Mostro di Firenze, la nuova pista del dna porta al vero colpevole
di giuseppe fumagalli
Mostro di Firenze, c’è un Dna. È stato trovato su uno dei proiettili sparati l’8 settembre 1985 a San Casciano Val di Pesa contro i francesi Jeanine Nadine Mauriot e Jean Kraveichvilj, l’ultima coppia a cadere sotto i colpi del serial killer
LA GENETICA VIENE IN AIUTO – Nel giallo infinito che da settembre 1974, in undici anni, ha fatto 14 vittime (16, se s’attribuisce al mostro anche il doppio omicidio del 21 agosto 1968) tutto va maneggiato con estrema cautela. Compresa la genetica, che nei cold case (i cosiddetti casi freddi) rappresenta la sola (o quasi) speranza d’arrivare alla verità. La speranza è concreta secondo Lorenzo Iovino, l’immunologo ingaggiato dall’avvocato Vieri Adriani, legale dei familiari di Mauriot e Kraveichvilj. Iovino ha studiato a fondo la relazione depositata dal genetista Ugo Ricci e ha scoperto una sequenza genetica mai identificata prima, in parte presente anche su altri due proiettili. Una sorta di Ignoto 1 ancora tutto da scoprire.
IL PERITO DUBITA, GIUTTARI SPERA -È una speranza che il perito balistico Ruggero Pettinelli, interpellato da Oggi, non condivide del tutto: «Pensare che un proiettile al termine della sua traiettoria possa aver trattenuto tracce biologiche lasciate nelle operazioni di caricamento dell’arma, mi pare alquanto improbabile», spiega. «Se il Dna fosse sul bossolo che viene subito espulso capirei. La vedo più complicata per l’ogiva, che, oltre a muoversi in linea retta, ruota sul proprio asse e incontrando un ostacolo è soggetta a un attrito su tutta la sua superficie. Il proiettile in questione è stato trovato a distanza di anni nel cuscino delle due vittime francesi e può darsi che nell’impatto col tessuto non tutte le tracce si siano cancellate. Dubito però che questo possa essere avvenuto anche su altri due proiettili. In ogni caso a questo mondo tutto è possibile, per cui è giusto andare avanti». Anche per Michele Giuttari la speranza, compresa la più labile, dev’essere l’ultima a morire. L’ex capo della Squadra Mobile di Firenze, investigatore che portò a processo i compagni di merende, Giancarlo Lotti e Mario Vanni, di Pietro Pacciani, ritiene che nulla vada lasciato intentato: «Il Dna su un proiettile degli Scopeti e su altri due repertati in diversi delitti è un’ottima notizia», commenta al telefono Giuttari, che dopo aver lasciato la divisa è diventato un acclamato autore di romanzi polizieschi. «La traccia potrebbe appartenere a chi ha caricato l’arma. Quindi ci ritroveremmo a tu per tu con lui, l’assassino. Bisogna andare avanti. Il mostro di Firenze è un caso unico nella storia criminale italiana e mondiale. Tutto quello che c’è da fare va fatto per aggiungere un granello di verità. E granello dopo granello forse un giorno arriveremo dove nessuno sperava».
UNA VERITÀ GIUDIZIARIA C’É GIÀ – Il Dna sui proiettili ha già suggerito a Vieri Adriani il passo successivo: riesumare il corpo di Stefania Pettini, uccisa nel 1974. Prima di morire, secondo il medico legale, aveva lottato col mostro e sotto le unghie potrebbe essere rimasto materiale biologico dell’assassino. Se il codice genetico coincidesse con quello dei proiettili l’inchiesta sarebbe a una svolta. Erano anni che non si parlava delle colline di Firenze e del suo sanguinario frequentatore notturno. «Meglio che non se ne parli», dice un inquirente che non smette di studiare quello spazio oscuro, ancora attraversato da mille piste. L’unica ad aver retto, che riguarda quattro di quei delitti, ha portato al giudizio di colpevolezza per Giancarlo Lotti e Mario Vanni. Pietro Pacciani, condannato in primo grado e assolto in appello, è morto prima d’essere giudicato in un nuovo processo d’appello. Una verità giudiziaria quindi c’è. Ma non soddisfa nessuno. C’è chi vorrebbe cancellarla con un colpo di spugna, come Valter Biscotti, avvocato dei familiari di Vanni, convinti dell’estraneità dei compagni di merende. E chi, come Michele Giuttari, vorrebbe completare la verità giudiziaria, ponendo al vertice della sgangherata combriccola anche il loro burattinaio.
UN GENIO DEL MALE – Un maniaco ma non un personaggio qualunque. Preciso come un cecchino quando scaricava sulle sue vittime i colpi di una Beretta calibro 22. Abile come un chirurgo quando s’avvicinava ai corpi ancora caldi per asportare i genitali femminili. Sfrontato come un giocatore d’azzardo quando scriveva lettere di sfida a chi gli dava la caccia. Un genio del male, al di sopra della manovalanza criminale finora identificata dalle indagini. Il mostro sapeva tante cose, ma non poteva conoscere il futuro, l’evoluzione della scienza e la sua applicazione nelle indagini. Non poteva immaginare che dopo tanti anni ci fossero ancora tante persone pronte a dargli la caccia per trovarlo.
Vivo o morto che sia.
Giuseppe Fumagalli