegò che gli agenti avevano preparato un posto di blocco lungo la strada vecchia che viene da Firenze e passa attraverso Arezzo e Cortona, per giungere al Lago. Pare però che Narducci abbia superato il posto di blocco riuscendo poi scomparire nel nulla a Terontola. A far trasalire il pm, in quell’occasione fu una dichiarazione specifica: cioè il fatto che “Petri stava dietro (a Narducci, ndr) da quando erano stati ritrovati dei resti umani femminili presso la sua abitazione in Firenze”. 

A onor di cronaca, le dichiarazioni di Ticchioni furono raccolte un anno dopo la scomparsa di Petri e non ci fu modo di poterle riscontrare in modo diretto. Così come non fu possibile accertarsi della veridicità delle dichiarazioni in merito a “feticci  e resti umani ritrovati presso l’abitazione fiorentina di Narducci”. 

Le “rivelazioni” di Angelo Izzo, mostro del Circeo

Un’altra pista che porta ad Arezzo è emersa negli scorsi anni dalle pagine della relazione stilata dalla commissione parlamentare d’inchiesta sui fenomeni criminali, dedicata all mostro di Firenze. Riporta le affermazioni di Angelo Izzo – il mostro del Circeo che incontrò i membri della commissione nell’ottobre del 2021 all’interno del carcere di Velletri – il quale ipotizza un legame tra  Narducci e i delitti, corroborando la tesi dei rituali massonici “a sfondo satanico”. In particolare, Izzo riferì di aver conosciuto Narducci nella chiesa templare di San Bevignate, a Perugia. Ma successivi incontri tra il mostro del Circeo e il medico umbro sarebbero avvenute ad alcune “riunioni monarchiche che si tenevano negli anni ’70 in provincia di Arezzo”. Incontri che si sarebbero svolti in una tenuta del Valdarno. Nella relazione parlamentare si ipotizza che il giovane medico fosse un membro gruppo della “Rosa Rossa” (associazione già affiorata nelle passate inchieste sul “mostro”) e di quello “satanico-nazista” dei “Nove Angoli”. Una ritualità che sarebbe fulcro della vicenda: secondo la commissione infatti la “genesi del mostro” sarebbe da ricercare in queste pratiche. 

Vinagli, l’aretino che accusa un operaio della Perugina

L’ultima pista (le cui radice affondano però ad almeno due decenni fa) è quella tracciata dall’aretino Vincenzo Vinagli, che sulla sua tesi (rivelata lo scorso giugno in piazza San Jacopo) ha scritto il libro “Il silenzio del morti viventi”. Secondo l’uomo, oggi pensionato, il mostro sarebbe stato un ex operaio della Perugina che viveva nella zona del Trasimeno. Il presunto mostro, del quale ha fatto anche il nome, è deceduto 25 anni fa, nel 1999. Cosa lo collegherebbe ai delitti? Stando a quanto dichiarato a Firenze Today, aveva un’auto dello stesso modello di quella intravista nei dintorni delle zone dove sono avvenuti alcuni omicidi, un forte odio verso le donnen e le difficoltà fisiche ad avere rapporti sessuali. 

https://www.arezzonotizie.it/cronaca/mostro-firenze-dna-piste-arezzo.html

3 Agosto 2024 Stampa: Corriere del Ticino – Mostro di Firenze, il dna che potrebbe riaprire il caso e le piste che passano da Arezzo: da Narducci alla “tesi” Vinagli
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