Premessa
Anche se ci rimane del lavoro da fare Noi crediamo di aver mantenuto la promessa contenuta nel titolo della nostra serie YouTube di togliere la maschera al vero MdF e crediamo di averlo fatto sulla base di un percorso logico stringente, fondato su fatti oggettivi, testimonianze attendibili e naturalmente su ipotesi (il caso del Mostro è inevitabilmente un caso indiziario) anche se solidamente ancorate a questi elementi oggettivi.
- Ripercorriamo dunque brevemente questo nostro percorso d’indagine e i suoi snodi fondamentali.
- Dimostrata innanzitutto la sostituzione dei bossoli nel fascicolo del processo Mele materialmente avvenuta nei circa trenta giorni successivi all’aggressione di Baccaiano (ridiremo tra poco sulla base di quali elementi noi possiamo dire di aver provato la sostituzione dei bossoli nel fascicolo del processo Mele) e quindi
- individuati gli unici soggetti che potevano essere in grado di realizzare un depistaggio o operazione false flag (falso segnale) come quella del 1982 e che nel luglio – agosto di quell’anno hanno infatti tenuto comportamenti più che anomali e sospetti. Stiamo parlando
- in primis del ten. Col. CC Olinto Dell’Amico – l’ufficiale CC di Borgo Ognissanti che:
- nel 1982 aveva in mano il pallino dell’indagine di polizia giudiziaria sui delitti del cosiddetto Mostro di Firenze,
- che nel ’68 aveva condotto l’indagine sul campo sul duplice delitto di Castelletti di Signa e
- anche colui che a luglio ’82 aveva contattato per primo il GI Vincenzo Tricomi per mandarlo in cerca del fascicolo del processo Mele con tanto di sorpresa di Pasqua allegata,
- in secundis del col. EI Ignazio Spampinato, il perito incaricato dal Tricomi su input di Dell’Amico di esaminare i reperti balistici ritrovati nel fascicolo del processo Mele, l’ufficiale esperto di esplosivi e di armi che atti d’indagine e giudiziari di notevolissimo valore storico ci dicono essere stato uomo di strettissima fiducia del col. CC distaccato al servizio segreto militare Federigo Mannucci Benincasa, tanto da aver a quest’ultimo passato in più occasioni, tra il 1980 e il 1981, in anteprima assoluta – e quindi in dispregio alla legge e alla sua funzione di perito esplosivista ufficialmente incaricato di accertare l’esplosivo utilizzato per far saltare in aria la stazione di Bologna – l’esito di questi accertamenti, evidentemente concordandolo con il predetto colonnello Mannucci Benincasa, che però nessun titolo aveva per essere coinvolto in quell’indagine),
- in primis del ten. Col. CC Olinto Dell’Amico – l’ufficiale CC di Borgo Ognissanti che:
- noi abbiamo dimostrato, sulla base di testimonianze (molto importante per quanto concerne il ruolo parallelo di Dell’Amico la testimonianza dell’ex agente SISMI Vincenzo Fenili, nome in codice Kasper, arruolato nel servizio segreto fiorentino alle dipendenze del colonnello Mannucci Benincasa proprio da Olinto Dell’Amico) e atti giudiziari (in particolare gli atti d’indagine e processuali sulla strage di Bologna e la da noi più volte citata sentenza-ordinanza, sempre del tribunale di Bologna, denominata Italicus bis, del 1994, per citare gli atti più importanti) che entrambi questi ufficiali (Olinto Dell’Amico e Ignazio Spampinato) erano strettamente legati – in forza di linea di comando parallela, quindi occulta e quindi prioritaria rispetto alla linea gerarchica ufficiale (come da testimonianze degli indagati nel caso Rosa dei Venti Roberto Cavallaro e Amos Spiazzi) alla locale cellula Stay Behind (cioè al nucleo territoriale di guerra psicologica e non ortodossa competente per l’area centro Italia che aveva le sue principali centrali di comando e operative in Toscana, piana della Val d’Arno, tra Firenze- Borgo Ognissanti e Tirrenia di Pisa – Camp Darby e il cui quadro italiano di riferimento (1) fu il già citato colonnello dell’Arma distaccato al servizio segreto militare, ma comunque operativo presso il comando CC di Borgo Ognissanti, Federigo Mannucci Benincasa, per un ventennio ininterrotto (caso unico nella storia del servizio segreto militare) rimasto a capo del centro di controspionaggio prima SID poi SISMI di Firenze (2).
(1) Il cosiddetto quadro intermedio, secondo la definizione che diede al giudice Giovanni Tamburino della Procura di Padova l’indagato nell’ambito dell’indagine sulla Rosa dei Venti Roberto Cavallaro: quadro intermedio che significava l’uomo dello Stato in cui operava – dunque un italiano nel nostro caso – che era in diretto collegamento con l’agente o gli agenti, di regola non italiani (gli agenti case officer, che in alcuni importanti studi storici troviamo definiti anche come agenti atlantici) i quali operavano per conto di appropriato centro di comando delle strategie di guerra non convenzionale sovranazionale – dunque un centro di comando esterno rispetto ai confini, come minimo giurisdizionali, nazionali.
(2) Per un quadro d’assieme sufficientemente completo sulla figura di FMB rinviamo ancora una volta alla lettura della sentenza-ordinanza Italicus bis del 1994.
Ebbene noi abbiamo provato, sulla base delle evidenze che nel prosieguo rammenteremo e che nessuno (né la Procura fiorentina, destinataria di formale esposto a firma del sottoscritto e della ricercatrice indipendente Valeri Vecchione, né i vari cosiddetti mostrologi) ha sino ad ora neppure minimamente intaccato (quantomeno con ragionamenti un minimo sensati e articolati) che l’asse di ferro FMB – ODA (l’asse che fino ad almeno tutto il 1984 ha tenuto saldamente in mano le redini delle attività investigative del comando CC di Borgo Ognissanti e che parallelamente era componente cruciale del livello di compartimentazione superiore del nucleo territoriale di guerra non ortodossa toscano) intervenne nell’estate del 1982 in favore non dei magistrati che indagavano sul caso del killer delle coppie, ma del killer delle coppie.
Ma se la cellula territoriale S/B toscana (tra il 1974 e il 1985, nell’identico spam temporale del MdF, la cellula di guerra non convenzionale certamente tra le più attive se non la più attiva tra quelle dislocate sul territorio italiano) è così pesantemente intervenuta con suoi uomini di tal calibro (uomini del calibro del tenente colonnello Olinto Dell’Amico e del colonnello Ignazio Spampinato) sul regolare corso dell’indagine sul cosiddetto Mostro di Firenze, di fatto per coprire l’assassino delle coppie nell’unica situazione in cui questi non fu più sicuro (almeno per qualche tempo) di dormire sonni tranquilli e cioè dopo la difficile e piena di imprevisti e anche errori aggressione di Baccaiano del giugno ‘82, questo non può che significare una sola cosa: l’hanno fatto per coprire uno di loro, un uomo EVIDENTEMENTE di vertice della locale cellula clandestina S/B alla quale anche gli uomini che furono dietro il depistaggio del 1982 (Federigo Mannucci Benincasa, Olinto Dell’Amico e Ignazio Spampinato) appartenevano. Semplicemente non ci sono altre possibili spiegazioni ragionevoli. Si doveva coprire un uomo che nella gerarchia parallela della rete clandestina S/B (gerarchia parallela che poteva essere molto diversa dalla gerarchie ufficiali o alla luce del sole, come dissero a Tamburino che li indagava per l’affair Rosa dei Venti sia il Roberto Cavallaro che il colonnello Amos Spiazzi) doveva essere di un livello persino superiore al Federigo Mannucci Benincasa.
Ci siamo dunque concentrati sulla profilazione di questo agente di vertice della locale cellula S/B che fu coperto nell’estate del 1982 dalla parte italiana che contava, di questa cellula.
Il profilo del vero Mostro di Firenze
Sappiamo da testimonianze di grande rilievo storico e da atti giudiziari (rinviamo ancora una volta alla sentenza-ordinanza del Tribunale di Bologna denomina Italicus bis del 1994) che gli uomini del livello di vertice (il livello di compartimentazione superiore) di una cellula clandestina S/B a composizione mista (militari e civili), sul modello delle francesi unità OAS (Organization de l’Armé Secret) in guerra d’Algeria (vedasi il bellissimo lavoro di Aldo Giannuli, La strategia della Tensione), erano in netta maggioranza appartenenti o ex appartenenti a corpi con funzione investigativa e con legami robusti (eventualmente anche legami di appartenenza via istituto del “distacco”) con il mondo dei servizi di intelligence (questa era dunque la qualifica o ruolo ufficiale, alla luce del sole, prevalente, degli agenti di vertice, o case officers nel gergo CIA, Stay Behind). Consegue che l’assassino delle coppie (al quale gli stessi uomini – nel nostro caso l’asse MB / Dell’Amico operativo in Borgo Ognissanti – che negli anni in cui questo killer rimase attivo avrebbero dovuto dare la caccia, in forza del loro ruolo alla luce del sole di appartenenti a corpo investigativo e/o servizio di intelligence, ma che invece gli fornirono copertura, in forza del ruolo S/B, parallelo e ovviamente clandestino e quindi come si è detto prioritario, che costoro avevano), doveva verosimilmente essere, ufficialmente, un appartenente o ex appartenente a corpo con funzione investigativa e con legami con il mondo dei servizi di intelligence. Questo era il più che probabile mestiere visibile, cioè non coperto del killer delle coppie; un mestiere del tutto coerente, peraltro, con gli esiti della profilazione per capacità o competenze distintive che noi abbiamo fatto dell’entità Mostro sin dall’inizio della nostra serie di video YouTube “Leviamo la maschera al Mostro di Firenze”, un esercizio di profilazione in funzione delle capacità o competenze che questa entità assassina ha oggettivamente dimostrato di possedere negli anni in cui essa rimase in attività e che ci ha consentito di mettere a fuoco sue capacità del tutto peculiari e molto profilanti, tra le quali in effetti spiccano:
- quella di intelligence, cioè la capacità di questa entità killer di essere informata a 360° su tutto ciò che accadeva e si muoveva nel suo territorio di cacci e dove essa si è sempre mossa senza apparenti problemi, anche nel tempo dell’allarme sociale massimo.
- la capacità di ricorrere a tecniche della deception non certo riservate a tutti, quali il depistaggio delle indagini che lo riguardavano, lo staging delle scene dei suoi efferati crimini e la capacità di non lasciare tracce utili all’indagine scientifica nonostante l’estrema violenza delle sue azioni omicide e infine la compartimentazione, la capacità cioè di servirsi di individui terzi aventi informazione in tutto o in parte razionata sul conto di colui o coloro in favore dei quali questi individui terzi agivano: tutte tecniche, queste, sorprendentemente simili a quelle cui sappiamo furono intensamente addestrati, in particolare negli anni sessanta del secolo scorso, in basi militari USA/NATO extraterritoriali e in campi paramilitari clandestini, gli agenti case officers specialisti di guerra non ortodossa.
Dunque il vero Mostro di Firenze doveva essere un appartenente o ex appartenente a corpo con funzione investigativa nato presumibilmente nella prima metà degli anni trenta del ‘900 (questo perché a questa fascia di età apparteneva la gran parte degli agenti di vertice di cellula S/B, reclutati nella guerra anticomunista a cavallo dei decenni cinquanta e sessanta del secolo scorso, quando questi soggetti avevano un’età ricompresa nella fascia tra i 25 e i 30 anni; vedasi ancora una volta la citata “sentenza ordinanza Italicus bis del Tribunale di Bologna del 1994”, ma anche il documento La Dottrina Bissel sulle operazioni camuffate, datato gennaio 68, opera dell’importante dirigente CIA R. Bissel, il braccio destro del noto n. 1 della CIA all’acme della guerra fredda, nemico giurato del presidente assassinato JFK , Allen Dulles.
Abbiamo poi considerato, sempre per finalità di profilazione di questo Mostro assassino, la testimonianza di Mario Vanni (un testimone indubbiamente privilegiato, visto che è l’unico condannato all’ergastolo per gli omicidi delle coppiette (anche se non tutti, come noto), raccolta nel corso di un colloquio in carcere con il suo conoscente Lorenzo Nesi che fu oggetto di intercettazione ambientale. Secondo il Vanni il vero Mostro (“la belva che li ammazzati tutti lui”, così disse il Vanni) era un americano, a lui noto col nickname Ulisse, Nero o Negro (peraltro dalle parole di Vanni non è possibile inferire con sufficiente certezza se con Nero /Negro egli intendesse il nomignolo con cui questo individuo era conosciuto dai suoi compartimentati informatori – qualcosa come Ulisse il Nero o il Negro – ovvero una caratteristica etnica del vero Mostro. Sappiamo che gli inquirenti interpretarono questa confidenza fatta dal Vanni al Nesi come caratteristica etnica, ma non perché fu il Vanni a dirglielo, ma perché glielo disse la scarsamente attendibile, assetata di visibilità, ex testimone Gamma al processo Pacciani-Compagni di Merende, Gabriella Ghiribelli, che li indirizzò su un soggetto risultato estraneo agli omicidi delle coppie e bruciando questo indizio che era invece molto importante).
