RASSEGNA STAMPA SULL’OMICIDIODEL MARCHESE ROBERTO CORSINI di Claudio Costa

Il 20 agosto del 1984 fu trovato il corpo del marchese Roberto Corsini, assassinato con una fucilata, nella riserva di caccia della sua villa Le Mozzette a San Piero a Sieve, nel Mugello. Ho estratto da vari articoli di stampa di quel agosto e settembre 1984 dei brani interessanti per la ricostruzione della dinamica omicidiaria.

Cito da La Nazione un articolo dal titolo: “Nobile Fiorentino assassinato da un bracconiere a fucilate: è il marchese Roberto Corsini il delitto del Mugello“ di Umberto Cecchi La Nazione 21 8 1984

L’hanno ammazzato per un fagiano, una multa di poche lire, evitata al prezzo di una vita. La barbarie che torna in queste campagne del Mugello dalle quali secoli fa è nata la cultura e la politica del Rinascimento. quella dei Medici e dei Corsini. E’ in questa campagna, al confine fra i comuni di Scarperia e San Piero a Sieve, che dopo ore di ricerche è stato trovato il corpo del marchese Roberto Corsini, 34 anni, era semi nascosto in un anfratto scavato dalle acque del torrente Levisone. L’intero busto era avvolto dalla vegetazione si vedevano solo le gambe: calzava una sola scarpa l’altra era sparita tra le stoppie del grano. In un primo momento si è pensato a un malore poi quando i carabinieri volontari hanno estratto il corpo dalla piccola grotta la realtà è apparsa diversa. Un colpo di fucile caricato a pallini aveva devastato la parte sinistra della faccia, leso gravemente il cervello e la zona posteriore del cranio: un colpo sparato a non più di mezzo metro che ha provocato la morte istantanea.

Un primo sommario sopralluogo ha permesso di stabilire che Roberto Corsini, il quartogenito di una delle più antiche famiglie toscane, era morto decine di metri più lontano dal torrente, in una zona delimitata da balloni di paglia pressata e capanne di caccia costruiti al limite tra la riserva Corsini e i terreni a caccia libera, anche quelli della famiglia. Su una delle presse di paglia infatti era evidente da gran chiazza di sangue. Come se la fucilata fosse stata sparata lì e lì fosse caduto il corpo. Da quel punto parte una scia evidentissima una traccia di sangue che conduce al macchione che delimita l’argine del torrente: il cadavere è stato fatto rotolare di sotto, quindi l’omicida è sceso e l’ha sistemato con fredda pazienza nell’anfratto, nella speranza che venisse ritrovato il più tardi possibile, ma la traccia rossa di sangue ha indicato altre due cose: un berrettino da caccia in tela mimetica che non apparteneva al Marchese Corsini e un piccolo bastone sporco di sangue: indizi lievi, ma pur sempre indizi. Fra il granoturco ancora verde a 100 metri dal morto, un guardaccia dei Corsini ha trovato un fagiano morto fucilato. Probabilmente è stato proprio a causa di quel fagiano che una battuta di caccia si è trasformata in una Barbara spedizione per un delitto.

Le ultime ore del marchese Roberto Corsini sono state ricostruite pazientemente dai carabinieri di borgo San Lorenzo: secondo il maggiore Sebastiano Anzà, che comanda la compagnia e a chi ha già notevoli problemi con le indagini del mostro, a Vicchio, il delitto è stato casuale. Un delitto feroce proprio per la sua meccanica estremamente semplice: un uomo chiede ragione di un abuso commesso sulla sua terra e la risposta è l’omicidio, la risposta ultima è la più infame. Non si esclude che il marchese Corsini abbia riconosciuto il cacciatore e che questi preso dal panico abbia sparato proprio mentre l’altro tendeva la mano per prendere il fucile.

Tutto era cominciato verso le 16:30 di domenica Roberto Corsini era in una delle case coloniche del podere Rialto stava giocando con due amici tedeschi a un gioco cinese, quelli che richiedono tanta pazienza. Roberto ha preso un binocolo dicendo che andava a vedere chi stava cacciando in riserva. Per le prime quattro ore non si è preoccupato nessuno che tornasse: il giovane Corsini amava fare lunghe passeggiate solitarie tra i campi: alle 21 parte l’allarme….

