Mostro di Firenze, la tenda delle vittime dell’85 all’esame degli esperti: ancora dubbi sulla dinamica del delitto
Luca Marrone
Firenze. Si torna a parlare dell’ultimo duplice omicidio commesso dal Mostro di Firenze nel settembre 1985. Le vittime, Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili sono state aggredite e uccise mentre trascorrevano la notte nella loro tenda da campeggio in località Scopeti.
Il quotidiano la Nazione parla di una consulenza tecnica richiesta dagli avvocati Valter Biscotti e Antonio Mazzeo, legali del nipote del “compagno di merende” Mario Vanni, che intenderebbe verificare, laddove possibile, se lo squarcio presente sulla tenda delle vittime sia stato realizzato con una lama, secondo quanto riferito da Giancarlo Lotti, “pentito” sulle cui dichiarazioni si è sostanzialmente fondata la condanna – a Vanni e a Lotti, appunto – per quattro degli otto duplici omicidi riconducibili al Mostro (primo grado: 24 marzo 1998; appello: 31 maggio 1999; Cassazione: 26 settembre 2000). Il processo a Pietro Pacciani, nel frattempo, era approdato, dopo la condanna in primo grado (1° novembre 1994), a una assoluzione in appello (13 febbraio 1996), annullata con rinvio dalla Cassazione (12 novembre 1996). Il giudizio di rinvio non si è celebrato per la morte del contadino di Mercatale (22 febbraio 1998).
L’esame della tenda
Per quanto riguarda il delitto degli Scopeti, proprio Lotti aveva sostenuto di aver preso parte all’aggressione e di aver visto Vanni tagliare la tenda dei ragazzi francesi con un coltello, dal basso verso l’alto, per introdurvisi.
L’esame della tenda – già analizzata nel 2015 dal genetista Ugo Ricci, alla ricerca di eventuali tracce di Dna – verrà ora condotto da Primo Brachi, fondatore di un autorevole laboratorio di analisi tessili, che consegnerà le sue conclusioni tra qualche settimana. Un analogo esame sarà eseguito, su incarico delle Pm Ornella Galeotti e Beatrice Giunti, anche dal BuzziLab di Prato.
L’analisi entomologico-forense del 2015
Più di un esperto del caso, in questi anni, ha posto in evidenza le contraddizioni e le incongruenze delle dichiarazioni del “compagno di merende pentito”, sia in tema di dinamica degli eventi, sia per quanto attiene alla loro collocazione temporale.
Tra l’altro, nel 2015, il reporter e documentarista Paolo Cochi ha interpellato alcuni entomologi forensi, mostrando loro le foto della scena del delitto del 1985. Basandosi sullo stato di avanzamento della putrefazione dei cadaveri e sui tempi di sviluppo degli insetti che li avevano colonizzati (la cosiddetta fauna cadaverica), gli esperti hanno prospettato la possibilità di collocare il delitto almeno una notte prima, se non due, rispetto alla data indicata proprio dal teste (domenica 8 settembre). Analisi ripetuta anche recentemente, con esiti analoghi.
Il duplice omicidio del 1982
Gli avvocati Biscotti e Mazzeo – con la consulenza di Francesco Cappelletti, responsabile del blog Insufficienza di prove, dedicato alla vicenda del Mostro – stanno predisponendo una richiesta di revisione della condanna inflitta a Mario Vanni. E hanno chiesto alla Procura di poter accedere anche ad atti relativi al delitto avvenuto a Baccaiano il 19 giugno 1982 (vittime: Antonella Migliorini e Paolo Mainardi), mai confluiti nelle carte processuali. “In quell’occasione il Mostro ha sbagliato e ha avuto paura”, affermano i due legali. All’epoca, la Pm Silvia Della Monica, aveva fatto trapelare la notizia – falsa – che, prima di morire, Mainardi aveva fornito ai soccorritori dettagli potenzialmente utili a identificare l’omicida. Subito dopo era giunta una misteriosa telefonata all’ospedale presso cui il giovane era stato condotto senza riprendere conoscenza e uno degli autisti dell’ambulanza che lo avevano trasportato era stato in seguito destinatario di minacce telefoniche da parte di uno sconosciuto.
La pista sarda era un depistaggio?
Poco dopo, riportano alcune fonti, un messaggio anonimo aveva invitato gli investigatori a recuperare il fascicolo relativo al processo per un delitto del 21 agosto 1968. Vittime: Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, appartatisi in auto e uccisi con una Beretta .22 mai recuperata. Il processo si era concluso il 12 aprile 1973 con la condanna in via definitiva di Stefano Mele, il marito della donna uccisa. Delitto passionale, si riteneva, maturato nell’ambito della comunità sarda che viveva nei dintorni di Firenze.