In ogni caso ciò che noi, giunti a questo livello dell’esercizio di profilazione del vero Mostro, possiamo con ragionevole certezza dare per assodato è che:
- il provato, sulla base delle evidenze che di seguito torneremo ancora una volta a illustrare, depistaggio del 1982con cui fu aperta la pista sarda ci dice che il vero Mostro era un uomo di vertice della locale (cioè di Toscana e CI) cellula S/B di guerra psicologica e non ortodossa, la cellula territoriale di guerra non convenzionale della quale Mannucci Benincasa, Dell’Amico, e Spampinato (cioè gli uomini che furono dietro il depistaggio del 1982) erano uomini del livello di compartimentazione superiore (e sappiamo infatti, dalla testimonianza dell’ex gladiatore A. Arconte, che Ulisse era il nome in codice che individuava un agente di vertice di un’unità territoriale di guerra non ortodossa);
- la testimonianza di Mario Vanni ci dice che questo Mostro era di nazionalità americana. Pertanto se mettiamo insieme i pezzi (cioè se teniamo conto congiuntamente della conclusione cui si è praticamente obbligati a pervenire partendo dal depistaggio dell’estate 1982 e della confidenza fatta da Maro Vanni al Nesi nel coeso del loro colloquio in carcere), emerge la figura (nota in generale agli studiosi del periodo della cosiddetta strategia della tensione, anche se assai meno nota per non dire ignota al tipico “mostrologo”) dell’agente cosiddetto atlantico (figura in ordine alla quale rinviamo agli studi di Stefania Limiti e Daniele Ganser), cioè dell’agente di vertice o case officer, più spesso americano, che in un’unità territoriale S/B di guerra non convenzionale era l’agente che teneva i contatti e/o operava anche (ma non solo) all’interno della base militare extraterritoriale USA / NATO che era sempre vicina ai luoghi di insediamento di un nucleo territoriale di guerra non ortodossa operativo (la base militare di appoggio strategico e logistico di un nucleo territoriale di guerra non ortodossa, posta sempre al di fuori della giurisdizione italiana). Nel caso che qui ci interessa, cioè il caso del nucleo di guerra non convenzionale di Toscana e Centro Italia, questa base di appoggio era ovviamente la grande base USA di Camp Darby, a Tirrenia di Pisa (3). Consegue che il vero Mostro di Firenze, il capobanda assassino e non mandante di un sodalizio della massima pericolosità sociale, aveva verosimilmente, quale suo ruolo visibile, non coperto, nella collettività, quello di appartenente o ex appartenente a corpo investigativo e con legami robusti con il mondo dei servizi segreti, nato nella prima metà degli anni trenta del ‘900, un agente americano in qualche modo collegato alla base USA di Camp Darby.
(3) Esistono plurime testimonianze – tra cui citiamo quelle di Marco Affatigato, Carlo Digilio, Marcello Soffiati, Andrea Brogi – che parlano della base di Camp Darby e del ruolo speciale di questa base nel quadro della strategia di guerra psicologica e non convenzionale (nota con il termine giornalistico di “strategia della tensione”) che in Italia fu condotta a partire dalla fine del decennio sessanta sino alla metà degli anni settanta, con una tanto sanguinosa quanto misteriosa “coda” nella prima metà del decennio ottanta.
Ma possiamo dire ancora qualcosa di più sul conto di questo spietato assassino seriale, qualcosa che ci consente di profilarlo con la massima precisione possibile. Per questo dobbiamo guardare ai luoghi dove sono state uccise e con ogni probabilità inizialmente avvistate le occasioni che si dovevano cogliere al volo per non rischiare di perderle per sempre e che furono in effetti le occasioni colte al volo, cioè le coppie uccise dal Mostro ragionevolmente la notte stessa – o al più la successiva, in caso di problemi – del loro primo avvistamento: stiamo parlando delle due coppie di turisti stranieri di passaggio pernottanti in luogo aperto. E’ alle uccisioni di queste coppie che non avevano un luogo di appartamento abituale e di cui era impossibile che sii conoscesse il piano di viaggio e tantomeno le abitudini, che dobbiamo guardare per profilare geograficamente il Mostro con la massima efficacia. Ebbene analizzando i due episodi del 1983 (coppia di turisti tedeschi uccisa) e del 1985 (coppia di turisti francesi uccisa), emerge che entrambe queste coppie non solo furono aggredite in piazzole tra loro molto vicine (Giogoli i due tedeschi, Scopeti i due francesi, come noto), ma anche che avevano ENTRAMBE (quindi anche i due tedeschi nel 1983) inizialmente sostato lungo il primo tratto della via degli Scopeti (primo tratto per chi dal ponte degli Scopeti proceda in direzione di S. Casciano Val di Pesa), un tratto di poche centinaia di metri prospicente a un’area godente del principio dell’extraterritorialità in quanto assegnata all’amministrazione degli Stati Uniti d’America, l’area concessa in uso al cimitero militare americano sito in località Falciani, frazione del comune di San Casciano (un pezzo d’America nel cuore del distretto privilegiato del Mostro di Firenze). Fu lungo questo breve tratto della via degli Scopeti che le due coppie di turisti stranieri di passaggio finite vittima del Mostro di Firenze furono molto probabilmente avvistate, non molto prima di essere brutalmente uccise.
Pertanto, sulla base delle evidenze che abbiamo sin qui illustrato, noi siamo giunti alla conclusione che il nostro Mostro doveva essere un americano di età compresa fra i 35 e i 40 anni all’inizio degli anni settanta, appartenente o ex appartenente a un corpo avente anche funzione investigativa e legato alla base USA di Camp Darby, che quantomeno negli anni ottanta del ‘900 viveva dalle parti del pezzo d’America situato giusto al centro del distretto privilegiato del Mostro di Firenze (il cimitero militare alla memoria di Falciani) e che quindi – essendo un americano residente in tal luogo – con probabilità molto elevata, per non dire certezza, doveva avere a che fare con questo cimitero militare americano alla memoria.
Il match con il profilo del Mostro
Una volta messo a fuoco il profilo del vero Mostro di Firenze, noi – semplicemente applicando ordinaria tecnica di profile matching come abbiamo già fatto per mettere a fuoco la figura di colui che fu la spalla del vero Mostro, suo uomo anche nel locale nucleo di guerra non ortodossa, Giampiero Vigilanti – abbiamo cercato, fra i tanti personaggi più o meno legati in qualche modo alla vicenda del Mostro, un americano con il profilo giusto e il mestiere alla luce del sole giusto per essere un credibile uomo di vertice di una cellula clandestina S/B (quindi con mestiere visibile di appartenente o anche ex appartenente a corpo investigativo) in qualche modo legato alla base di Camp Darby e anche di età anagrafica e luogo di stabile di residenza giusti (in altri termini un americano più o meno quarantenne nel 1974 appartenente o ex appartenente a corpo con funzione investigativa, attivo o comunque proveniente dalla base USA di Camp Darby, che negli anni in cui il Mostro restò in attività – quindi molto probabilmente tra il 1974 e il 1985, ma pressoché certamente nel tempo della serie omicida degli anni ottanta – doveva risiedere stabilmente nella zona del cimitero militare americano di Falciani e in particolare vicino al tratto della via degli Scopeti che sale dal ponte sulla provinciale Cassia fino alla piazzola dove i due francesi vennero uccisi e che molto probabilmente, essendo americano che viveva dalle parti di un pezzo d’America, doveva avere a che fare con questo pezzo d’America: cioè doveva avere a che fare con il cimitero militare americano di Falciani. Ribadiamo: un pezzo di Stati Uniti d’America nel cuore del distretto privilegiato del Mostro di Firenze). Superfluo osservare che questa profilazione del Mostro parla chiarissimo e fa un preciso nome. Tra i tanti personaggi collegati o collegabili alla vicenda del Mostro di Firenze c’è infatti un solo individuo in possesso di tutte queste caratteristiche; un solo soggetto, il cui profilo però “meccia” sorprendentemente e con grado di sovrapposizione davvero impressionante (di fronte al quale l’illusorio dato etnico dell’uomo di colore suggerito dalla squinternata Gabriella Ghiribelli risulta totalmente screditato), con il profilo che noi abbiamo tracciato per il vero Mostro sulla base di fatti, testimonianze e persino atti giudiziari che fanno sì che la nostra ipotesi non sia puramente arbitraria.
Questo individuo reale (e non più virtuale) è un soggetto di nazionalità americana, nato nel 1935 in New Jersey, un ex agente del CID (Criminal Investigation Dept., corpo militare con funzione investigativa, per certi aspetti analogo all’Arma dei Carabinieri italiana), pluridecorato veterano del Vietnam il quale, tra il 1971 e il 1974, aveva prestato servizio presso la grande base militare americana di Camp Darby (ma costui c’era già stato assegnato una prima volta, a Camp Darby, nel 1964) e che poi, singolarmente posto in quiescenza a inizio 1974 a soli 38 anni, era giunto, con ruolo prima di addetto e poi di responsabile, presso il cimitero militare americano alla memoria di Falciani (frazione di S. Casciano in Val di Pesa, sito che si trova esattamente nel cuore del distretto privilegiato del Mostro di Firenze). Presso il quale cimitero alla memoria costui risiedette da fine giugno ’74 sino al 1989, quindi per tutto “il tempo del Mostro” questo individuo visse nel cuore del distretto privilegiato del Mostro di Firenze. Stiamo evidentemente parlando di Joseph o Giuseppe Bevilacqua. Non c’è alcun dubbio che nella zona di S. Casciano – ma potremmo tranquillamente dire “a Firenze e dintorni” – non si trovassero soggetti diversi dal Bevilacqua che possedessero tutte – ma proprio tutte – le caratteristiche che ci hanno consentito di tracciare il profilo del vero Mostro di Firenze: tutte le caratteristiche che noi abbiamo considerato per profilare, sulla base di considerazioni quanto più oggettive possibile, il vero Mostro (dal profilo tecnico-professionale, allo stato di servizio, alla nazionalità, all’età e al luogo di stabile residenza negli anni del Mostro), il Joe Bevilacqua ce le aveva. Bevilacqua a fine giugno 1974, quando giunse a S. Casciano in Val di Pesa andando ad abitare presso il cimitero militare americano di Falciani, era infatti un 38enne appena congedatosi dall’esercito, pluridecorato veterano del Vietnam ed ex appartenente a corpo militare con funzione investigativa (il CID), proveniente da Camp Darby. MA ATTENZIONE era un ex appartenente al CID proveniente da Camp Darby con più che probabili legami con il mondo dei servizi d’intelligence. E che Bevilacqua avesse molto probabilmente a che fare con ambienti dei servizi segreti lo si evince tra l’altro:
- dal fatto che egli aveva effettivamente servito nel servizio d’intelligence dell’Esercito USA nel 1968 in Vietnam, segnatamente nella seconda e ultima parte del suo anno di servizio in Sud-Est asiatico; per conto del quale servizio segreto militare è documentato che egli condusse delicate operazioni coperte quali ad esempio l’indagine sulla cosiddetta kaki mafia (rinvio qui per maggiori dettagli al blog Ostello Volante di Francesco Amicone);
- dall’episodio Alfredo Virgillito, ma non perché noi riteniamo che rispondesse senz’altro al vero il racconto che il Virgillito fece al colonnello Massimo Giraudo, bensì perché, avendo il giudice Armando Spadaro ufficialmente chiesto al Ministero degli Esteri (sulla base delle informazioni a lui rese dall’investigatore Giraudo, al quale il Virgillito aveva reso la sua testimonianza), se fosse identificabile un agente statunitense, presumibilmente un agente CIA con nome proprio riconducibile a Joe, che potesse essere coinvolto nella strage di piazza Fontana (perché di questo agente Joe e del suo coinvolgimento nella strage di piazza Fontana a Milano aveva raccontato il Virgillito al Giraudo: il quale Giraudo ritenne infine di allertare il giudice Spataro), il Ministero, applicando i criteri di ricerca suggeriti dal giudice Spataro, estrasse dai suoi database il nominativo Joseph Bevilacqua. Il Ministero rispose quindi al giudice Spataro – e sta tutta qui l’importanza della vicenda Virgillito nell’economia del caso Mostro – che l’unico nominativo con il profilo segnalato (pertanto un profilo di soggetto legato se non facente parte del servizio segreto statunitense) era Joseph Bevilacqua, nato a Totowa NJ il 20 dicembre 1935, che risultava aver risieduto in Italia dal 1974 – si ignorò a quanto pare che in realtà Bevilacqua risiedette stabilmente in Italia – quantomeno geograficamente parlando – a partire dal 1971, in quell’epoca risiedendo però presso la base extraterritoriale USA di Camp Darby a Tirrenia di Pisa);
- dall’avere il Bevilacqua una doppia identità (Joseph e Giuseppe Bevilacqua, cui corrispondevano due codici fiscali diversi), circostanza tipica di un agente dei servizi o comunque legato ai servizi almeno potenzialmente impiegabile in operazioni “covered” (coperte);
- dall’essere il Bevilacqua giunto una prima volta in Italia, sempre a Camp Darby, nel 1964, entrando nell’occasione in forza al coesistente dipartimento del CID (dunque proprio quando presso le basi USA “italiane”, tra cui in particolare la grande base di Camp Darby, si stavano svolgendo attività di selezione e addestramento del personale dei futuri nuclei territoriali di guerra non ortodossa e proprio nel periodo in cui sappiamo che tanti soggetti, tra cui molti italiani, frequentavano – sempre per motivi di addestramento – Camp Darby e molti di questi soggetti erano anch’essi – come il Bevilacqua – appartenenti a corpo militare con funzione investigativa e legami robusti con il mondo dei servizi (nel caso dei soggetti italiani, più spesso uomini appartenenti all’Arma dei carabinieri – e questo fu quasi certamente il caso dell’allora tenente o capitano CC Federigo Mannucci Benincasa, che di lì a poco – dopo congruo periodo di addestramento svoltosi anche presso la base Camp Darby – sarà infatti definitivamente distaccato al servizio segreto militare, l’allora SIFAR (proprio nel delicato momento in cui da SIFAR stava diventando SID a seguito dello scandalo Piano Solo) e destinato alla sede SID altamente sensibile di Padova, una città chiave nella storia della strategia della tensione in Italia; e io credo che con ogni probabilità in quello stesso periodo (primi anni sessanta) frequentò Camp Darby anche il giovane tenente CC ODA, che a differenza del Mannucci Benincasa fu sempre operativo in provincia di Firenze, per lo più presso il comando dell’Arma fiorentina di Borgo Ognissanti, ma che con ruolo parallelo (non previsto da alcun suo stato di servizio o mansionario) fu funzionale al coesistente “Centro di controspionaggio” (CS) decentrato del servizio segreto militare (prima SID poi SISMI) fiorentino, un CS che per 20 anni fu comandato dal colonnello FMB, del quale Mannucci Benincasa il Dell’Amico era – praticamente da sempre – stretto sodale e uomo di massima fiducia.