Alla mattina del giorno dopo verso le 10 il corpo è stato ritrovato semi nascosto nel torrente. E’ chiaro che l’assassino ha cercato di occultare il cadavere per evitare il più possibile il suo ritrovamento e avere tempo di cancellare ogni traccia che possa condurre a lui. I carabinieri stanno setacciando la zona alla ricerca di cacciatori che hanno il capanno al confine della riserva: possibile che nessuno abbia visto un uomo morire per nulla, sulla sua terra.”

Cito il profilo del nobile e della sua famiglia da un articolo di repubblica dal titolo:

UCCISO IL CONTE CORSINI DOPO UNA LITE MISTERIOSA La Repubblica 21 -08-1984

Scapolo, e plurilaureato il Marchese Roberto Corsini viveva nella sua villa di mezzomonte a Monte Oriolo, quartogenito di Neri cugino del più famoso principe Corsini, amava le tradizioni fiorentine al punto tale che assieme a suo fratello Lorenzo aveva più volte indossato i costumi dei figuranti del calcio storico per la squadra degli Azzurri Il marchese Roberto Corsini, 34. Roberto Corsini, apparteneva ad un ramo, quello dei marchesi di Lajatico, della celebre famiglia principesca che dette a Firenze otto gonfalonieri e cinquantasei priori e alla Chiesa un papa, Clemente V, e un santo, Andrea. Quarto di cinque fratelli era imparentato con famiglie molto conosciute a Firenze. Il marchese Corsini abitava nella tenuta di San Piero a Sieve insieme alla madre, Laura Ginori Venturi. Il padre morì in Francia otto anni fa per un infarto. Sulla facciata della villa lo stemma di famiglia: Bianco rosso e celeste con la corona Dorata in cima su uno sfondo verde. Nella grande azienda, dove si coltiva soprattutto grano e granoturco, è annessa una riserva di caccia che confina con un’ altra che proprio durante la preapertura è stata “scartellinata” ed è quindi meta di tanti cacciatori del Mugello.

Cito da La Nazione un articolo dal titolo “Delitto Corsini: un giallo! il nobile ucciso mentre era a terra: l’assassino ha avuto un complice?” di Umberto Cecchi LA NAZIONE 26-08-1984

Affiora un’ipotesi inquietante nella vicenda della morte del marchese Roberto Corsini assassinato domenica sera ai margini della sua riserva di caccia, un’ipotesi che assume le tinte del giallo e che spiegherebbe la decisione presa dal magistrato di non accettare la tesi dell’incidente ed incriminare Marco Parigi per omicidio volontario. Tale ipotesi emerge dal silenzio degli inquirenti su alcuni particolari che vengono ritenuti estremamente importanti per la ricostruzione dei fatti, ed emerge anche da un attento esame delle ferite al volto e alla testa del nobile fiorentino, da questo esame si nota una cosa che lascia perplessi e che non collima con la ricostruzione dei fatti data in confessione da Marco Parigi: la ferita è strana, sembra che il colpo sia stato sparato dall’alto verso il basso e non viceversa, come dovrebbe essere se il Parigi o il suo fucile fosse caduto a terra lasciando partire inavvertitamente un colpo. In questo caso infatti la traiettoria dei pallini sarebbe andata in su e avrebbe leso una parte della volta cranica e non la zona fra atlante e calotta, piuttosto in basso, come invece si evince dalle ferite. Se questo fatto, che certamente non è sfuggito agli inquirenti e al medico legale, venisse confermato, si sbriciolerebbe tutta quanta la linea di difesa tenuta dal giovane omicida: significherebbe che in basso, in ginocchio magari, o quasi a terra sarebbe stato il marchese Corsini e che in questa posizione sarebbe stato raggiunto dalla raffica del pallini del sovrapposto Marco Parigi. Una ipotesi inquietante è vero ma che ha molti supporti per essere ritenuta valida e che spiegherebbe anche il perché della incriminazione per omicidio volontario emessa dal magistrato. Non si deve dimenticare tra l’altro che Chelazzi, il sostituto procuratore, è un esperto cacciatore conosce dunque il meccanismo di esplosione di una cartuccia, sa calcolare la traiettoria dei pallini, ne sa valutare gli effetti devastanti. Tutto ciò ha probabilmente facilitato il suo compito ed ha permesso ai carabinieri di lavorare su indicazioni ben precise, su tanti piccoli particolari, cuciti poi assieme con successo. C’è anche da dire che Marco Parigi è sicuramente molto più basso del marchese Corsini e anche questo fatto contribuisce a rendere inspiegabile la traiettoria dei pallini.