Nel fascicolo del procedimento, recuperato nel 1982, erano stati rinvenuti dei bossoli che, esaminati, avevano evidenziato i medesimi segni presenti su quelli dei proiettili impiegati dal Mostro nei delitti commessi a partire dal 1974. La Beretta .22 da lui utilizzata era quindi la medesima che aveva sparato nel 1968. L’omicida seriale era responsabile anche del delitto Locci-Lo Bianco o, dopo quest’ultimo, l’arma era “passata di mano”, fino ad arrivare al Mostro? Da qui aveva preso avvio la cosiddetta “pista sarda”, volta a verificare l’eventuale coinvolgimento nei duplici omicidi del serial killer, dei sardi che, all’epoca, frequentavano Barbara Locci e suo marito. Indagine, quest’ultima, conclusasi senza utili esiti nel 1989.
Per l’avvocato Biscotti, i fatti che hanno condotto alla pista sarda sarebbero “un depistaggio di una raffinata intelligenza criminale”. Chi scrive ha valutato, tra le altre, questa possibilità in un libro pubblicato nel 2020 e non può che augurarsi che lo scenario venga finalmente percorso per verificarne la fondatezza.
La revisione
Ma, a proposito degli elementi su cui potrebbe basarsi la richiesta di revisione della condanna a Vanni, perplessità vengono manifestate da Paolo Cochi, attualmente consulente del penalista romano Alessio Tranfa, che assiste un parente di una delle vittime del Mostro.
“Gli elementi sono gli stessi di cui ho già parlato mesi e mesi or sono e che a mio avviso non sono sufficienti per ottenere un risultato positivo in sede di revisione”, ha dichiarato Cochi in un’intervista rilasciata al quotidiano on line Ok Mugello. “Si tratta, a mio modo di vedere, di un quadro indiziario datato, debole e connotato da elementi (tra cui la fotografia inedita della tenda dei francesi su cui parrebbe si stiano svolgendo accertamenti) che furono passati ai legali proprio da me insieme all’indicazione dei periti che si erano resi disponibili per svolgere l’accertamento sulla tenda delle vittime francesi.”
Parlando della datazione del delitto dell’85, nella menzionata intervista l’esperto ha tra l’altro considerato: “Posso solo dire che ho fornito proprio io ai legali il materiale […] su cui stanno basando l’accertamento entomologico che secondo i media hanno recentemente svolto a Scopeti (delitto del 1985, l’ultimo, che sottolineo fu da me effettuato già nel 2015) e la fotografia della tenda lacerata sul retro. Credo che i quotidiani avrebbero fatto meglio a verificare la novità della notizia.”
“Dal canto mio continuerò senza sosta ad occuparmi di ricercare il colpevole con un altro legale nell’interesse dei familiari che ancora oggi aspettano che la giustizia dia il nome e il cognome dell’assassino che ha tolto loro una persona cara e che per diciassette anni ha insanguinato le campagne fiorentine uccidendo ferocemente, talvolta mutilandole, almeno altre diciassette giovani persone”, ha concluso.
L’ombra del “Rosso del Mugello”
Cochi, lo ricordiamo, sta da tempo percorrendo una pista investigativa inedita, volta a verificare la possibile riconducibilità dei delitti a un soggetto con significativi precedenti penali, anche a carattere sessuale, che, a quanto riportato da alcuni giornali, sarebbe stato “contiguo” agli ambienti della Procura fiorentina all’epoca diretta da Pierluigi Vigna.
Su di lui, a metà degli anni Ottanta, i Carabinieri hanno effettuato alcuni accertamenti e poi, inspiegabilmente, il soggetto sembra essere caduto nell’oblio. Forse, costui era lo sconosciuto avvistato da più di un testimone a ridosso degli ultimi due delitti: un uomo robusto, vestito in modo formale, con radi capelli rossicci, che i mostrologi chiamano il “Rosso del Mugello”.
Raggiunto telefonicamente, l’avvocato Tranfa ha fornito ulteriori dettagli su questo scenario: “Insieme a Paolo Cochi abbiamo da subito iniziato a lavorare avviando accertamenti mirati che potrebbero contribuire a identificare l’assassino. Purtroppo all’epoca dei delitti questa pista, nonostante un rapporto dei Carabinieri di Borgo San Lorenzo del 1984 successivo al delitto di Vicchio (Rontini-Stefanacci) da cui emerge un quadro indiziario che non esito a definire inquietante, fu inspiegabilmente tralasciata dagli inquirenti al punto di non inserire nemmeno questo nome nell’elenco dei sospettati della SAM [la Squadra Anti Mostro, ndr].”
“Mentre, come sappiamo, Pacciani, come anche altri circa duecento nomi, furono inseriti in questa lista in base a segnalazioni anonime o semplici suggestioni”, ha proseguito il legale. “È troppo presto per dire che l’assassino deve identificarsi in questo personaggio, ma certamente si può dire con assoluta tranquillità che il materiale indiziario a suo carico imponeva e impone tutt’oggi approfondimenti seri. Ho già manifestato alla Procura di Firenze la nostra intenzione di collaborare lealmente e fattivamente per la ricerca della verità e ci aspettiamo altrettanto da parte degli inquirenti.”