Joseph o Giuseppe Bevilacqua che il rapporto del raggruppamento Indagini Scientifiche dei CC datato 2018 ci dice come egli avesse una biografia di grande interesse sotto un profilo psico-criminale, essendo una biografia (FATE ATTENZIONE) costellata da episodi potenzialmente rilevanti sotto tale profilo (e il termine costellata usato dai CC del RaCIS ci fa ritenere che non si stia parlando solo dell’esperienza del Bevilacqua in Vietnam, circostanza comunque non di poco conto, ma che questi episodi si fossero verificati nell’arco dell’intera vita del Bevilacqua; Joseph o Giuseppe Bevilacqua che verosimilmente conosceva e frequentava un certo mondo di guardoni (in particolare della Val di Pesa, ma probabilmente non solo della Val di Pesa), come ebbe a riferire il testimone d’eccezione Pietro Pacciani ai suoi avvocati Pietro Fioravanti e Rosario Bevacqua; Joseph o Giuseppe Bevilacqua che dunque mentì al processo Pacciani quando disse di non aver mai conosciuto il contadino di Mercatale e di essersi ricordato solo molti anni dopo di averlo scorto nei pressi della piazzola degli Scopeti, il tardo pomeriggio di domenica 8 settembre del 1985, avendolo visto in TV e sui giornali. Pacciani era invece ben conosciuto dal Bevilacqua, come del resto anni dopo, nel 2018, confermò anche sua moglie; Joseph o Giuseppe Bevilacqua che per sua stessa ammissione (vedasi sua deposizione resa in Borgo Ognissanti il 14 luglio 1992) fu il primo e unico ad aver visto la coppia francese sin dal pomeriggio non avanzato del venerdì 6 settembre ’85 e ad averla di fatto seguita nei suoi spostamenti di quel pomeriggio, lungo il famigerato tratto iniziale della via degli Scopeti che abbiamo prima menzionato, fino alla sua destinazione finale: spostamenti della coppia francese che risultano in effetti essere stati visti solo da lui, come da già citata testimonianza dallo stesso Bevilacqua resa a Borgo Ognissanti il 14 7 1992.
Un tratto di strada, questo pezzo iniziale della via degli Scopeti (che potremmo serenamente chiamare la strada delle morte per le coppie che in quegli anni avessero avuto la sventura di farvi tappa) che il nostro Bevilacqua dichiarò di percorrere tutti i giorni più volte al giorno. Ed è infatti pressoché certamente il Joe Bevilacqua l’uomo alto all’incirca mt 1,80 che fu visto da tale Giovanni Uras aggirarsi proprio in quel tratto di strada, nei pressi della piazzola degli Scopeti dove i due francesi sarebbero di lì a poco stati uccisi, nel tardo pomeriggio di Venerdì 6 settembre. Giovanni Uras sulla base della cui deposizione gli inquirenti realizzarono il noto fotofit, che oggi si vorrebbe irragionevolmente e solo a fini scoop forzosamente associare a tale Stefano Paoli, alias fantomatico Rosso del Mugello. Questo fotofit è invece un’immagine piuttosto fedele di Joe Bevilacqua cinquantenne, come era cioè nel 1985, che del resto non solo abitava nelle immediate vicinanze del luogo dove il testimone Uras vide la persona sospetta, ma che per sua stessa dichiarazione era nel luogo e nel tempo nei quali l’Uras vide l’uomo del fotofit. E abbiamo infine evidenziato come Joseph o Giuseppe Bevilacqua possedesse nel 1985 una Fiat Argenta, un modello d’auto molto simile e praticamente indistinguibile – specie nottetempo – dalla Fiat 131, l’auto che il testimone James Taylor e la sua compagna Luisa Gracili dissero di aver visto intorno alla mezzanotte di domenica 8 settembre transitando in auto nei pressi della piazzola degli Scopeti, teatro dell’eccidio della coppia francese. Non solo dunque un’auto simile a quella del Vigilanti fu vista da testimoni in luoghi e tempi vicini rispettivamente a luoghi e tempi di duplici delitti del Mostro; fu notata da due testimoni credibili anche un’auto molto simile a quella che all’epoca possedeva Bevilacqua, auto che dal Taylor e dalla Gracili fu vista venir fuori dalla stradina che ancora oggi conduce alla piazzola teatro dell’uccisione dei due francesi, intorno alla mezzanotte di domenica 8 settembre 1985, quindi quando verosimilmente in piazzola già giacevano da diverse ore, nascosti, i cadaveri delle due vittime. Ma a differenza della sua fedele spalla Vigilanti, a Joseph o Giuseppe Bevilacqua nessuno è venuto mai a chiedere conto.
Siamo pertanto giunti, sulla base di plurimi elementi, tra loro significativamente concordanti e che potremmo definire quantomeno indiziari, al vero Mostro di Firenze: che di Firenze però non era, ma era americano, secondo noi un americano nato a Totowa nel NJ, il 20 dicembre del 1935 (e quindi last but not least anche l’età anagrafica del Bevilacqua coincide cioè rientra nella fascia di età che è quella che abbiamo attribuito al vero MdF in sede di profilazione di questo terribile assassino).
Il percorso che abbiamo fatto per arrivare al Mostro consta, come si può notare, di una serie di passaggi logici (ma sempre supportati da fatti oggettivi e testimonianze credibili): passaggi lineari, semplici e spesso ovvie deduzioni, il cui fondamentale punto di partenza, o architrave, è il depistaggio dell’estate 1982 con il quale uomini di Borgo Ognissanti (in primis Olinto Dell’Amico, ma noi crediamo ci si debba più correttamente riferire all’asse Federigo Mannucci Benincasa – Olinto Dell’Amico) fecero in modo di aprire la cosiddetta pista sarda. E’ da questo architrave che come abbiamo ora visto discendono (una concatenata all’altra) le deduzioni, i passaggi che conducono al vero Mostro di Firenze. Ed è quindi su questo architrave che si concentrano gli accaniti tentativi del mainstream mostrologico e dei vari appassionati tradizionalisti (in particolare la fazione sardista) – ma non solo i sardisti – di far cadere la nostra ricostruzione dei fatti e della verità sul caso del Mostro di Firenze. Vediamoli dunque questi tentativi di negare la realtà del depistaggio del 1982 e per questa via far cadere la nostra ricostruzione della vicenda del Mostro; vediamoli, perché questi tentativi ci sono in realtà molto utili a fissare alcuni concetti fondamentali, che debbono essere maneggiati molto bene, quando si parla di Mostro di Firenze, poiché padroneggiandoli si riesce a non perdere la bussola, a non farsi confondere le idee da argomentazioni capziose e strumentali che oppongono alle nostre tesi i molti che non hanno il fine di perseguire una verità razionale in ordine a questa tragica vicenda e sono quindi concetti utili a tenere la barra ben dritta per provare a rendere un briciolo di giustizia a sedici povere vittime di quella che fu una vera e propria strage prolungata nel tempo.
Lezioni sul Mostro. Gli eventi dell’estate 1982.
Le argomentazioni “nel merito” avverso all’ architrave della nostra ricostruzione (l’asse portante che tutto regge) sono raggruppabili in due principali macro-filoni: le critiche che classifichiamo come di natura balistica e le critiche che classifichiamo come di natura non balistica.
- Le Critiche che classifichiamo come di natura balistica.
Le critiche attinenti la questione balistica dobbiamo citarle per prime, perché sono le considerazioni balistiche che a nostro avviso provano senza ombra di dubbio che:
- I bossoli ritrovati intorno al 20 luglio ’82 nel fascicolo processuale Mele / Signa non erano quelli che aveva esaminato Zuntini nel ‘68 in relazione all’indagine sul duplice delitto di Castelletti Signa (delitto Locci – Lo Bianco avvenuto nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1968);
- e che quindi quantomeno i bossoli ritrovati nel luglio ’82 nel fascicolo processuale Mele / Signa e sicuramente esplosi dall’arma del Mostro (come hanno dimostrato tutte le perizie eseguite dal 1982 in avanti) ci sono stati messi a bella posta (ragionevolmente in tempo successivo alla conclusione del processo Mele) in quel fascicolo processuale: il che dimostra senza possibilità di errore che l’apertura della pista sarda si dovette a un atto manipolativo della documentazione sul caso di Castelletti di Signa, cioè di fatto a un depistaggio (poiché la conseguenza – prevista e prevedibile – di quell’azione fu quella di far concentrare l’indagine sul Mostro su un gruppetto di soggetti che verosimilmente avevano avuto molto a che fare con l’episodio di Castelletti di Signa del ’68 e che per questo motivo erano stati attenzionati dagli inquirenti già all’indomani di quel duplice delitto, salvo poi essere misteriosamente lasciati in pace dalla premiata ditta Dell’Amico & co. nonostante le plurime evidenze di un loro coinvolgimento in quell’uccisione; ma che risulteranno, dopo alcuni anni di tempo investigativo letteralmente “buttato”, estranei agli omicidi delle coppie perpetrati dal cosiddetto Mostro di Firenze).