Insomma in questa vicenda affiorano ogni giorno particolari che lentamente ma inesorabilmente indicano una successione dei fatti meno pulita di quanto non ritenessimo in un primo momento. Intanto una cosa sicura: c’è un secondo attore anzi, c’è sicuramente una spalla, che ha avuto un ruolo importante nella dinamica del delitto di Scarperia, infatti il Parigi è stato aiutato da qualcuno a nascondere il corpo del marchese, su questo punto ormai non dovrebbero esserci dubbi. Anche questo fatto lo si deduce dai silenzio del magistrato su alcune fasi di vitale importanza per la ricostruzione del delitto. Lo si deduce dal fatto che il giudice non vuole rendere nota la confessione di Marco Parigi. Perché? Sicuramente perché vuole evitare che qualcuno la legga e vi si adegui.

Ma non c’è solo questo, altre cose lasciano perplessi e invitano a ragionare sui fatti: alcuni giorni fa scrivevamo che la pozza di sangue lasciata sul luogo dove era caduto il marchese Corsini appariva troppo vasta per far pensare che il corpo fosse rimasto lì solo pochi minuti, il terreno infatti ne era intriso, troppo anche per una ferita così devastante. E allora? Sicuramente dopo lo sparo il ragazzo ha agito in modo rapido spostando subito il cadavere, ma visto che non ce la faceva, forse a causa dell’azione frenante delle zolle e delle stoppie, lo ha abbandonato, magari nascondendo a mala pena con alcune frasche solo più tardi con molta meno luce. Marco potrebbe essere tornato indietro e averlo trascinato nel torrente Levisone ma a questo punto non era più solo, il corpo infatti è stato calato giù fatto scivolare lungo la scarpata non gettato di schianto. da soli questa sembra un’operazione quasi impossibile e che il corpo subito dopo lo sparo sia stato spostato lo si dovrebbe evincere da una serie di particolari che potrebbero far parte di quelle piccole cose che il magistrato rifiuta di dire ma che definisce importanti per la ricostruzione dei fatti: probabilmente frammenti di materia grigia, ossa e pallini che indicano il luogo reale dove è caduto fulminato dalla fucilata il marchese Corsini.

Gli inquirenti mantengono il più stretto riserbo ma non c’è dubbio che i tempi dell’azione sono stati tre: lo sparo, lo spostamento del cadavere per renderlo meno visibile e infine l’occultamento avvenuto molto più tardi e assieme a un’altra persona. Su tutte queste ipotesi il magistrato ha ordinato una serie di perizie che dovrebbero dare, fra un po’, la risposta definitiva e chiarificatrice.

La vicenda è dunque più complessa di quanto non appariva a prima vista cioè una storia di fagiani e di scorribande in riserva. Probabilmente vecchi fatti che si ripetevano nel tempo hanno portato allo scontro di domenica sera e all’omicidio, che ormai appare non casuale.

Intanto affiora l’ombra di un personaggio in più è affiora anche il sospetto che il meccanismo della morte non sia stato così semplice. Assume consistenza insomma la tesi del magistrato che: visti i fatti, vagliati i reperti, controllato tutto, ha stabilito che l’omicidio è volontario: commesso cioè da chi sapeva chiaramente cosa faceva e le conseguenze che il gesto poteva avere.”

Cito da La Nazione un articolo dal titoloPer l’assassinio del marchese Roberto Corsini non viene esclusa l’ipotesi di un feroce agguato“. La Nazione 22-08-1984

San Piero a Sieve non è morto per un errore, né per un malaugurato incidente durante una colluttazione: Don Roberto dei principi Corsini è stato ucciso da un colpo di fucile calibro 12 sparato da un metro e mezzo di distanza. Un colpo solo, preciso, devastante: è entrato dall’orbita sinistra, ha distrutto il cervello uccidendolo sul colpo.

