Il mostro di Firenze e il ritorno della “pista sarda”

Gianluca Zanella

Non sono passati che pochi giorni dalla notizia di un esperimento scientifico condotto dagli avvocati del nipote di Mario Vanni per scagionare lo zio e, di conseguenza, far crollare l’impianto accusatorio sui cosiddetti Compagni di merende, che un altro scoop arriva a eccitare gli animi dei tanti “mostrologi” che affollano la rete. Sembra infatti che a breve, sulla base di un’iniziativa privata dei famigliari, supportati da un investigatore privato, sarà riesumato il corpo – o quel che ne rimane – di Francesco Vinci.

I fratelli Vinci e l’omicidio del 1968

Per chi della vicenda del Mostro di Firenze è un esperto, il nome di Francesco Vinci apre un mondo. Per i tanti che potrebbero non averlo mai sentito nominare, Francesco Vinci era uno dei tanti sardi emigrati in Toscana tra gli anni Cinquanta e Settanta. Originario di Villacidro, di professione pastore, Francesco era un uomo violento, dedito, insieme al fratello maggiore Salvatore, più alla commissione di piccoli crimini che alla pastorizia.

La sua parabola criminale ha un picco nell’estate del 1968. Il 21 agosto, infatti, vicino al cimitero di Signa avviene un duplice omicidio: Barbara Locci, sarda, moglie di Stefano Mele, viene uccisa a colpi di pistola mentre intrattiene un rapporto sessuale all’interno di una macchina insieme a uno dei suoi amanti, Antonio Lo Bianco, anche lui freddato. Completamente illeso il figlio della Locci, addormentato sul sedile posteriore al momento del delitto.

Sin da subito le indagini portano al marito della donna che, una volta interrogato, dà la colpa dell’omicidio a Francesco e Salvatore Vinci. Sono loro, dice, ad aver sparato. Tuttavia, le indagini non trovano riscontri e Stefano Mele, oltre che per omicidio, viene condannato anche per calunnia. Storia chiusa? Neanche per sogno.

Il “cittadino amico” e l’enigma della pistola

Luglio 1982. A Firenze, ma in generale in tutta Italia, è il panico. La psicosi da Mostro è alle stelle. Il 19 giugno si è consumato il quarto duplice delitto. Il Mostro di Firenze ha fatto il suo esordio nel 1974. Dopo una pausa di sette anni ha colpito due volte nel 1981 e ora nel 1982. Ed è proprio a luglio, dopo il delitto a Baccaiano di Montespertoli ai danni di Paolo Mainardi e Antonella Migliorini, che accade qualcosa: un anonimo, che firma la sua lettera come “un cittadino amico“, fornisce una dritta ai carabinieri che indagano sul caso: andate a vedere, dice in sostanza, gli atti del processo del 1968, quello a carico di Stefano Mele per il delitto di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco.

Gli inquirenti allora tornano in Procura a spolverare i fascicoli di quel caso chiuso e – sorpresa – allegato a uno di questi fascicoli, attaccato con una spillatrice, c’è un sacchetto contenente cinque bossoli. Si tratta dei bossoli repertati sulla scena del delitto e – sorpresa ancora più grande – sono gli stessi di tutti i delitti fin ora commessi dal Mostro. Impossibile sbagliarsi, infatti la pistola del Mostro ha un difetto che imprime sul bossolo sparato una malformazione. Insomma, la pistola che ha sparato nel 1968 è la stessa che il Mostro ha iniziato a utilizzare nel 1974 e che userà fino alla fine.

Gli inquirenti, senza starsi troppo a interrogare su quel singolare ritrovamento, a quel punto tornano da Mele. L’uomo, ancora una volta, fa il nome di Francesco Vinci, sul quale tornano a concentrarsi le attenzioni. L’uomo nel frattempo è già finito in carcere per maltrattamenti nei confronti della moglie e a questo punto è su di lui che si addensano i maggiori sospetti. Il Mostro – pensano gli investigatori – è già in gabbia.