Il tema strettamente balistico è dunque assolutamente cruciale – MA PRIMA DI ANDARLO AD ESAMINARE, SI FACCIA ATTENZIONE A QUESTA CRUCIALE DISTINZIONE: UN CONTO E’ LA BALISTICA, CIOE’ LA SCIENZA E L’INSIEME DI CONOSCENZE TECNICHE DI ARMI E MUNIZIONI; ALTRO CONTO E’ LA RICOSTRUZIONE DELLE DINAMICHE DI UN ATTO DELITTUOSO, CIOE’ L’ANALISI DELLA SCENA DEL CRIMINE VOLTA A RICOSTRUIRE COME L’ASSASSINO O GLI ASSASSINI HANNO UCCISO E QUALI SIANO STATI I LORO MOVIMENTI E QUELLI DELLE LORO VITTIME SU QUELLA SCENA DEL CRIMINE; IL COL. INNOCENZO ZUNTINI, AD ESEMPIO, ERA UN RICONOSCIUTO ESPERTO IN MATERIA BALISTICA MA NON UN ANALISTA DI SCENA DEL CRIMINE; UN FRANCESCO DE FAZIO – TANTO PER FARE UN ALTRO ESEMPIO – ERA INVECE UN RICONOSCIUTO ESPERTO IN MATERIA DI RICOSTRUZIONE DI DINAMICHE CRIMINOSE, MA NON NELLA MATERIA BALISTICA STRICTU SENSU). QUESTA DISTINZIONE OCCORRE TENERLA SEMPRE PRESENTE NELL’ANALISI DEI PROBLEMI BALISTICI CHE ORA RIPERCORREREMO, PERCHE’ SI INCONTRERANNO SEMPRE, IN AMBIENTE MOSTROLOGICO, SOGGETTI POCO ARGUTI O INTELLETTUALMENTE POCO ONESTI CHE CERCHERANNO DI CONVINCERCI CHE ZUNTINI NEL 1968 COMMISE UN ERRORE MARCHIANO COME QUELLO DI DESCRIVERE COME QUASI IRRILEVABILI I SEGNI DI ESTRATTORE ED ESPULSORE PRESENTI SUL FONDELLO DEI BOSSOLI REPERTATI A CASTELLETTI DI SIGNA; UN ERRORE CHE SAREBBE INSPIEGABILE, VISTO IN PARTICOLARE IL SEGNO, NETTO E VISIBILE ANCHE A OCCHIO NUDO, DELL’ESPULSORE, CHE L’ARMA DEL MOSTRO LASCIAVA SEMPRE A ORE 21 SUL FONDELLO DEI BOSSOLI ESPLOSI. MAGARI COSTORO ELENCANDO, A SOSTEGNO DELLE LORO INFONDATE PRETESE, ALTRI PRESUNTI ERRORI CHE AVREBBE COMMESSO ZUNTINI NELLE SUE SUCCESSIVE PERIZIE E QUINDI SOSTENENDO LA TESI, DI FATTO DIFFAMATORIA, CHE ZUNTINI FOSSE UN INCOMPETENTE. MA GLI ERRORI, ANCHE PIUTTOSTO EVIDENTI, CHE PURE ZUNTINI HA COMMESSO NELLE SUE PERIZIE, SONO TUTTI ERRORI ATTINENTI ALLA RICOSTRUZIONE DELLE DINAMICHE. ZUNTINI INVECE NON HA MAI COMMESSO ERRORI COSI’ EVIDENTI NELLE PARTI PIU’ STRETTAMENTE BALISTICHE DELLE SUE ANALISI PERITALI (TANTO MENO ERRORI COSI’ GROSSOLANI COME QUELLO CHE QUESTI SIGNORI, CHE PER MOTIVI INCOMPRENSIBILI CERCANO IN OGNI MODO DI NEGARE LA REALTA’ DEL DEPISTAGGIO DEL 1982, PRETENDONO CHE EGLI ABBIA COMMESSO, PERALTRO SOLO NEL 1968, COME ORA VEDREMO).
Ma la questione balistica e le critiche che in materia certuni fanno al nostro lavoro sono, come si è ora detto, questione cruciale, poiché si parla dell’architrave del ragionamento che ci ha condotto a individuare colui che fu il vero Mostro di Firenze, cioè il capo assassino e non mandante della banda del Mostro (e vogliamo qui ricordare che per banda del Mostro noi intendiamo più di una persona, un gruppo di più soggetti che con ruoli diversi – quindi non necessariamente presenti contemporaneamente sulle scene degli omicidi delle coppie di fidanzati – e con diversi livelli di informazione sono da ritenersi penalmente responsabili per i delitti delle coppie o per almeno alcuni di questi delitti).
E’ la questione balistica l’architrave di tutta la nostra ricostruzione, poiché sono considerazioni squisitamente balistiche a dirci con certezza – quindi a provare – che vi fu manipolazione delle carte del processo Mele e dei relativi corpi di reato. Una manipolazione che avvenne in un qualche imprecisato momento prima del 17 luglio 1982, prima cioè che il GI Tricomi, su input di Dell’Amico e del sottoposto di Dell’Amico maresciallo Francesco Fiori, si mettesse in cerca di questo fascicolo, che in quel momento era già stato con ogni probabilità opportunamente manipolato. Stante questo fatto che noi sosteniamo essere un fatto accertato, ogni altra considerazione ed anche ogni eventuale dubbio o perplessità sulla concatenazione di eventi dell’estate 1982 che condusse all’apertura della pista sarda, da questo fatto oggettivo di importanza fondamentale dovrebbe partire: ogni nostra considerazione dovrebbe cioè partire dalla circostanza della avvenuta manipolazione del fascicolo Mele mediante immissione nello stesso di reperti balistici – certamente quantomeno di bossoli – esplosi dall’arma del Mostro, sicché, quantomeno i bossoli, ritrovati a quanto pare spillati al fascicolo Mele intorno al 20 luglio del 1982, non erano quelli esaminati da Zuntini nel 1968. Ma perché noi possiamo affermare con questa sicurezza che è un fatto oggettivo, PROVATO, che i bossoli ritrovati spillati al fascicolo Mele nel luglio del 1982 non fossero quelli che Innocenzo Zuntini aveva esaminato nel 1968? Come dobbiamo rispondere e quali elementi probatori possiamo opporre ai vari ottusi (alcuni senza mezzi termini disonesti) che si arrampicano sugli specchi per cercare di contestare la realtà di ciò che accadde nell’estate del 1982 e quindi di far restare questa tragica vicenda avvolta nelle tenebre? Premesso che nessuno dei negazionisti della realtà del depistaggio del 1982 ha mai neppure tentato di dare uno straccio di spiegazione alla circostanza oggettiva e incontestabile che nonostante le evidenti più che anomale condizioni del ritrovamento dei reperti balistici nel fascicolo Mele avvenuto nel 1982 (ricordiamo che si trattava di reperti o corpi di reato che innanzitutto erano fuori posto – si sarebbero dovuti trovare nel deposito dei corpi di reato anziché in un fascicolo processuale e fuori posto erano apparentemente rimasti per tanti anni, non solo dal fatto di sangue di Castelletti (14 anni), ma anche da sentenza definitiva (9 anni), senza che nessuno nel Tribunale di Firenze se ne fosse mai accorto e/o avesse mai avuto qualcosa da dire o fosse in qualche modo intervenuto per sanare questa evidente anomalia – e comunque ritrovati stranamente privi di qualsivoglia documentazione e/o rilievi fotografici che potessero certificarne la provenienza), nonostante tutto questo né il GI Vincenzo Tricomi, né tantomeno (naturalmente) chi letteralmente lo pilotò in quell’estate 82 in direzione di Castelletti di Signa (cioè Olinto Dell’ Amico con la necessaria connivenza dal perito balistico incaricato Ignazio Spampinato, come più oltre dimostriamo) hanno disposto o almeno proposto di sottoporre i reperti ritrovati (ma meglio dire fatti ritrovare) spillati al fascicolo Mele, a un confronto balistico con la documentazione del 1968 e in particolare con le perizie di Zuntini del ‘68 e del ‘74, coinvolgendo (come naturalmente si sarebbe dovuto fare) lo stesso Innocenzo Zuntini in questo accertamento. Un confronto balistico che era invece necessarissimo per verificare la provenienza di quei reperti, certamente – quantomeno i bossoli – esplosi dall’arma del Mostro di Firenze, ma che non erano stati ritrovati qualche giorno prima in una qualche scena del crimine del killer delle coppie appartate; erano invece reperti ritrovati nelle anomale condizioni che abbiamo ora descritto, molti anni dopo l’omicidio al quale si pretendeva che questi reperti afferissero, sicché è davvero difficile, per non dire impossibile, credere che chi quel corpo di reato aveva ritrovato non abbia avuto alcuna perplessità o sospetto tale da richiedere formalmente al perito incaricato di effettuare un confronto con le perizie balistiche di Zuntini del ‘68 e del ‘74, a quel punto giocoforza coinvolgendo l’autore di queste perizie. Eppure proprio questo è successo nel luglio ‘82: è successo che nessun confronto tra i reperti balistici ritrovati nel fascicolo Mele e le precedenti perizie di Zuntini è stato fatto, né nell’estate del 1982, né successivamente (dopo l’82 essendosi da tutti dato per scontato che il problema della provenienza dei reperti ritrovati nel fascicolo Mele fosse stato affrontato e risolto al momento del loro ritrovamento); né, a quanto pare, alcuno ha mai pensato di coinvolgere Zuntini negli accertamenti balistici che furono subito disposti sui reperti ritrovati nel fascicolo Mele, onde verificare se si trattasse proprio di quelli che lo Zuntini aveva esaminato nel 1968. Ed è anzi singolare che il perito che fu incaricato a luglio ’82 di esaminare i reperti balistici ritrovati nel fascicolo del processo Mele non chiese mai di acquisire la documentazione che poteva comprovare la provenienza di quei reperti, né chiese mai di potersi confrontare con il perito del ’68 (ma noi ora mostreremo come la scelta di Ignazio Spampinato quale perito balistico cui affidare l’esame sui reperti ritrovati spillati al fascicolo Mele non sia stata affatto casuale, visti i recenti trascorsi di Spampinato, al tempo ancora non noti, nel 1982).
Tutto questo ci dicono gli atti di cui noi oggi disponiamo.
Premessa dunque questa tanto accertata quanto incredibile – se non fosse assolutamente voluta – mancanza (cioè il mancato coinvolgimento di Zuntini negli accertamenti balistici del 1982 e il mancato confronto balistico tra i reperti ritrovati a luglio di quell’anno nel fascicolo Mele e le perizie di Zuntini del ‘68 e del ‘74), un problema che ci critica neppure osa affrontare per assoluta assenza di argomenti e di possibili soluzioni valide, le critiche di natura più strettamente balistica alla nostra ricostruzione dei fatti dell’estate ’82 sono più o meno così raggruppabili:
- Prima critica: non so quante perizie eseguite dopo quella di Spampinato del 1982 (a cominciare dalla perizia Arcese – Iadevito del 1983) hanno tutte confermato i risultati di Spampinato e cioè definitivamente dimostrato che un’unica arma calibro 22 ha sparato e ucciso coppie appartate nei dintorni della città di Firenze tra l’agosto del 1968 e il settembre del 1985. Ebbene, questa affermazione è falsa. Infatti in tutte le perizie eseguite sui reperti o su foto dei reperti ritrovati spillati al fascicolo Mele nel luglio del 1982, questi reperti sono per postulato (cioè per ipotesi indimostrata) definiti come “palle e bossoli del ’68”. E’ del tutto ovvio che definendo in tal modo i proiettili e i bossoli ritrovati spillati al fascicolo Mele e confrontando questi reperti con reperti e perizie balistiche inerenti altre scene del crimine certamente del Mostro di Firenze (quindi episodi avvenuti tra il 1974 e il 1985) tutto torna (non solo le striature destrorse impresse sulle palle dalla rigatura della canna, caratteristica peraltro inidonea a individuare una singolarità d’arma come ora diremo, ma anche e soprattutto i segni impressi sul fondello dei bossoli esplosi dai meccanismi di percussione, estrazione ed espulsione tipici di un‘arma semiautomatica, che sul fondello dei bossoli ritrovati nel fascicolo Mele erano identici a quelli che l’arma del Mostro imprimeva sul fondello dei bossoli esplosi). Definendo “palle e bossoli del ’68” le palle e i bossoli ritrovati a luglio ’82 nel fascicolo Mele non si potrà che pervenire alla conclusione dell’unicità dell’arma). Ma che i reperti ritrovati nel fascicolo Mele intorno al 20 luglio del 1982 fossero quelli del ’68 (cioè i reperti ritrovati sul terreno di Castelletti di Signa ed esaminati da Innocenzo Zuntini) non può in alcun modo essere considerata ipotesi non necessitante di dimostrazione, viste anche le anzidette anomale condizioni del ritrovamento di questi reperti, fuori posto e non assistiti da alcuna filiera della conservazione del corpo di reato, né da rilievi fotografici fatti prima del loro ritrovamento. I periti che da Arcese e Iadevito in poi hanno esaminato i reperti ritrovati nel luglio ’82 spillati al fascicolo Mele hanno tutti (noi diciamo comprensibilmente) dato per scontato che questa ipotesi fosse stata dimostrata nel 1982, quando grazie al ritrovamento di questi reperti nel tribunale di Firenze fu aperta la pista investigativa sarda. Invece nel 1982 la dimostrazione di questa ipotesi, cruciale per poter concludere con certezza che l’arma che aveva ucciso coppie appartate nella campagna fiorentina tra il 1968 e il 1985 fosse una con le stesse caratteristiche (cioè che lasciava gli stessi segni su palle e bossoli esplosi), non fu fatta. Si evitò accuratamente di farla questa dimostrazione stanti le evidenti differenze dei segni impressi sul fondello dei bossoli esplosi quali descritti da Zuntini nel 1968 e fu a questo fine che si fece in modo che il controllabilissimo GI Tricomi nominasse, quale perito cui affidare il confronto balistico del 1982, il perito amico Ignazio Spampinato. In tal modo tutti i periti che hanno esaminato dopo lo Spampinato i reperti ritrovati nel 1982 nel fascicolo Mele, hanno creduto in buona fede di aver dimostrato l’unicità dell’arma tra il 1968 e il 1982, laddove invece tutti costoro avevano solo dimostrato che i reperti balistici ritrovati nel fascicolo Mele (in particolare i bossoli) erano reperti senza dubbio esplosi dall’arma del Mostro. Ma che quei reperti fossero quelli che Zuntini aveva esaminato nel 1968 resta ancora oggi ipotesi indimostrata e anzi i segni impressi dall’arma sul fondello dei bossoli esplosi quali descritti da Zuntini nella sua perizia del ’68 oggi ci dicono che questa ipotesi è da non accettare.