Anche la teoria del cacciatore sorpreso in riserva ha i suoi oppositori, sono in tanti infatti a sostenere che il Corsini sia stato deliberatamente attirato in una trappola da una o più persone e quindi ucciso. Si parla di vendette magari di piccoli sgarri da far pagare con la vita.

Gli inquirenti sembrano abbiano preso questa tesi con un certo scetticismo ma certo è che stanno controllando attentamente alcuni particolari: stanno effettuando controlli su amici e su possibili nemici del nobile fiorentino.

La ricostruzione del delitto fatta in un primo momento è stata riconfermata dall’autopsia del cadavere eseguita ieri mattina dal professor Mario Graev e dalla dottoressa Maria Grazia Cucurnia. Alcuni piccoli particolari, tenuti strettamente segreti, ed emersi nel corso dell’esame necroscopico, avrebbero dato ulteriori indicazioni per arrivare ad una ricostruzione più precisa dei fatti. Una pista piccola, piccola, alla quale però gli inquirenti attribuiscono una certa importanza.

Il sostituto procuratore della repubblica Gabriele Chelazzi al quale è stato assegnato il caso, sembrerebbe orientato sul delitto casuale: uno scontro improvviso, una vampata d’ira, consumata in un attimo con un omicidio, è chiaro che vengono seguite tutte le possibili piste, ma stando anche alla ricostruzione fatta ieri mattina dai carabinieri del gruppo di Firenze e della compagnia di borgo San Lorenzo l’ipotesi più attendibile è quella del bracconiere sorpreso in riserva e i margini di questa.

I carabinieri hanno ricostruito momento dal momento le ultime ore del nobiluomo Fiorentino. hanno ascoltato amici dipendenti conoscenti e cacciatori un lavoro paziente di ricucitura che ha permesso di ripercorrere il percorso fatto da Roberto Corsini…..

Nella zona del delitto vi sono anche tracce di una moto gli inquirenti danno importanza a questo particolare dal momento che l’assassino o gli assassini potrebbero averla usata per arrivare e quindi fuggire. anche se non escludono che il motociclista potrebbe essere solo un testimone, nel caso utilissimo”.

Cito da: La Nazione 28/08/1984 L’assassinio del marchese: ora si cerca un vecchio fucile. Commossi i funerali La Nazione del 28-08-1984

“non si uccide per un fagiano” dice la gente a meno che non ci siano altri motivi: illazioni tantissime, molte campate in aria. Tante quelle assurde: ma si fa notare, ancora, non si tratta forse di un delitto assurdo?

Tra le tante voci si parlava ieri anche di un esame tossicologico al fagiano. se così fosse, significherebbe che si tenta di appurare se qualcuno ha voluto o meno creare una messa in scena per sviare le indagini.

Sul piano delle indagini poche le novità: c’è stato un nuovo sopralluogo. questa volta assieme ai carabinieri C’erano anche il sostituto procuratore Gabriele Chelazzi, il perito balistico colonnello Spampinato della direzione di artiglieria di Firenze, e i periti settori che hanno compiuto l’autopsia sul cadavere del Nobile Fiorentino.”

CITO da L’Unità il giornalista Daniele pugliese nell’articolo “Ho ucciso io il marchese. ragazzo di 24 anni confessa il delitto ma per il giudice non dice ancora tutto“. L’unità 25-08-1984

Si sa che il fucile con cui Marco Parigi ha sparato al Marchese un Franchi calibro 12 a canne sovrapposte era il suo, ma non poteva usarlo perché il porto d’armi non gli era stato rinnovato qualche tempo fa, probabilmente perché aveva già avuto noie con la giustizia, una volta infatti l’avevano pizzicato per un po’ di marijuana. Aveva comprato il fucile un paio di anni fa, ma sembra che non lo usasse troppo dal momento che si parla di incrostazioni di ruggine sulle cartucce: pare siano state proprio queste a mettere i carabinieri sulle sue tracce, benché il magistrato a riguardo non abbia voluto fornire particolari si dice che quelle usate da Marco Parigi, e che sono state trovate qua e là nella riserva del marchese, non le vendevano gli armaioli della zona tranne uno a Scarperia che aveva pochi clienti per quel particolare prodotto. Sulla pista seguita per trovare l’assassino, il magistrato ha voluto dire che: non è stata solo quella del controllo di tutti i possibili bracconieri della zona, benché si sappia, che i carabinieri di cacciatori ne hanno sentiti tanti in questi giorni, multandone anche qualcuno perché aveva il capanno troppo vicino alla riserva. Il giudice ha detto che la svolta delle indagini è arrivata al momento della perquisizione in casa a Parigi: qui di fucili ne hanno trovati più d’uno, le cartucce dello stesso tipo di quelle trovate nei paraggi del luogo del delitto e forse anche abiti sporchi di sangue. ..

