Mostro di Firenze: Stefano e Susanna, vittime della ferocia. Gli amici: “Fummo adulti in un attimo”
A 43 anni di distanza dall’omicidio, c’è chi non ha mai scordato la coppia. “Fu l’inizio di un incubo che non è finito”. I compagni dei Rangers aspettarono il 26enne in pizzeria ma lui scelse di uscire con la fidanzata
Elena Duranti
Prato, 22 ottobre 2024 – A 43 anni di distanza dal delitto di Travalle, c’è chi non ha mai dimenticato Stefano Baldi e la fidanzata Susanna Cambi.
Avevano 26 e 24 anni quando nella notte del 22 ottobre 1981 furono uccisi nei campi delle Bartoline dal mostro di Firenze. Gli amici del giovane pratese continuano a custodirne il ricordo. Per molti anni nel giorno della morte è stata celebrata una messa in San Francesco o in Duomo.
Ora nella decade dei social il loro epitaffio è on line. “Eravamo ventenni e ci ritrovammo in un incubo, perché non ci sembrava possibile che fosse capitato a due di noi – racconta il ristoratore Stefano Gonfiantini – uscivamo sempre insieme, anche con le ragazze e si giocava a calcio nel campionato Uisp. La nostra squadra si chiamava Fc Rangers, quella sera Stefano sarebbe dovuto venire ad allenarsi all’oratorio di San Domenico e poi a mangiare la pizza al bar La Perla in via Ferrucci, ma non si vide. Scelse di stare con la Susanna, andarono a cena dalla mamma di lui che abitava a Travalle. La loro fine ci ha strappato un pezzo di gioventù, con incredulità e dolore siamo diventati adulti in un attimo”.
Dopo la cena Stefano Baldi disse alla madre a cui avevano mostrato il corredo per le nozze, che riaccompagnava la fidanzata. “Torno presto – la rassicurò – non chiudere il cancello”.
Poi accostò l’auto nel campo, dove tra carezze e sogni di futuro, li sorprese il mostro. Non rientrarono mai più. “Stefano aveva un carattere eccezionale, era simpaticissimo – aggiunge Gonfiantini – così aveva conquistato la Susanna che era molto più bella di lui. Era un amico su cui si poteva contare, si doveva sposare a breve e voleva avere figli, li avremmo fatti crescere insieme ai miei. Ci penso sempre, di Stefano voglio ricordami solo le cose belle”.
L’amico fraterno Gabriele Moretti ha le lacrime mentre dice: “Mi pare di averlo davanti, lui si spostava sempre gli occhiali per vederci meglio, era un suo gesto, lo faceva perché da un occhio non riusciva a mettere a fuoco. Di lui potrei stare a parlare giornate intere, mi manca tanto, avevamo una grande intesa”.
Stefano Baldi prima che i colpi della Beretta calibro 22 spezzassero la sua vita, amava il calcio, la Juventus di cui era tifoso e il mare; in Versilia aveva conosciuto Susanna. Dopo il liceo al convitto Cicognini, aveva scelto medicina; ma lasciò gli studi dopo la morte del padre nel 1979 e trovò lavoro al lanificio Stura della famiglia Pacini a Vaiano, era impiegato nell’ufficio contabile. Anche la sua Susanna era orfana di padre, risiedeva a Firenze e faceva la telefonista per una società legata a TvPrato.
Andrea Bettanin, compagno di scuola di Baldi spiega: “Ogni volta nell’anniversario faccio un post per ricordare Susanna e Stefano, ragazzi d’oro, con le loro foto e i loro visi puliti e belli”.
Gli otto duplici omicidi del mostro sono legati dal filo nero del terrore che per decenni ha paralizzato due generazioni.
“Non credo ci sia nessuno che si sia appartato dopo il 1981, in queste colline senza pensare almeno un momento alla parola mostro, è rimasta l’idea che certe cose nel cuore della Toscana sarebbe meglio non farle o comunque calcolare al presenza di uno sguardo dentro al buio”. Lo afferma Edoardo Orlandi, classe 1988, l’avvocato-scrittore che ha dato voce alle sedici vittime, nel libro “Nessuno”, edito da Giunti, di cui è autore con Eugenio Nocciolini.
“Ho fatto – aggiunge – le elementari a Comeana (la frazione di Carmignano è vicino a Castelletti, Signa, luogo del primo delitto del 1968, ndr) e con i compagni giocavamo a scappare dal mostro, era nell’aria, come un monito corale”. Orlandi si è occupato della vicenda anche come criminologo, ma è il lato umano delle vittime che emerge dal romanzo.
“Lo meritano, si tratta di persone che ora avrebbero tra i 55 e i 70 anni, le cui storie sono state schiacciate dalla figura macabra del loro carnefice o carnefici, in anni in cui la vittimologia non esisteva – commenta lo scrittore – e ora non c’è quasi più nessuno che li possa ricordare, a parte qualche fratello o sorella. I loro genitori sono ormai scomparsi dopo aver vissuto l’inferno e lo strazio del processo che non ha reso giustizia. Quello del mostro è un caso ancora aperto, che forse non si risolverà mai”.