- Seconda critica: le palle o proiettili o ogive ritrovate nel fascicolo Mele nel 1982 hanno le medesime striature (sei striature destrorse) descritte da Zuntini nel ‘68 e quindi sono senz’altro i proiettili esaminati da Zuntini nel ’68: il che proverebbe, secondo questi nostri detrattori, che non c’è mai stata alcuna sostituzione. Posto che concludere per l’unicità d’arma tra il 1968 e il 1985 sulla base di queste striature è né più né meno un errore marchiano (le striature destrorse, tanto più in assenza di arma e di foto dei reperti esaminati da Zuntini nel ’68 diverse da quelle fatte nel 1982 ai reperti ritrovati nel fascicolo Mele, non sono infatti in grado di identificare una singolarità d’arma, ma al più una classe di arma: nella fattispecie semiautomatica o automatica di tipo Long Rifle). Ma al di là di questo, nonché premesso che è facilmente dimostrabile come proiettili W Serie H sparati da persona sufficientemente esperta con arma della medesima classe di quella del ‘68 (come certamente era l’ arma del Mostro) contro una carcassa di animale (ove si fosse tenuto conto della perizia Zuntini del 68 e della catalogazione dei reperti fatta da Zuntini in quell’occasione, documenti che però i depistatori del 1982 avevano senz’ altro a disposizione e che necessariamente hanno dovuto lasciare in atti, altrimenti avrebbero fatto prima a lasciare nel fascicolo processuale Mele/Signa un biglietto con su scritto: ATTENZIONE QUESTO È UN DEPISTAGGIO), avrebbero presentato striature e deformazioni sicuramente compatibili con la non dettagliata descrizione dei proiettili che fece Zuntini nel ‘68 e anche tracce organiche che, post opportuno trattamento di “invecchiamento”, non avrebbero mai potuto essere giudicate recenti, né tantomeno avrebbero potuto essere ricondotte a persone diverse da Barbara Locci e Antonio Lo Bianco o ad animali, in un tempo in cui la tecnologia del DNA era ancora di là da venire. Ma premesso tutto questo debbo per l’ennesima volta far presente che qualsiasi critica basata sulle palle ritrovate nel fascicolo Mele in realtà ben poco tange la nostra non tesi, ma ricostruzione dei fatti, avendo noi ripetutamente affermato che se si ipotizza – come noi ipotizziamo – la sostituzione dei reperti balistici del ‘68 [perché sicuramente i veri reperti del 68 sono stati presenti in atti (a mio avviso nel deposito dei corpi di reato del Tribunale di Firenze), almeno fintantoché l’iter giudiziario a carico del Mele non fu concluso e il fascicolo del processo restituito da Perugia a Firenze, quindi almeno fino al 1974], la scelta assolutamente più naturale e razionale che si poteva fare (e secondo noi verosimilmente si fece) fu quella di lasciare in atti le palle del ‘68 (quelle cioè repertate sul terreno di Castelletti di Signa e quindi esaminate da Zuntini nel ‘68) e sostituire solo i bossoli con bossoli esplosi dall’arma del Mostro cioè dall’arma che nel 1982 stava uccidendo giovani coppie appartate nei dintorni di Firenze. Stante infatti (i) l’assenza dell’arma del ‘68 e (ii) la mancanza di foto dei reperti esaminati da Zuntini nel ‘68 (non quelle fatte ai reperti ritrovati nel fascicolo Mele nel luglio ‘82), sarebbe stato (e sarebbe ancora oggi) impossibile per chiunque accorgersi (e affermare con sufficiente certezza) che i proiettili ritrovati in quel fascicolo (i veri proiettili del ‘68) erano stati sparati da arma diversa (perché effettivamente diversa o perché prima di aver subito modifiche), ma comunque arma del medesimo tipo di quella (l’arma del Mostro) che aveva esploso i bossoli. Quindi anche noi riteniamo che le palle ritrovate nel fascicolo Mele nel 1982 siano più probabilmente quelle esaminate da Zuntini nel ‘68. Con maggiore probabilità solo i bossoli furono sostituiti: sostituzione dei bossoli invece provata, come tra poco vedremo, dai segni dell’estrattore e ancor più dell’espulsore che erano impressi sul fondello dei bossoli repertati nel 1968, innegabilmente diversi dagli stessi segni che l’arma del Mostro imprimeva sul fondello dei bossoli esplosi e che sono stati descritti in maniera praticamente identica da tutti i periti incaricati di esaminare reperti esplosi dall’arma del Mostro di Firenze dal 1974 in avanti. Peraltro non mettono minimamente in crisi la nostra ricostruzione anche talune analisi balistiche fatte con microscopio elettronico da confronto (ad esempio quella dei periti Salza e Benedetti) che hanno evidenziato forte analogia di microstriature (cioè di striature generate da imperfezioni della canna, più idonee delle striature, o macrostriature, impresse dalla rigatura della canna ad individuare una singolarità d’arma) sui proiettili ritrovati nel fascicolo Mele nel 1982 e sui proiettili certamente esplosi dall’arma del Mostro repertati su scene del crimine tra il 1974 e il 1985. Posto che stiamo sempre parlando dei reperti ritrovati nel fascicolo Mele che, come si è detto, è tutto da dimostrare che fossero quelli repertati a Castelletti di Signa nel ’68, la nostra ricostruzione non è intaccata anche nell’ipotesi di sostituzione dei soli bossoli. Infatti i diversi segni impressi sul fondello dei bossoli esplosi provano che l’arma del Mostro o era arma della stessa classe, ma non la stessa arma che aveva sparato a Castelletti di Signa nel 1968, o era la stessa arma del ’68 ma modificata dopo il ’68 e prima del settembre 1974, cosicché i segni che imprimeva sul fondello dei bossoli esplosi erano diversi da quelli che imprimeva nel ’68. In questa non improbabile eventualità sostituendo nel fascicolo Mele i soli bossoli (cioè i soli reperti che portavano i segni delle modifiche intervenute dopo il ’68), i proiettili in quel fascicolo sarebbero stati quelli dell’arma del Mostro con le medesime striature e microstriature e la stessa cosa per i bossoli (circostanza che avrebbe fatto inevitabilmente concludere per l’unicità dell’arma), ma a differenza dei proiettili i bossoli non erano quelli del ’68 (che è proprio ciò che sembra emergere dalle perizie Zuntini ’68 e Salza – Benedetti). Resta impregiudicato ciò che è essenziale per la nostra ricostruzione e cioè la manipolazione del fascicolo del processo Mele avvenuta nei poco meno di trenta giorni dall’aggressione di Baccaiano del 19 giugno al 17 luglio ’82, la data in cui il GI Tricomi, su input del tenente colonnello ODA, chiese al Tribunale di Perugia che gli fosse inviato il fascicolo del processo Mele “in una con il corpo di reato” (fascicolo e relativo corpo di reato che erano invece a Firenze: il fascicolo da nove anni, il corpo di reato sin dal ‘68). E’ infatti la manipolazione del fascicolo Mele mediante immissione nello stesso di reperti balistici (più probabilmente di soli bossoli, ma non è questo il punto centrale) che testimonia l’intervento della locale cellula S/B di guerra non ortodossa nell’estate ’82 per coprire l’assassino delle coppie passato alla storia criminale con l’appellativo di Mostro di Firenze. E che quindi ci dice inequivocabilmente il mestiere non da Mostro del Mostro.
- Terza critica: Prima di passare al confronto dei segni impressi sul fondello dei bossoli repertati rispettivamente nel 68 a Signa e sulle scene dei successivi delitti del MdF, vediamo un’altra critica di natura balistica che a volte ci è stata opposta e che riguarda una parte del bossolo diversa dal fondello e cioè il lato del bossolo opposto a quello corrispondente al segno del percussore, lato sul quale su tutti i 5 bossoli esaminati da Zuntini nel ‘68 era presente un rigonfiamento. Rigonfiamento rilevato anche su molti (ma non tutti) i bossoli repertati sulle scene del crimine certamente del Mostro tra il 74 e l’85 e quindi – viene dedotto con frettolosa ed errata conclusione – l’arma doveva essere la stessa. Tuttavia per quanto manifestamente errata e infondata dal punto di vista balistico, questa posizione, evidentemente avversa a quanto noi sosteniamo, è argomentazione che corre l’obbligo di considerare poiché fatta dal luogotenente CC Liberato Ilardi in risposta a considerazioni che andavano invece a favore della manipolazione del fascicolo Mele formulate dall’avvocato Vieri Adriani, legale di parte civile dei familiari delle vittime francesi del Mostro. L’Ilardi infatti è fonte ufficiale che risponde a Vieri Adriani per conto della Procura, pur non essendo un esperto balistico incaricato di eseguire perizia. Ilardi dunque sostiene che l’arma che ha ucciso coppie appartate tra il 1968 il 1985 sia unica per via di questo rigonfiamento presente su un lato dei bossoli esplosi descritto da Zuntini nel 68 e spesso presente anche sui bossoli repertati sulle scene dei duplici delitti commessi tra il 1974 e il 1985. Ebbene questa conclusione di Ilardi (cioè l’unicità dell’arma tra il 68 e l’85) è sbagliata. Questo rigonfiamento descritto da Zuntini nel 68 e anche da altri periti nelle perizie inerenti successivi episodi di uccisione di coppia appartata, dipende in realtà innanzitutto da caratteristiche di cartuccia (di tipo superspeed, sia a palla ramata che a piombo nudo, quelle utilizzate dal 68 all’85 per uccidere coppie appartate in auto) e secondariamente da caratteristiche d’arma (arma non nuova, con un certo grado di logoramento di certe parti), ma assolutamente non identificative di una singolarità d’arma. Questo rigonfiamento ci dice che l’arma che ha ucciso BL e ALB e probabilmente anche l’arma che ha ucciso coppie appartate tra il 1974 e il 1985, è arma o sono entrambi armi semiautomatiche o automatiche (quindi non a tamburo) non nuove, quantomeno in alcune loro parti. Del resto lo scrive lo stesso Zuntini nel 1968 (anche se Ilardi curiosamente non lo riporta nella sua risposta a Vieri Adriani) che questo rigonfiamento da lui rilevato su tutti e 5 i bossoli da lui esaminati non poteva da solo essere utile all’identificazione di un’arma, ma che a questo scopo erano strettamente necessari anche i segni sul fondello (le vere impronte digitali in grado di identificare una singolarità d’arma in assenza di arma e – aggiungo io – di foto che possano dirsi con certezza foto dei reperti ritrovati sulla scena criminis). Pertanto, archiviato il rigonfiamento laterale dei bossoli, vediamo ora cosa dicono i nostri detrattori riguardo i segni sul fondello dei bossoli repertati, che in effetti nel 1968 è documentato (è agli atti) che differiscano significativamente dagli stessi segni impressi sul fondello dei bossoli esplosi descritti da tutti i periti che hanno esaminato reperti balistici certamente esplosi dall’arma del Mostro dal 1974 in avanti.