Chi conosceva Roberto Corsini lo descrive come un uomo mite pacato dagli atteggiamenti Signorili come un gentleman inglese è difficile che un uomo di questa natura abbia reagito violentemente alla vista di un bracconiere che sparava ala sua selvaggina E poi perché se davvero era solo un bracconiere ha avuto bisogno di nascondere il corpo del Conte?”

Per collegare il marchese Corsini alla vicenda del mostro di Firenze cito ora dei brani estratti dalle testimonianze di Pietro Fioravanti.

Testimonianza del 22 novembre 2004

Domanda: Ci può riferire gli accertamenti svolti a suo tempo in merito alla vicenda della morte di Francesco Narducci e dei quali ha fatto cenno in un precedente verbale di sommarie informazioni rese al PM della Procura di Perugia Dr. Mignini?

Risposta: Dopo i due interrogatori resi, uno a luglio e l’altro ad Arezzo, di cui non ricordo la data, ho incominciato a svolgere accertamenti su chiese sconsacrate nella zona di san Casciano partendo dalla famosa Villa Verde, insieme al giornalista della NAZIONE, tale CIAPPI. Una volta arrivato a Villa Verde, non sono stato accolto molto bene. Malgrado questo le proprietarie non hanno parlato male dell’inchiesta ma criticavano il Falbriard. Nella circostanza non hanno fatto entrare il giornalista che mi accompagnava. Ho chiesto se nella zona facevano delle messe nere ma loro non ricordavano. Ho chiesto anche se avessero sentito parlare o visto il medico perugino Francesco NARDUCCI. Ho anche accennato al fatto che si diceva che il NARDUCCI era stato visto insieme al farmacista di San Casciano. La figlia dell’anziana proprietaria non ricordava, ma mi disse di non parlarle del farmacista di San Casciano e di questa storia, dandomi l’impressione che sapesse qualcosa ma che fosse bloccata. Riguardo al NARDUCCI posso dire che, dalle informazioni avute dal Pacciani, questi aveva due camere nella villa dei CORSINI. Pacciani mi parlava del medico Perugino, che fu ucciso con una pietra al collo. Tale fatto non era stato ancora riportato dai giornali. Mi riferiva anche che il medico perugino aveva due stanze in affitto nella villa dei CORSINI, nel Mugello, o a Borgo San Lorenzo o a Vicchio. Riguardo alla morte del Corsini il Pacciani non credeva all’incidente di caccia. PACCIANI aveva anche paura di essere ucciso, perché credo che lo stesso su qualche omicidio sapeva qualcosa di più, forse l’omicidio degli Scopeti. Durante il processo ho tentato di parlare dei CORSINI ma il presidente OGNIBENE mi riprese…Ricordo anche un episodio in cui il farmacista di San Casciano mi invitava in una casa sulla Cassia, nei pressi delle Terme di Firenze.”

Testimonianza del 22 gennaio 2003

Da come aveva potuto capire il Pacciani doveva aver conosciuto il Narducci a Vicchio dove, molto probabilmente, il medico perugino aveva una villa in affitto ovvero una porzione di villa del Corsini che aveva a Vicchio una riserva di caccia; -il Pacciani gli aveva detto che “il Narducci e il Corsini erano “in combutta” e che il Narducci aveva un’abitazione a Vicchio, ma che le riunioni le facevano a San Casciano vicino alla chiesa sconsacrata e ad un’azienda vinicola”. Precisava poi che Pacciani, quando parlava di “combutta”, intendeva alludere anche alle “attività di tipo magico sessuale violento, tipo quelle che caratterizzano i rapporti sessuali tra il Pacciani, il Vanni, la Sperduto e la Ghiribelli, ma anche persone di alto livello cui allude una lettera anonima che il Pacciani mi consegnò poco prima del processo e che detti in originale al dirigente della SAM dr. Perugini su invito del dr. Canessa che informai immediatamente. Oltre all’attività magico – sessuale che ho descritto, il Pacciani alludeva anche a rapporti di pedofilia che avrebbero coinvolto non i cosiddetti “compagni di merenda”, ma soprattutto persone altolocate”. [Come si può vedere tanti risultarono i riscontri alle dichiarazioni della Ghiribelli ed anche a quelle rese dalla Pellecchia Marzia!].”

Sempre in relazione alla vicenda del Mostro di Firenze, il legale aggiungeva che il Pacciani “sottolineava in particolare il ruolo del farmacista di San Casciano dr. Calamandrei, definendolo ironicamente “bel soggetto”, mentre, a proposito del Narducci, spiegava: “a quanto riferitomi dal Pacciani era inserito in questo ambiente, e questo l’ho saputo anche per degli accertamenti che ho fatto di mia iniziativa ma sempre nell’ambito della difesa Pacciani. Oggi sono sicuro, rivedendo tutto in maniera retrospettiva, che le indagini sulla morte del Narducci furono bloccate dall’alto sia a Firenze che a Perugia e a Firenze, forse, anche per un intervento esterno”. Infine, alla domanda se avesse chiesto a Pacciani se si fosse mai recato a Perugia, rispondeva così: “ io chiesi al Pacciani perché lo interessasse tanto il Narducci e lui rispose che a Vicchio si diceva che il Narducci e il conte Corsini erano insieme e voglio precisare che, nel lessico di Pacciani, il “si diceva” equivaleva ad “era o erano” e, quindi, esprimeva una certezza. Il Pacciani, inoltre, parlava spesso del dottore di Perugia, facendo riferimento al Narducci. Concludo dicendo che il Pacciani aveva con me un rapporto molto stretto e non sono sicuro che i riferimenti al Narducci li abbia fatti anche agli altri difensori. Quando io rinunciai al mandato, dopo l’assoluzione in appello del Pacciani, questo mi accusò di non aver fatto tutte le indagini che mi aveva chiesto tra cui espressamente quella sulla morte del Narducci e quella sulla morte del conte Corsini”.

CONSIDERAZIONI

Sul Corsini c’è poco ma abbastanza: la Ghiribelli lo riconosce in foto come uno dei partecipanti ai festini con Narducci, Calamandrei, e i CDM. Un altra prostituta guida gli inquirenti fino al cancello della tenuta del marchese a Le Corti a San Casciano, su una strada che porta ad un cascinale, sempre dei Corsini, dove si facevano i festini. Il Corsini era un cacciatore e un tiratore al poligono, quindi conosceva i territori, sia del Mugello che della Val pesa, che di Travalle di Calenzano dove aveva le case e dove sono avvenuti i duplici omicidi: sapeva sparare, e probabilmente era in grado di scuoiare e conciare le pelli come i cacciatori, specie i nobili, che preparavano personalmente i loro trofei di caccia.

La fondiaria di Firenze fu fondata da un Corsini e il patrimonio azionario è rimasto in qualche misura in quello della famiglia. Pasquale Gentilcore lavorava al bar interno al palazzo della fondiaria.

Singolare la testimonianza di Jaqueline Malvetu, allora, nel 1985, giovane studentessa in vacanza a Firenze, che prima subì una tentata aggressione, poi fu tranquillizzata da alcune persone che la invitarono a dormire in una casa a Firenze. Questi le diedero due n° di telefono, uno dei quali apparteneva ad una villa di Corsini (fonte Mignini). Nel 2004 la Malvetu vide in TV “chi l’ha visto” sul mdf, e riconobbe Francesco Narducci, come il giovane con la moto che la tranquillizzò.

Lo psichiatra Francesco Bruno, collaboratore esterno del sisde, intervistato da Maurizio Mannoni disse: “Il conte Roberto Corsini era un personaggio su cui bisognava fare studi più approfonditi.”

CONCLUSIONI

Esaminate le fonti si può ritenere probabile che l’omicida colpì deliberatamente il marchese, come si deduce dalla dinamica dell’attacco. È probabile che il colpo abbia deturpato completamente il volto della vittima. Le cartucce utilizzate, delle costose Lapua di produzione scandinava, erano specifici per il tiro al poligono e al piattello e in zona venivano venduti solo in un’armeria locale a Scarperia, a pochi clienti selezionati, tra cui, possibilmente, il padre di Parigi, che da sempre collaborava con le aziende dei Corsini.

