Mostro di Firenze, riesumati i resti di Francesco Vinci: esami sul dna del sospettato. La moglie: «Il cadavere non è il suo, ha inscenato la sua morte»
Grazie all’esame del Dna di scoprirà se è veramente suo il corpo dell’uomo trovato carbonizzato nel bagagliaio di un’auto nell’agosto 1993
Lo dirà tra 90 giorni l’esame del Dna se i resti riesumati in un cimitero di Montelupo Fiorentino sono veramente di Francesco Vinci, una figura chiave nella cosiddetta «pista sarda» sui delitti sul mostro di Firenze. L’operazione è stata ordinata dalla procura di Firenze. Ma solo dopo che la vedova Vitalia Melis e i figli avevano chiesto, in via autonoma, la riesumazione del cadavere per sapere se il corpo dell’uomo trovato ucciso, incaprettato e carbonizzato nel bagagliaio di un’auto nell’agosto 1993, nella campagna di Chianni (Pisa) fosse veramente quello del loro congiunto.
La riesumazione
Poco dopo l’alba, nel cimitero, chiuso al pubblico, ufficialmente per lavori, oltre ai carabinieri sono arrivati le due pm Ornella Galeotti e Beatrice Giunti, e Sergio Vinci, uno dei figli della vittima.
L’urna coi resti è stata poi portata all’istituto di Medicina legale di Firenze, dove già nei prossimi giorni saranno esaminati dagli esperti incaricati dalla procura – il medico legale Martina Focardi e il genetista Ugo Ricci – e i consulenti nominati da Vitalia Melis, il genetista forense Eugenio D’Orio e il medico legale Aldo Allegrini.
Il test del Dna
Dovranno estrarre il Dna poi da confrontare con quello dei familiari. «Vitalia Melis ha il forte sospetto che il marito sia ancora vivo — spiega il criminologo e investigatore privato Davide Cannella, che assiste i familiari di Vinci — Racconta di aver visto Francesco che da un’auto la salutava con un cenno della mano. Questo avveniva qualche giorno dopo la scoperta della morte del marito. Andò dai carabinieri, ma la cosa non ebbe seguito». E aggiunge: «Vitalia è sempre stata la detentrice dei segreti del marito e afferma di aver avuto, negli anni, segnali inequivocabili della sua esistenza in vita». «La procura – prosegue – si è mossa con rapidità ammirevole: vuol dire che c’è interesse a capire di chi siano veramente quei resti. Per i nostri consulenti sarà impresa ardua rilevare il dna. Ma è come per la schedina, bisogna sempre tentare».
Il cadavere senza mani
Insieme al fratello Salvatore Vinci, Francesco fu al centro della «pista sarda» sugli omicidi delle coppiette, a partire dall’omicidio dei due amanti Barbara Locci e Antonio Lo Bianco nel 1968 nelle campagne di Lastra a Signa, uccisi con la pistola Beretta calibro 22. Stefano Mele, marito della donna accusò i due fratelli Vinci, amanti della moglie, ma alla fine fu condannato non solo per il duplice omicidio ma anche per aver calunniato i Vinci. L’arma non fu ritrovata. Ma fu utilizzata nel 1974 in occasione dell’omicidio di Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini a Borgo San Lorenzo. Nel 1982 Francesco Vinci fu arrestato sospettato di essere il mostro. Ma mentre era in carcere, nel 1983 il killer delle coppiette torno a uccidere, lasciando a terra due ragazzi tedeschi. E per lui cadde ogni accusa. Dieci anni più tardi venne attribuito a lui il cadavere, carbonizzato, ritrovato insieme a quello dell’amico Angelo Vargiu, suo servo pastore. I corpi erano nel bagagliaio dell’auto di Vinci, data alle fiamme nelle campagne di Chianni.