Mostro di Firenze, riesumati i resti del presunto killer. La moglie e quel giallo irrisolto
Giuseppe China
Apiù di trentanove anni dall’ultimo duplice omicidio attribuitogli il caso del mostro di Firenze continua a riservare nuovi sviluppi investigativi. Ieri nel cimitero di Montelupo Fiorentino sono stati riesumati i resti di Francesco Vinci, accusato nel 1982 di essere il maniaco delle coppiette (scagionato l’anno successivo mentre si trovava in carcere), morto il 7 agosto 1993. Il suo corpo, insieme a quello del pastore Angelo Vargiu, venne trovato incaprettato e carbonizzato nel bagagliaio di una Volvo 240 nelle campagne di Chianni (Pisa). A disporre la riesumazione della salma e il successivo test del Dna sono stati i magistrati Ornella Galeotti e Beatrice Giunti, titolari dell’ultima inchiesta sul serial killer che ha colpito sulle colline del capoluogo toscano dal 1968 al 1985. La richiesta è stata presentata dalla vedova di Vinci, Vitalia Melis: quest’ultima e i figli ritengono che il familiare possa essere ancora vivo. Non bisogna dimenticare che all’epoca dell’identificazione del corpo, a causa delle condizioni in cui si trovava il cadavere, il riconoscimento di Vinci venne effettuato con un anello e un orologio. Soltanto nei prossimi giorni potranno essere definitivamente fugati i dubbi della famiglia e della Procura fiorentina, quando magistrati e parenti verranno informati sui test eseguiti all’istituto di medicina legale. Esami a cui parteciperanno la dottoressa Martina Focardi e il gentista Ugo Ricci, entrambi nominati dalle toghe toscane, che prima estrapoleranno il Dna di Vinci e poi lo confronteranno con quello dei familiari. Agli esami assisteranno pure il genetista forense Eugenio D’Orio e il medico legale Aldo Allegrini (nominati dalla famiglia di Vinci).
«Vitalia Melis ha il forte sospetto che il marito sia ancora vivo. Racconta – ha dichiarato il criminologo Davide Canella che ha avviato le pratiche burocratiche per la riesumazione – di aver visto Francesco che da un’auto la salutava con un cenno della mano. Questo avveniva qualche giorno dopo la scoperta della morte del marito. Andò dai carabinieri, ma la cosa non ebbe seguito». Ipotesi che può essere smentita o confermata solamente con il test del Dna. Di sicuro resta invece il coinvolgimento di Francesco Vinci e del fratello Salvatore nella cosiddetta «pista sarda» che nel 1982 sembrava a un passo dalla svolta nel caso del mostro di Firenze (per il quale sono stati condannati in via definitiva i compagni di merende Mario Vanni e Giancarlo Lotti, identificati come autori materiali di quattro duplici omicidi). Pista investigativa che prendeva spunto dall’omicidio dei due amanti Barbara Locci e Antonio Lo Bianco uccisi a Lastra a Signa nel 1968.
Il marito della donna, Stefano Mele, tirò in ballo i fratelli Vinci, amanti della moglie, ma alla fine del procedimento sarà lui ad essere condannato per calunnia nei confronti dei due Vinci. L’arma di quel delitto, una beretta calibro 22, non è mai stata ritrovata e comparirà di nuovo sulla scena del crimine nel 1974, quando viene uccisa la seconda coppia della serie, Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini. I quali si legano a Vinci anche per l’aspetto del materiale genetico: infatti l’avvocato Vieri Adriani, che rappresenta anche i familiari della coppia francese uccisa a Scopeti nel 1985, ha chiesto la riesumazione di queste quattro salme perché ritiene di aver individuato un Dna ignoto, isolato da un’ogiva estratta dal cuscino della tenda in cui vennero ammazzati Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot.