Mostro di Firenze, i familiari di Francesco Vinci chiedono la conferma con il DNA
Laura Casale
La storia insoluta di uno dei serial killer più efferati in Italia si arricchisce di una nuova puntata: i familiari di Francesco Vinci, uno dei primi sospettati come “killer delle coppiette” hanno chiesto di confermare con il test del DNA l’identità dei resti trovati carbonizzati nel bagagliaio di un’auto nel 1993, nelle campagne pisane. Finora le autorità avevano identificato il corpo con Vinci, che sarebbe stato ucciso e incappottato prima di essere chiuso nell’auto data poi alle fiamme insieme a un secondo cadavere che sarebbe quello di Angelo Vargiu.
La vedova di Vinci, Vitalia Velis, ha tuttavia espresso il «forte sospetto che il marito sia ancora vivo» e tramite il criminologo Davide Cannella – che assiste la famiglia – ha riferito di averlo visto in diverse occasioni dopo il ritrovamento dei corpo, ma che questa testimonianza non fu mai presa sul serio dalle forze dell’ordine. La procura di Firenze però ha deciso di vederci chiaro e a più di trent’anni dal ritrovamento dei corpi ha autorizzato l’esumazione, avvenuta questa settimana. Ora sia gli esperti della procura che quelli della famiglia potranno verificare che i resti appartengano davvero a Francesco Vinci
Mostro di Firenze, la “pista sarda” e i dubbi delle famiglie
Francesco Vinci – originario di Villacidro in provincia di Cagliari – fu tra i primi sospettati del caso del “killer delle coppiette” e fu arrestato nell’agosto del 1982. Rimase in carcere più di un anno, fino a quando nell’ottobre 1983 non morirono due giovani tedeschi a Giogoli (probabilmente uno dei due fu scambiato per una ragazza). Il nuovo omicidio fu la prova della sua innocenza all’epoca.
Al cosiddetto Mostro di Firenze si attribuiscono otto duplici avvenuti avvenuti nei territorio del capoluogo toscano tra il 1968 e il 1985. I parenti dell’ultima coppia uccisa però (Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili) e di Carmela De Nuccio (assassinata nel 1981 a Scandicci) continuano a chiedere che le indagini proseguano analizzando le tracce finora tenute in scarsa considerazione. La richiesta di riapertura riguarda la possibilità che sia coinvolto il legionario Giampietro Vigilanti, ma «si richiama espressamente l’attenzione su una pista riguardante un sospettato presente in un vecchio dossier dei carabinieri, mai approfondita e mai entrato nella famosa lista dei sospettati, un DNA presente sulle buste anonime e sulla scena del crimine, una pistola Beretta calibro 22 sparita nel nulla e potenziali testimoni da sentire».
È fondamentale, ribadiscono gli avvocati che seguono le famiglie, analizzare tutte le circostanze finora poco considerate e capire se davvero si tratta di un solo omicidio o se fossero implicate più persone. Se questa ipotesi si rivelasse vera, non si potrebbe più dare per scontata l’innocenza di Francesco Vinci in quanto in carcere al momento di un nuovo omicidio. Da qui l’analisi del DNA diventa più che mai fondamentale per capire se l’uomo davvero è morto nel 1983 o se ha trovato un modo eclatante per uscire di scena e, forse, continuare a uccidere indisturbato.
Mostro di Firenze, i familiari di Francesco Vinci chiedono la conferma con il DNA