Questo potrebbe spiegare il motivo per cui i carabinieri perquisirono la casa dei Parigi. Non solo le cartucce, ma anche il tipo di fucile usato era da tiro al piattello, lo stesso utilizzato per le olimpiadi. Le cartucce da poligono hanno una carica di piombo più leggera e pallini più piccoli quindi a parità di distanza rispetto alle cartucce da caccia fanno una rosa più grande: non sono adatte alla caccia ai fagiani e alle lepri, perché si rischia di colpire l’animale senza ucciderlo. Il vantaggio invece è che a parità di carica esplosiva, con meno piombo il colpo risulta più veloce, quindi più preciso.

Inoltre, i bossoli delle cartucce trovate sul luogo del delitto, presentavano piccole strisciate di ruggine, come determinato dalla perizia balistica del Colonnello Ignazio Spampinato perché il fucile utilizzato per l’omicidio era incrostato di ruggine come quello trovato a casa del Parigi. La presenza di ruggine nella camera di scoppio dimostra che il fucile non veniva impiegato regolarmente per attività di bracconaggio. Che poi, il fermato, fosse coinvolto in tale pratica è tutt’altro che certo e rimane da dimostrare. Anche perché il fagiano morto fu trovato da un guardiacaccia dei Corsini, ma non è possibile stabilire chi lo abbia ucciso, e come, se il guardiacaccia stesso, o il fermato.

La perizia di Spampinato fu fondamentale per individuare il colpevole:

  • dai bossoli trovati sul luogo del delitto, dedusse la marca delle cartucce usate, le Lapua,

  • e dalle strisciate sui bossoli dedusse il fatto che il fucile avesse la camera di scoppio arrugginita.

  • I carabinieri cercando tra le armerie della zona, chi vendesse le Lapua, trovarono una lista di pochi clienti che le acquistavano a Scaperia, tra questi il Parigi.

  • Quindi durante la perquisizione allo stesso trovarono effettivamente il fucile Franchi, da poligono come le cartucce, con la camera di scoppio arrugginita.

L’ipotesi di un incidente di caccia appare poco credibile; perché il fucile e le cartucce erano da poligono, più che da caccia, e il fucile non veniva usato da anni: sembra piuttosto un agguato premeditato per un’esecuzione. I colpi di fucile, esplosi in un periodo fuori stagione, infatti, potrebbero essere stati sparati con l’intento di attirare il marchese in una trappola.

le ricostruzioni dell’omicidio sono varie:

– come suggeriscono le macchie di sangue su un ballone di paglia, l’assassino era in agguato su uno dei balloni e al passaggio del marchese gli ha sparato in faccia dall’alto. Ovviamente dipende tutto dalle dimensioni dei balloni

– oppure il marchese potrebbe essersi inginocchiato a chiedere clemenza e in quel momento da 1,5 mt di distanza l’assassino lo ha freddato

– un’altra ipotesi è che l’assassino abbia buttato a terra il marchese (ma sembra non vi siano segni di colluttazione e di parata) e gli abbia sparato ma da una posizione strana, cioè non davanti ai piedi del marchese a terra, ma davanti alla testa colpendolo dall’occhio verso l’attaccatura del collo. In questo caso la dinamica più probabile è che fossero in due: uno davanti al marchese che lo spinge in terra e l’altro dietro che gli spara in faccia deturpandola.

Gli inquirenti sospettano che fossero in due almeno per l’occultamento, quindi chi fu il complice?

Il movente di questo omicidio? Nessuno lo saprà mai, si possono fare solo delle ipotesi:

– una lite per il bracconaggio finita in tragedia

– una lite per il bracconaggio e vecchi rancori accumulati

– una lite passionale dovuta alla presunta omosessualità del Corsini citata ad es da Giuttari e da Pacciani

– un agguato quindi una esecuzione su commissione, ma di chi?

– forse come per Narducci per i reati legati al mostro di Firenze.

Claudio Costa

3 Novembre 2024 Considerazioni sull’omicidio di Roberto Corsini di Claudio Costa

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