Mostro di Firenze, parla Pino Rinaldi: “La pista sarda era quella giusta”
Rino Casazza
Sul numero di Cronaca Vera in edicola questa settimana, compare una mia intervista al noto giornalista d’inchiesta Pino Rinaldi, che parla del suo recente libro sul mostro di Firenze dal titolo “Il mostro è libero (se non è morto)”
L’intervista riprende e sintetizza il contenuto di una lunga conversazione, dal titolo CHI E’ DAVVERO IL MOSTRO DI RIFENZE? PARLA PINO RINALDI” (vedi anche sotto) da me avuta con Rinaldi ad inizio agosto per la rubrica di podcast sul canale youtube di Fronte del Blog “Mostro di Firenze, le indagini, i retroscena le nuove rivelazioni” .
Com’è noto il libro di Rinaldi ripropone il filone principale della “pista sarda” valendosi del contributo dell’ alto ufficiale dei Carabinieri, Nunziato Torrisi, che negli anni 80, dopo l’ultimo delitto del Mostro di Firenze si impegnò in questa direzione producendo un dettagliato rapporto per la Magistratura, che Rinaldi ritiene ancora convincente ed attuale.
MOSTRO DI FIRENZE, L’INCHIESTA DIMENTICATA
Il giornalista d’inchiesta Pino Rinaldi, inviato, autore e conduttore di numerose trasmissioni di successo, da “Chi l’ha visto?” fino alla recente “Faking-it: bugie e verità” , quest’ estate ha dato una scossa all’inchiesta sul Mostro di Firenze col saggio, scritto in collaborazione col Generale dei Carabinieri Nunziato Torrisi, “Il Mostro è libero (se non è morto)”. Il libro ripercorre e ripropone l’indagine che sul caso svolse, dal 1983 al 1986 l’allora Maggiore Torrisi, collaboratore del Giudice Istruttore fiorentino Mario Rotella, tradottasi in un corposo rapporto che costituisce l’architrave della c.d “pista sarda”, poi archiviata per lasciare il campo alla pista Pacciani/compagni di merende” , divenuta verità giudiziaria nel 2001 anche se tra dubbi mai dissipati.
“Io sono sempre stato convinto” ci spiega Rinaldi “che se la pistola del Mostro ha ucciso, come accertato, anche nel primo delitto della serie, quello di Lastra a Signa nel 1968, allora la sua identità vada ricercata nelle circostanze e tra i protagonisti di quell’omicidio.” ci spiega nei dettagli Rinaldi “ La soluzione giudiziaria data all’epoca con la condanna di Stefano Mele, marito tradito che avrebbe ammazzato, per vendetta passionale, la moglie e l’amante, oggi viene universalmente ritenuta inattendibile. Ciò è tanto vero che non solo il Giudice Rotella ma anche il pubblico Ministero Pierluigi Vigna non la prese in considerazione , mettendo sott’accusa come autore del delitto del 68 e conseguentemente degli altri del Mostro uno dei sardi implicati nella vicenda di Signa. Solo che Vigna scelse la persona sbagliata, perché il Mostro uccise di nuovo mentre l’indagato, Francesco Vinci, era sotto custodia cautelare in carcere”.
Il Generale Torrisi condivideva l’iniziativa di Vigna?
Pur rispettandola, no. Torrisi aveva avuto l’intuizione che il delitto non era “d’onore”, ma una vera e propria esecuzione cui aveva concorso un gruppo di persone. Innanzitutto membri della famiglia del marito poi condannato, che rimproverava alla di lui moglie, oltre a una condotta troppo disinvolta, di aver provocato perdite economiche. Ma ci fu anche la complicità di un soggetto appartenente alla famiglia, anch’essa sarda, dei Vinci, che, non sopportando che la donna avesse interrotto la relazione con lui, era mosso da odio verso di lei. Secondo Torrisi costui, Salvatore Vinci, fratello di Francesco, più se ne approfondiva la posizione, più mostrava di avere i requisiti del Mostro di Firenze. Purtroppo il Giudice Rotella, ad un certo punto rivolse l’attenzione verso due parenti di Stefano Mele, facendosi ingannare da alcuni indizi in apparenza forti, e li fece arrestare con l’accusa di essere “i Mostri”. Come nel precedente caso, anche questa volta il vero Mostro li scagionò uccidendo nuove vittime mentre i due si trovavano in prigione.
Fu quello il capolinea della pista sarda?
Non ancora. Torrisi aveva infatti messo a fuoco un altro elemento importante a carico del suo sospettato. Questi, quando abitava in Sardegna, aveva perduto la moglie per supposto suicidio, ma Tortisi sospettava, rianalizzando il caso, che fosse in realtà un omicidio commesso da Salvatore Vinci. Il giudice Rotella si dedicò alla revisione di questo processo, mentre nel frattempo gli uomini di Vigna intraprendevano strade alternative alla “pista sarda” sfruttando il lavoro della neocostituita Squadra Antimostro della Polizia. Rotella e Torrisi confidavano che, dimostrando la responsabilità di Salvatore Vinci nella morte della moglie, l’ipotesi che questi fosse il Mostro di Firenze ne sarebbe stata rilanciata in modo decisivo. Ma Salvatore Vinci fu assolto dall’accusa di uxoricidio e questo indusse Rotella, pur con rammarico, a decretare l’archiviazione della pista sarda.
E Torrisi?
Torrisi venne trasferito ad altro incarico, con una fretta che potrebbe far pensare alla volontà di evitare che continuasse nella sua indagine divenuta scomoda. Questa, come dimostro nel libro, conservava e conserva, anche alla luce di fatti nuovi, la sua validità.
Mostro di Firenze, parla Pino Rinaldi: “La pista sarda era quella giusta”
Non è detto che la pistola e i proiettili di Signa siano gli stessi dei successivi delitti. Non c’è certezza assoluta se non erro. correggetemi se sbaglio però.
Molto probabile è che esista una partecipazione del S.V. – colui che venne definito perfido e addirittura diabolico in quel rapporto della Benemerita – soltanto nel delitto duplice di L.a Signa…il Mele Stefano potrebbe aver sparato solo un colpo in aria
Sappiamo che soltanto il colonnello d artiglieria I. Zuntini vide per certo i “bossoletti” e proiettili del 1968 -ma pare non li fotografò -…l’unico colpo estratto da A.Lo Bianco recava solo una lieve deformazione e 6 le (note) rigature
Nella perizia tecnica riepilogativa di 15 anni dopo, il succitato proiettile diviene(!) “profondamente deformato” per impatto balistico e reca soltanto 2 (due) frammenti di rigatura
Aggiungo che il Vanni Mario, intercettato 2 volte a sua insaputa nel carcere di Pisa mentre parlava con l’amico Nesi, pur negando il suo coinvolgimento,confermò che Il Pacciani “era nel bosco con le pistole”…”faceva, sì, questi omicidi”…”di (da) molti anni”
Adombrando però qualche dubbio mai confermato (né smentito) sulla partecipazione di almeno un altro,ignoto, assassino di coppie, tale “Ulisse”- oltre al “Vampa” e Lotti Giancarlo…
la qual cosa non è incoerente da quanto quest’ ultimo si fece sfuggire col Pucci, cioè che Pacciani(e forse Vanni?) colpirono anche a Calenzano (22 ottobre 1981) ma nulla egli affermò di sapere riguardo i tre precedenti delitti a danno delle coppie in automobile in agro fiorentino