- Quarta critica: E veniamo al vero punto dolente per i nostri detrattori: l’evidente diversa descrizione che nel 1968 Zuntini fa dei segni impressi dall’arma di Castelletti di Signa sul fondello dei bossoli esplosi, rispetto alla descrizione che tutti i periti (incluso lo stesso Zuntini nel 1974 e ovviamente anche Spampinato nel 1982) hanno fatto dei segni sul fondello dei bossoli esplosi dall’arma del Mostro, dal 1974 fino ai nostri giorni. Con riferimento ai segni impressi sul fondello dei bossoli esplosi, l’unica voce fuori dall’unanime coro dei periti è Zuntini nel 1968. Noi quindi abbiamo applicato il metodo di Occam (cosiddetto rasoio), che ci fa dire, molto semplicemente, che, essendo i segni sul fondello dei bossoli diversi, i bossoli ritrovati a luglio ’82 a Firenze nel fascicolo Mele non erano i bossoli che Zuntini aveva esaminato nel 1968 e quindi che qualcuno in un dato momento, prima che il Tricomi si muovesse per acquisire quel fascicolo, aveva immesso bossoli esplosi dall’arma del Mostro nel fascicolo del processo Mele. I nostri detrattori a prescindere sono invece costretti ad esilaranti arrampicate sugli specchi. La critica che ci viene forse più spesso fatta è: Zuntini nel ‘68 ha sbagliato. Lasciamo pure stare gli incompetenti che semplicemente diffamano Zuntini sottolineando vari altri errori che sarebbero stati da lui commessi (ma Zuntini ha commesso errori anche marchiani, questo è vero, ma non in materia balistica, bensì nella ricostruzione delle dinamiche omicidiarie: si pensi ad esempio alla errata ricostruzione che egli fece della dinamica della Rabatta; ricostruzione delle dinamiche che però abbiamo già detto essere tutt’altra disciplina rispetto alla balistica, quest’ultima attenendo alla mera descrizione di reperti (palle e bossoli) volta ad accertare il tipo d’arma che quei reperti ha esploso, il numero di armi utilizzate e questioni di questo tipo). Ebbene è facilmente riscontrabile come nessun vero errore sia stato mai commesso da Zuntini nella parte strettamente balistica delle sue perizie. Invece secondo diversi nostri detrattori Zuntini avrebbe erroneamente descritto i segni di estrattore ed espulsore (e in particolare il segno dell’espulsore) sul fondello dei bossoli da lui esaminati nel 1968, sostenendo quindi – senza prove – un errore colossale di Zuntini, che non avrebbe commesso neppure il più sprovveduto dei dilettanti. Nel ’68 Zuntini descrive infatti i segni impressi da estrattore ed espulsore in maniera opposta (cioè come segni “quasi irrilevabili” ) da come li hanno invece descritti tutti i periti (ATTENZIONE: Zuntini compreso, nel ‘74) che hanno preso in mano bossoli esplosi dall’arma del Mostro dal ‘74 in avanti, periti che hanno sempre descritto I SEGNI DELL’ESTRATTORE E IN PARTICOLARE DELL’ESPULSORE impressi sul fondello dei bossoli esplosi dall’arma del Mostro, COME segni marcati e ben visibili); Zuntini però ha sbagliato nel 1968 perché – dicono i nostri detrattori più accorti che si rendono ben conto che sostenere l’errore per “somaraggine” di Zuntini, peraltro solo nel ’68, è tesi del tutto irragionevole – nel solo ‘68 lo Zuntini non avrebbe disposto di strumentazione ottica adeguata. Ma anche questa è (nella migliore definizione possibile) un’AUTENTICA DABBENAGGINE, che però ci fa vedere come questi nostri detrattori non abbiano letto la fondamentale perizia Zuntini del ‘68, nella quale È INVECE SCRITTO NERO SU BIANCO E QUINDI CERTIFICATO CHE ZUNTINI ESAMINO’ I REPERTI PROVENIENTI DAL TERRENO DI CASTELLETTI DI SIGNA CON LENTE E MICROSCOPIO (cfr. Par. 4 “Piano impostazione “ e Par. 5 “I proiettili e i bossoli” della perizia Zuntini del 1968). Nessun perito balistico dotato di strumentazione ottica adeguata, come era Zuntini anche nel 1968, avrebbe potuto non vedere o comunque ignorare il segno orizzontale centripeto visibile anche a occhio nudo sempre presente a ore 21 sul fondello dei bossoli esplosi dall’arma del Mostro. Zuntini però nel ’68 quel segno, presente ovviamente su tutti i bossoli ritrovati a Firenze nel 1982, non lo descrive. Quindi i bossoli spillati al fascicolo Mele non erano quelli che Zuntini aveva esaminato nel 1968.
- Quinta critica: Ma a questo punto ecco che tenta lo sgambetto Enrico Manieri, il quale, per noti e ovvi motivi assai più consapevole di un appassionato qualsiasi che queste dilettantesche argomentazioni avverse alla nostra ricostruzione sono solo un mucchio di stupidaggini, se ne è uscito con una sua tesi originale (non fornendo però elementi o argomentazioni a supporto della stessa, ma rinviando a suo prossimo video YouTube), al fine di poter proclamare sui social che il sottoscritto e quelli che la pensano come il sottoscritto sbagliano. Secondo Manieri Zuntini nel ‘68 ha visto il segno orizzontale, visibile persino a occhio nudo del resto, sempre presente o ore 21 sul fondello dei bossoli esplosi dall’arma del Mostro (il segno che ictu oculi identifica definitivamente un bossolo esploso quale bossolo esploso dall’arma del Mostro di Firenze). Zuntini l’ha visto questo segno, ma – sostiene il Manieri – non l’ha volutamente descritto, non attribuendolo ad alcun meccanismo d’arma noto e descrivendo invece altro segno, quasi irrilevabile, presente nella sezione sx dei bossoli repertati a Castelletti di Signa. Un segno che era presumibilmente impresso a ore 20 circa sul fondello di questi bossoli, visto ciò sta scritto nella perizia Zuntini del 68. Forse il segno che Zuntini nella sua perizia del ‘74 descrive come segno secondario dell’espulsore? Ma ammesso e non concesso che questo quasi irrilevabile segno impresso sulla sezione sx del fondello dei bossoli esaminati da Zuntini nel ’68 fosse quello che nel ’74 lo stesso Zuntini descriverà quale segno secondario dell’espulsore, resta tuttavia che nel ‘74 Zuntini descrive precisamente anche il marcato segno principale o primo segno dell’espulsore, correttamente posizionandolo a ore 21 sul fondello dei bossoli da lui esaminati nell’occasione. Perché allora Zuntini nel 1968 non descrive questo segno marcato e visibile persino a occhio nudo sufficientemente esperto? Descrive invece un unico segno, quasi irrilevabile, presente nella sezione sx del fondello di tutti e cinque i bossoli repertati a Castelletti di Signa e da lui esaminati, che Zuntini nella sua perizia attribuisce al meccanismo di espulsione dell’arma semiautomatica con cui erano stati uccisi Barbara Locci e Antonio Lo Bianco. Secondo Manieri Zuntini scrive questo nella sua perizia del ‘68, pur avendo visto il segno orizzontale centripeto a ore 21 del fondello dei bossoli da lui esaminati nel ’68 e grazie a questa sua tesi il Manieri riesce ad evitare di incappare nel marchiano errore commesso da coloro che affermano che lo Zuntini descrisse nel solo 1968, per mancanza di strumentazione, per errore o per altro farlocco motivo del genere, come quasi irrilevabile un segno che nessun esperto al mondo di qualsiasi epoca, a partire da quella napoleonica in poi, avrebbe potuto descrivere come quasi irrilevabile e che lo stesso Zuntini descrive invece con grande precisione sei anni dopo, ma in realtà solo due anni dopo l’ultima volta che egli aveva ripreso in mano il suo lavoro balistico del 1968, per verificare – come gli era stato richiesto dal PM Casini – se l’arma a tamburo sequestrata a Francesco Vinci nel 1972, nel pisano, fosse quella con cui erano stati uccisi quattro anni prima Locci e Lo Bianco. Come è stato allora possibile che Zuntini, nell’ipotesi che i segni sul fondello dei bossoli repertati alla Rabatta fossero identici a quelli dei bossoli repertati a Castelletti di Signa, non si sia accorto nel ‘74 della sua palesemente errata descrizione del fondello dei bossoli del ‘68 che lui aveva ripreso in mano solo due anni prima? L’unica ragionevole spiegazione è che i segni sul fondello dei bossoli repertati alla Rabatta erano diversi da quelli che lui aveva osservato nel 1968. Non ci sono altre ragionevoli spiegazioni. Ma dovendo il Manieri ad ogni costo dimostrare che il sottoscritto si sbaglia, è costretto a forzare il ragionamento e quindi finisce per fare affermazioni del tutto incoerenti con la sua preparazione in materia e a tutta evidenza squisitamente strumentali: affermazioni che, riassumendo in poche parole, “non stanno né in cielo né in terra”. Secondo il Manieri infatti la prassi che nel ‘68 sarebbe stata seguita da periti incaricati di esaminare reperti balistici, implicava che il perito non fosse tenuto a descrivere segni anomali (non riconducibili ad alcun meccanismo d’arma noto) non ricorrenti, eventualmente presenti su reperti esaminati. Posto tuttavia che, come scrive Zuntini nel ‘68, i segni sul fondello dei bossoli repertati a Castelletti di Signa erano presenti e uguali in tutti e cinque i bossoli da lui esaminati nell’occasione e che quindi la non ricorrenza del segno in questo caso non può essere richiamata, il vero punto è che non esiste e non è mai esistita la prassi che Manieri per smentire il sottoscritto si è inventato di sana pianta: non può mai essere esistita una prassi per cui un perito balistico (tanto più un perito incaricato di esaminare reperti balistici inerenti un caso di duplice omicidio commesso con arma che non era stata ritrovata – questa era la condizione di Zuntini nel 1968) possa esimersi dal descrivere un segno presente su tutti i reperti esaminati (quindi assolutamente ricorrente) giudicato non impresso da alcun meccanismo d’arma noto; quindi un segno anomalo e di conseguenza massimamente identificativo dell’arma che quei reperti aveva esploso, identificativo cioè di singolarità e non solo di classe d’arma. Vediamo se Manieri dimostrerà l’effettiva esistenza di questa ben strana e secondo noi fantasiosa prassi che secondo lui sarebbe stata in vigore nel 1968. Ad oggi non lo ha fatto. Io dico che questa prassi è una sua invenzione volta esclusivamente a minare la nostra ricostruzione; ma la verità è un’altra ed è come sempre la più semplice e diretta (secondo il principio noto come rasoio di Occam): Zuntini non descrisse nel 1968 il segno orizzontale centripeto, chiaramente visibile e immancabile a ore 21 del fondello di un qualsiasi bossolo esploso dall’ arma del Mostro di Firenze, semplicemente perché quel segno non c’era a ore 21 del fondello dei bossoli da lui esaminati nel 1968. Nel 1968 Zuntini vede invece un altro segno impresso sulla sezione sx del fondello di quei bossoli (probabilmente in un intorno di ore 20, visto ciò che scrive nella sua perizia del ‘68), un segno quasi irrilevabile che Zuntini – giusto o sbagliato che fosse – attribuì al meccanismo di espulsione dell’arma. E’ lampante che Zuntini, munito di lente e di microscopio, non vide altri segni sulla sezione sx dei 5 bossoli da lui esaminati nel ‘68 e descrisse nell’occasione semplicemente ciò che egli vedeva sul fondello dei bossoli repertati sul terreno di Castelletti di Signa, come sempre non commettendo, in questa sua attività di natura strettamente balistica, alcun errore, anche perché un errore come quello che taluni pretendono irragionevolmente che egli abbia commesso nel ’68, sarebbe INCONCEPIBILE, specie per un qualsiasi esperto in materia balistica incaricato di un accertamento in un caso di duplice omicidio nel quale non si era ritrovata l’arma. Né tantomeno può essere avvenuta alcuna assurda omissione volontaria da parte di Zuntini, come invece pretenderebbe il Manieri. I bossoli ritrovati nel luglio del 1982 presso il Tribunale di Firenze non erano quelli esaminati da Zuntini nel 1968. Ne consegue inoppugnabilmente che l’arma del ‘68 non era la stessa arma del Mostro, nel senso che o era arma dello stesso tipo o classe di quella del futuro Mostro, ma non era l’arma del futuro Mostro, o che era l’arma del futuro Mostro, ma come era prima delle modifiche che vi furono apportate dopo il ‘68 e ovviamente prima del settembre ‘74. In entrambi questi scenari per aprire la pista sarda nel luglio ’82 si sarebbe reso necessario manipolare il fascicolo Mele, immettendo reperti balistici e in particolare bossoli esplosi dall’arma che in quel momento stava uccidendo giovani coppie nei dintorni di Firenze. Resta dunque impregiudicato l’architrave della nostra ricostruzione della vicenda del Mostro di Firenze.