L’omicidio di Giogoli che scagiona il sardo

Ma a scombinare i piani della giustizia, il 9 settembre 1983, a Giogoli, avviene l’ennesimo duplice omicidio, quello più strano, ai danni di Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch, due turisti tedeschi in sosta nel loro camper. Si tratta dell’unico delitto in cui il Mostro non infierisce sui cadaveri, forse proprio in ragione del fatto che si trattava di due uomini. Un errore? O forse una strategia? Quale che sia la verità, Francesco Vinci esce di prigione. Il Mostro non può essere lui.

Nonostante questo, ancora per diversi anni l’attenzione degli investigatori si concentrerà – formalmente e informalmente – su Francesco, Salvatore e il figlio di quest’ultimo, Antonio, senza che tuttavia si giunga mai a individuare elementi tali da poterli accusare di qualcosa.

La pista sarda esce di scena nel momento in cui a occupare le pagine dei giornali e i servizi televisivi arrivano le grottesche immagini dei compagni di merende, accusati di essere il braccio armato di un “secondo livello” composto da personaggi di alto livello mai individuati e, molto probabilmente, nemmeno mai esistiti.

I sardi, tra piccole condanne e strani omicidi

E i Vinci? Che fine hanno fatto? Salvatore, dopo essere entrato nell’orbita delle indagini, ha fatto perdere le proprie tracce. Oggi si troverebbe – molto anziano – all’estero, tra Spagna e Portogallo. Per qualche ragione, ha scelto di tagliare i ponti con l’Italia già molti anni fa e solo sporadicamente torna nella sua Villacidro per curare i suoi interessi.

Antonio, suo figlio, venne indicato come il vero Mostro da un’inchiesta – sfociata poi nel libro “Dolci colline di sangue” – del giornalista ne La Nazione Mario Spezi e del giallista americano Douglas Preston. Anche la scrittrice Magdanel Nabb, in un libro edito nel 1996, adombrò il sospetto che il killer potesse essere qualcuno gravitante attorno al “clan” dei sardi, ma fu evidentemente più sottile nel lanciare le sue accuse, perché si evitò – come invece accadde a Spezi – una condanna per calunnia (ai fini di un presunto depistaggio) che, nel 2006, lo portò addirittura in carcere.

Non risultano indagini legate ai delitti del Mostro a carico di Antonio che, se nel corso della sua vita ha incrociato diverse volte la giustizia più dura, oggi vive in tranquillità nei dintorni di Prato.

La sorte peggiore è toccata alla famiglia di Francesco. Uno dei suoi figli, Fabio, muore di overdose. Francesco, invece, muore in circostanze inquietanti – e in modo orribile – nel 1993. Il suo corpo, insieme a quello del suo servo pastore Angelo Vargiu, venne rinvenuto incaprettato, carbonizzato ed evirato all’interno del bagagliaio della sua macchina, a Chianni, un comune in provincia di Pisa. Un delitto senza colpevoli e senza movente. Più volte la sua è stata considerata una morte collaterale a quelle causate dal Mostro di Firenze, ma è anche possibile che l’omicidio sia maturato in un contesto di criminalità legata all’Anonima sequestri.

Ad ogni modo, l’annuncio dato nei giorni scorsi apre degli inquietanti interrogativi. Primo fra tutti: perché i parenti avrebbero il sospetto che non sia di Francesco il corpo dentro la sua tomba? Se effettivamente venisse riscontrato che i resti umani nella bara non siano attribuibili a lui, potrebbe valer la pena rintracciare il redivivo per un confronto del suo dna con quello recentemente repertato su alcuni bossoli? Tutte domande, al momento, prive di una risposta. Attendiamo con curiosità gli eventuali sviluppi di questa oscura vicenda.

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16 Settembre 2024 Stampa: Inside Over – Il mostro di Firenze e il ritorno della “pista sarda”
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