- Sesta critica: Concludo la parte balistica di queste nostre lezioni sul Mostro, care amiche ed amici, citando una interessante tesi di laurea fatta da uno studente in Giurisprudenza (corso di laurea in Criminologia) sardista, più precisamente salvatorvinciano, poverino, ma non è certo colpa sua, piuttosto forse di cattivi maestri non adeguatamente informati. La tesi è stata pubblicata sul web ed è da chiunque scaricabile quindi non ho problemi a dire che il tesista è tale Giorgio Corradini e il suo relatore il prof. Armando Palmegiani. Ma a parte questo, a noi interessa in particolar modo un passaggio di questa tesi in quanto emblematico delle difficoltà logiche che ancora oggi ci sono a comprendere le dinamiche dell’estate ’82 che condussero all’apertura della pista investigativa sarda, difficoltà che originano dalla magistrale azione di confusione delle acque posta in essere 42 anni fa da professionisti eccelsi in quanto a lungo e intensamente addestrati della difficile arte della deception (che significa inganno, illusione), che hanno fatto un lavoro di fronte al quale mi è sempre difficile trattenere un moto di ammirazione, nonostante che questo capolavoro sia stato fatto in favore di colui che fu il vero MdF. Infatti dopo aver riportato in questa tesi la nota intervista di Cochi al GI Tricomi del 2011 in cui il Tricomi dice (bontà sua) di ricordarsi – pur molto confusamente – che nel 1982 i reperti ritrovati nel fascicolo del processo Mele erano stati confrontati con le precedenti perizie di Zuntini e in particolare con quella del ’68 (e qui al tesista e al suo relatore purtroppo sfugge che non esiste in atti la benché minima traccia di un confronto balistico di questo tipo e che quindi forse qualcuno aveva assicurato al Tricomi che questo confronto era stato fatto ma non era stato fatto e se fosse stato fatto ci si era comunque ben guardati dal lasciarne traccia in atti: l’unico confronto che stando agli atti si fece fare, nel 1982, al perito amico Spampinato di cui ora diremo, è quello con l’accertamento peritale del giugno 1981, relativo al duplice delitto Foggi Di Nuccio avvenuto a Mosciano di Scandicci), ma dopo aver riportato, come dicevo, questa intervista del 2011 in cui il povero Tricomi ridicolmente conclude che l’unicità dell’arma tra il 68 e l’85 è una delle poche certezze della vicenda, il nostro tesista cita – a conferma secondo lui di questa del tutto errata conclusione del Tricomi, nella migliore delle ipotesi possibili per il Tricomi – l’accertamento balistico di cui il dr Turco della Procura di Firenze incaricò nel 2016 lo stimato esperto in materia balistica professor Paride Minervini. Ebbene si legge nella tesi che in questo accertamento balistico del 2016 il professor Minervini avrebbe dimostrato la tesi dell’unicità dell’arma “a seguito di comparazione con le precedenti perizie balistiche” (così nella tesi; ed è da intendersi la comparazione che ha fatto Minervini tra la perizia Spampinato del 1982, la perizia Arcese Iadevito del 1983 e la perizia Zuntini del 1974). E qui il nostro bravo tesista e il suo relatore incorrono in un grave abbaglio, che è poi l’abbaglio tipico del mainstream mostrologico: Paride Minervini nel suo accertamento peritale del 2016 ha sì confrontato perizie balistiche differenti (ivi inclusa la perizia balistica di Zuntini del 1974) e relativa documentazione fotografica, ma sempre implicitamente assumendo nel suo lavoro che i reperti balistici del ’68 e le foto dei reperti del 68 fossero rispettivamente i reperti ritrovati nel fascicolo Mele presso il Tribunale di Firenze intorno al 20 luglio 1982 e le foto fatte a questi reperti ritrovati a luglio ‘82 e non facendo alcun confronto con la perizia Zuntini del 1968, che nella perizia di Minervini del 2016 (ma come del resto in tutte le perizie eseguite dal 1982 in avanti sui reperti ritrovati a Firenze nel fascicolo Mele), non è neppure menzionata. E così il nostro innocente giovane tesista – come del resto tanti odierni mostrologi dilettanti e come purtroppo anche la Procura di Firenze – ha finito per abboccare all’esca tesa dai più che abili depistatori del 1982. Minervini infatti – come tutti gli esperti che dal 1982 in avanti hanno eseguito perizie sui reperti ritrovati nel tribunale di Firenze – ha solo provato che questi reperti balistici (in particolare i bossoli) ritrovati spillati al fascicolo Mele a luglio 82 erano reperti esplosi dall’arma del MdF; non ha invece provato, come del resto nessuno prima e dopo di lui ha mai provato, l’effettiva provenienza di questi reperti ritrovati spillati ad un fascicolo processuale e non assistiti da alcuna documentazione comprovante da dove venissero e quale percorso avessero sin lì fatto (non essendoci cioè alcuna filiera della conservazione del corpo di reato): non esiste infatti traccia, in atti, di un qualche confronto di quei reperti con la perizia Zuntini del 68, nonostante il confuso ricordo di Tricomi nel 2011, come non esistono foto dei reperti del ‘68 che siano state fatte anteriormente al 20 luglio 1982. Cari Giorgio Corradini e Armando Palmegiani, voglio credere che voi a differenza dei cosiddetti mostrologi e anche purtroppo della Procura di Firenze possiate avere quella mente libera che i veri ricercatori devono avere e che non siate quindi soggetti ad alcun condizionamento e che possiate recepire la seguente realtà oggettiva e non mia opinione soggettiva: in assenza di una qualche verifica fatta in sede ufficiale con la perizia Zuntini del 1968, il fatto che i bossoli ritrovati nel fascicolo Mele nel 1982 fossero reperti esplosi dall’arma del Mostro di Firenze non è affatto sufficiente a provare l’unicità dell’arma tra il 1968 e il 1985. Per provare questo era (ed è ancora oggi necessario) anche provare che i reperti e in particolare i bossoli ritrovati nel fascicolo Mele siano quelli esaminati da Zuntini nel 1968, perché solo il fatto che questi reperti siano stati trovati nel fascicolo del processo Mele non può essere preso a prova dell’unicità dell’arma, visto che non si trattava di reperti ritrovati qualche giorno prima in una scena del crimine del MdF, ma erano reperti solo asseritamente afferenti a un fatto di sangue avvenuto 14 anni prima e ritrovati in atti (fuori posto peraltro) nove anni dopo una sentenza definitiva di Cassazione. Come si poteva e come ancora oggi si può escludere che quei bossoli non ci siano stati messi successivamente, nel fascicolo Mele? Certamente non lo possiamo escludere, anzi, poiché come si è visto i segni sul fondello dei bossoli esaminati da Zuntini nel ’68 sono del tutto diversi da quelli che l’arma del Mostro imprimeva sul fondello dei bossoli esplosi, perdurando questa assurda (ma nel 1982 voluta) mancata comparazione dei bossoli ritrovati nel 1982 nel fascicolo del processo Mele con la perizia Zuntini del 68 in una qualche sede ufficiale, si deve concludere che i bossoli ritrovati nel fascicolo Mele a luglio ’82 in virtù dei quali si è potuta aprire la pista sarda ci sono stati messi in quel fascicolo, in un dato momento prima del 17 luglio 1982 (cioè prima dell’inoltro al Tribunale di Perugia della richiesta di Tricomi di acquisire quel fascicolo). Ed è questo che noi sosteniamo; ed è riconoscere questa evidente, chiarissima circostanza che apre la via che conduce al vero Mostro di Firenze.
Ma veniamo ora alle Critiche che si fanno alla nostra ricostruzione che classifichiamo come di natura non balistica. Prima critica di natura non balistica, la critica che richiama il tema della paternità del depistaggio. Questa è la prima delle critiche di natura non balistica alla nostra tesi del depistaggio del 1982 che va citata. E va citata per prima perché il tema “depistatori del 1982” si lega direttamente e si combina al tema prettamente balistico, in quanto la conseguenza praticamente automatica dell’aver noi provato che i bossoli ritrovati nel fascicolo Mele a luglio 82 non erano i bossoli del 68, è la seguente domanda: “bene, ma allora chi ce l’ha messi quei bossoli nel fascicolo del processo Mele?” E qui si innesta la prima critica non balistica alla nostra argomentazione, che è:
- Sarebbe stato Impossibile per chiunque fare un depistaggio del genere, senza commettere gravi errori e farsi subito o quasi beccare. Affermazione gravemente miope. Non arrivano infatti a comprendere, i nostri detrattori che dicono questo, che un’operazione false flag come quella dell’estate ‘82 non era impossibile ma era ed è ancora oggi FIRMATA. Cioè poteva essere messa in piedi solo da pochissimi dentro il comando dell’Arma di Borgo Ognissanti e in particolare da una persona, il tenente colonnello Olinto Dell’ Amico del Nucleo Investigativo (NI) di Borgo Ognissanti – che guarda caso era anche colui che aveva condotto le indagini su Signa nel ‘68 e che, ancora guarda caso, fu proprio colui che contattò inizialmente il GI Tricomi, nella prima quindicina di luglio ‘82, per dirgli che bisognava che acquisisse il fascicolo Mele con sorpresa allegata, nell’occasione dicendogli (e anche facendogli dire dal suo sottoposto maresciallo Fiori) diverse bugie
- I. che il fascicolo del processo Mele era a Perugia quando era Firenze da ben nove anni;
- II. che era stata una lettera anonima a far ritornare in mente in quel di Borgo Ognissanti il caso di Castelletti di Signa, quando nessuna lettera anonima che parlava di Castelletti di Signa era mai giunta, né in Procura né a Borgo Ognissanti – e ATTENZIONE dice il falso chi dice che la lettera anonima di cui il Tricomi segnalò alla Della Monica nei giorni successivi il ritrovamento del fascicolo Mele era la lettera anonima cosiddetta del Galluzzo, una lettera anonima realmente giunta in Procura ma trattata alla stregua di tutte le altre segnalazioni anonime giunte nel post Baccaiano e cioè come segnalazione priva di qualsivoglia valore investigativo e mai specificamente menzionata nelle interlocuzioni che portarono all’apertura della pista sarda nel luglio / agosto 1982 e nemmeno nella lettera di risposta di Borgo Ognissanti alla Procura (riferimento alle note di quest’ultima del 2 luglio e del 20 agosto 1982) del 24 agosto 1982;
- III. che il confronto dei reperti balistici ritrovati intorno al 20 luglio nel fascicolo processuale che proprio lui, Dell’Amico, aveva detto al Tricomi di recuperare, con le perizie Zuntini del ’68 e del ’74 era stato fatto (vedasi intervista di Cochi al GI Tricomi del 2011) quando non ne esiste e non ne è mai esistita traccia in atti. FATE ATTENZIONE A QUESTO PASSAGGIO, PERCHE’ QUESTO FU L’INGANNO FONDAMENTALE PER FAR PASSARE INDENNE L’APERTURA DELLA PISTA SARDA. INFATTI A PARTIRE DA QUESTA FALSA RASSICURAZIONE CHE GLI UOMINI DI BORGO OGNISSANTI (LEGGASI DELL’AMICO) DETTERO AL GIUDICE TRICOMI, TUTTI, AL TEMPO E ANCHE NEGLI ANNI SUCCESSIVI, HANNO DATO (E ANCORA OGGI DANNO) PER SCONTATO E RISOLTO, SIN DAL 1982, IL PROBLEMA DELLA PROVENIENZA DEI REPERTI BALISTICI NEL FASCICOLO MELE. QUANDO INVECE QUESTO PROBLEMA NON E’STATO MAI NEMMENO AFFRONTATO (DA CHICCHESSIA), IN RAGIONE DELL’ACCORTA REGIA E STRATEGIA COMUNICATIVA (è la tecnica della comunicazione ambigua o equivoca) CHE FU ATTUATA TRA LUGLIO E AGOSTO DEL 1982 DAL DELL’AMICO (e io credo che sopra dell’amico ci fosse lo zampino di Mannucci Benincasa);
- IV. E infine la storiella dell’IMMANCABILE maresciallo Fiori (SEMPRE LUI) che a inizio luglio si sarebbe ricordato del caso di Castelletti discorrendo col collega Ugo Piattelli poiché entrambi – così si disse – nel ‘68 erano stati di stanza presso la stazione CC di Signa (ma della presenza di Fiori e Piattelli a Signa nel ‘68 non abbiamo alcuna evidenza documentale e di sicuro nessuno dei due fu mai coinvolto nell’indagine su quel duplice omicidio che fu invece condotta da colui che nel 1982 era il capo di Fiori, il tenente colonnello Dell’Amico) – storiella dell’improvvisa reminiscenza di Fiori tirata fuori da Borgo Ognissanti (leggasi sempre Dell’Amico) in sostituzione della balla estiva della lettera anonima su Signa e stavolta condivisa con la Procura (e segnatamente con il GI Tricomi) con la scusa di non incentivare il fenomeno degli anonimi, ma venuta fuori solo a novembre (di certo fino a tutto ottobre in Procura si dava per scontata l’esistenza della lettera anonima su Signa di cui Dell’Amico e Fiori avevano parlato al Tricomi a luglio, come senza dubbio dimostra la rogatoria al Tribunale di Palermo fatta dal Tricomi in data 29 ottobre 1982, nella quale si cita esplicitamente la lettera anonima che aveva condotto gli inquirenti a riesumare il duplice delitto Locci – Lo Bianco), / storiella della reminiscenza improvvisa di Fiori TIRATA fuori a inizio Novembre, guarda caso proprio quando alcuni giornalisti (per primo Giorgio Sgherri dell’Unità) stavano iniziando a render pubblica la questione della lettera anonima su Castelletti di Signa (ma come: nonostante la Silvia Della Monica avesse, tra il 20 luglio e il 20 agosto del 1982, insistentemente richiesto a Borgo Ognissanti – senza peraltro ottenere alcuna precisa e circostanziata risposta in merito – di rientrare in possesso di questa importante lettera anonima alla quale di fatto si doveva la scoperta del collegamento tra i delitti del Mostro e il caso di Castelletti di Signa del 1968 – così a lei era stato detto dal GI Tricomi dopo il ritrovamento del fascicolo Mele con il noto corpo di reato allegato –, viene fuori solo a Novembre l’asserita vera causa dell’apertura della pista sarda? Un’asserita vera causa all’apparenza banale e cioè il ricordo improvviso del maresciallo Fiori? Perché allora non dirlo subito a luglio di questa reminiscenza di Fiori e Piattelli?) // Sono tutte bugie, queste che abbiamo elencato: bugie dette e fatte dire dal Dell’Amico ai magistrati incaricati dell’indagine sul Mostro al fine di nascondere la mano (la sua) che stava lanciando il sasso (stava cioè aprendo la falsa pista investigativa sarda). Ma il Dell’Amico, per quanto assolutamente essenziale alla riuscita del depistaggio (rectius: dell’operazione false flag Castelletti di Signa) non sarebbe mai riuscito a fare quel che invece è riuscito a fare in quell’estate del 1982, agendo da solo: doveva avere la necessaria complicità del perito balistico che si sarebbe fatto nominare al GI Tricomi, che pertanto doveva essere un perito con il quale non ci fosse il pericolo che richiedesse di acquisire le perizie balistiche di Zuntini disponibili in atti o che comunque potesse sollevare dubbi, anche successivamente, sul modo troppo approssimativo per non essere sospetto con cui la funzione di PG e anche a ben vedere il GI del caso del Mostro avevano in quel frangente operato, di fatto incredibilmente ignorando le perizie balistiche di Zuntini del ’68 e del ’74 e non coinvolgendo in alcuna maniera lo stesso Zuntini, che nel 1982 avrebbe potuto benissimo e anzi avrebbe dovuto essere coinvolto negli accertamenti balistici sui reperti ritrovati nel fascicolo Mele che si presunse essere quelli che lo Zuntini aveva esaminato nel 1968 (e invece quei reperti lì – i reperti ritrovati a Firenze introno al 20 luglio 1982 – Zuntini non li ha neppure mai visti in vita sua!) – pericoli questi che invece ci sarebbe senz’altro stati con la nomina di un perito balistico realmente indipendente, il quale difficilmente avrebbe ignorato senza batter ciglio e senza avanzare fastidiose richieste la documentazione del 1968 e in particolare (come già abbiamo detto) le perizie Zuntini del ‘68 e del ’74 e ben difficilmente non avrebbe chiesto di consultarsi con il perito che aveva eseguito l’accertamento balistico del 1968, cioè Innocenzo Zuntini – e noi abbiamo mostrato, atti giudiziari alla mano, chi era il col. Ignazio Spampinato, il perito balistico che fu incaricato dal Tricomi su indicazione della sua funzione di PG nel luglio ‘82 – e a quale catena di comando parallela lo Spampinato rispondeva: la catena di comando che portava al colonnello CC Federigo Mannucci Benincasa, cioè al quadro intermedio della cellula Stay Behind di Toscana e CI operativo in Borgo Ognissanti, l’uomo cui anche il Dell’Amico rispondeva entro questa catena di comando parallela – circostanza questa oggettiva e illuminante – e al quale MB era legato a doppio a filo persino il GI V. Tricomi). Fu dall’interazione tra Olinto Dell’Amico, Ignazio Spampinato e il GI Vincenzo Tricomi (casualmente tutti uomini legati a doppio filo a Federigo Mannucci Benincasa) che si originò nell’estate del 1982 la cosiddetta pista sarda, fondata sulla “scoperta” (tra virgolette) giusta perizia del perito amico Spampinato dell’unicità dell’arma tra il ‘68 e i duplici delitti sino a qual momento commessi dal Mostro di Firenze.
Si tenga dunque bene a mente questa concatenazione di argomenti:
- Punto primo. Il depistaggio ci fu: questo è oggettivamente provato. Da cosa? Dalle evidenze balistiche innanzitutto / rispetto alle quali il mainstream mostrologico e anche diversi mostrologi cosiddetti alternativi ma contestatori della realtà della sostituzione dei bossoli nel fascicolo Mele, hanno prodotto solo grandi stupidaggini quando non addirittura falsità belle e buone – c’è ad esempio un signore disonesto che non voglio neppure nominare poiché non è degno di menzione, che va propagandando che sulle palle ritrovate nel fascicolo di Mele sarebbero presenti tracce organiche di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, quando non è stato mai fatto (né è possibile anche oggi farlo) alcun esame chimico o istologico per accertare questa che è una pura illazione (e comunque amiche ed amici ricordiamoci sempre che a noi, tutti i vacui contorcimenti dei mostrologi per dimostrare che non ci fu depistaggio sulla base delle palle ritrovate nel fascicolo Mele nel luglio ’82, ci fanno meno che il solletico, poiché come abbiamo detto e ridetto, anche in questo video, l’eventualità più probabile è che ad essere sostituiti furono solo i bossoli e non le palle e che quindi nella bustina trovata spillata al fascicolo Mele ci fossero i proiettili che furono esaminati da Zuntini nel ‘68 / e i bossoli appositamente esplosi con l’arma del Mostro, arma come sappiamo sicuramente della stessa classe di quella che aveva sparato a Castelletti di Signa e i cui bossoli esplosi erano quindi perfettamente compatibili con le palle originali del ‘68; MA ATTENZIONE: i bossoli immessi nel fascicolo Mele furono esplosi CON l’arma del Mostro appositamente per realizzare l’operazione di depistaggio (pertanto verosimilmente non molto tempo dopo l’aggressione di Baccaiano perché fu a seguito di quella difficile e non fortunata aggressione che si decise di giocare la carta Castelletti di Signa) , quindi non erano bossoli sottratti da un fascicolo inerente ad altro episodio del Mostro. Erano Bossoli esplosi per l’occasione – cioè per consentire il depistaggio della pista sarda – CON l’arma cal. 22 del Mostro, l’arma che in quel momento (cioè nel 1982) stava uccidendo coppie di giovani fidanzati nei dintorni di Firenze).
- Punto secondo. il depistaggio è come abbiamo detto firmato – furono gli uomini di punta della squadra Stay Behind che faceva capo al colonnello Federigo Mannucci Benincasa a porlo in essere. Sono gli uomini senza i quali ciò che dicono i nostri detrattori sarebbe vero: un depistaggio come quello dell’apertura della pista sarda nell’estate del 1982 sarebbe stato infatti semplicemente impossibile per chiunque altro non fosse stato uomo di ruolo e grado elevati operante all’interno di Borgo Ognissanti, che comunque avrebbe dovuto far leva sulla complicità del perito balistico incaricato come si è detto (e noi abbiamo detto chi fu quest’uomo di Borgo Ognissanti di grado elevato e chi fu il perito balistico incaricato nel 1982, coloro cioè che hanno materialmente messo in piedi l’operazione Castelletti di Signa nel luglio 1982). E c’è un unico motivo al mondo che può giustificare un interesse così forte di uomini S/B del calibro di quelli che scesero in campo nell’estate del 1982 per depistare l’indagine sul Mostro di Firenze (Dell’Amico, Spampinato e io dico anche Mannucci Benincasa, secondo noi il vero regista occulto dell’operazione false flag Castelletti di Signa) a un caso puramente criminale, per quanto grave e mediatico questo caso fosse (un caso però di delitti seriali non riconducibili salvo prova contraria a strategie della tensione); un interesse che si è evidentemente configurato come interesse a coprire il Mostro, non ad assicurarlo alla giustizia come ci si sarebbe atteso da uomini con quegli incarichi istituzionali. E l’unico possibile motivo del comportamento dei più fidati uomini di Mannucci Benincasa nell’estate del 1982 è che il Mostro da coprire fosse un agente di vertice, ma del vertice massimo, della cellula S/B di cui MB, ODA e IS erano parte con ruolo parallelo (non alla luce del sole) e quindi prioritario rispetto al loro ruolo ufficiale. Ed è questa terribile e inconfessabile verità che ci conduce al Mostro, perché sono il depistaggio e i depistatori del 1982 che ci dicono quale fosse il mestiere non da Mostro del Mostro e questo mestiere non da Mostro del Mostro non era un mestiere qualsiasi (per questo motivo la profilazione non criminologica del MdF è terribilmente più efficace di quella psico-criminologica, semplicemente perché è terribilmente più selettiva e profilante della profilazione per possibili psico-patologie, in quanto il mestiere del vero Mostro assassino non era un mestiere qualsiasi (il Mostro non era né medico, né avvocato né contadino né postino né pastore, ma era un agente S/B di vertice (mestiere coperto), quindi con mestiere alla luce del sole / non coperto / di appartenente o ex appartenente a un corpo – più probabilmente militare – con funzione investigativa e legami con il mondo dei servizi di intelligence). Una profilazione basata su fatti (su tutti quelli dell’estate del 1982) oltre che sulle capacità oggettivamente dimostrate dall’entità Mostro negli anni in cui questa entità rimase attiva; una profilazione per capacità che ha anche dimostrato, in ragione del numero e del livello delle capacità evidenziate dall’entità Mostro, la natura plurima di questa entità assassina, che fu in realtà un sodalizio (cioè più persone penalmente responsabili per i duplici delitti ai danni delle coppie con ruoli diversi, quindi non necessariamente tutte presenti sulle scene del crimine del cosiddetto Mostro – ad esempio un assassino solitario e almeno un altro soggetto che lo coprisse o lo informasse o entrambe le cose, costituirebbero un sodalizio). Un sodalizio però con un capo indiscusso – non potendo comunque noi allo stato escludere, chiarisco subito, un eventuale livello superiore a questo capo, livello del quale però noi ad oggi non disponiamo di elementi indiziari sufficienti a poterlo chiamare in causa -. Fu questo capo indiscusso della banda del Mostro, un capo assassino e non mandante di cui noi anche in questo video abbiamo fatto nome e cognome, che per noi fu il vero Mostro di Firenze. Un autentico mostro che il depistaggio del 1982 (definitivamente provato dai segni sul fondello dei bossoli del 1968, diversi dai corrispondenti segni sul fondello dei bossoli recuperati nel fascicolo Mele) rende riconoscibile quanto a mestiere non da mostro: era un uomo di vertice della rete Stay Behind e quindi con mestiere alla luce del sole di appartenente o ex appartenenza a corpo con funzione investigativa e legami (eventualmente anche di appartenenza) con ambienti di servizio segreto, cioè il tipico mestiere di un uomo di vertice di un nucleo territoriale Stay Behind di guerra psicologica e non ortodossa.
- V. ma allora – hanno sostenuto i nostri tenaci detrattori – se chi ha fatto il depistaggio è chi indagava sul Mostro, stiamo forse dicendo che chi indagava sul Mostro ha avuto la possibilità di farsi dare reperti esplosi dall’arma del Mostro, cioè dall’arma che in quel momento (nel 1982) stava uccidendo giovani coppie appartate nella campagna fiorentina, da mettere poi nel fascicolo Mele? Ma che diamine! Stiamo parlando di uomini di Borgo Ognissanti! Come è possibile che uomini così fossero tanto vicini al MdF e non abbiano fatto nulla per assicurarlo alla giustizia? Impossibile! Assurdo! E INVECE NO. Altra affermazione o convinzione errata. Abbiamo visto come I fatti dell’estate ‘82 ci dicano quale fosse il mestiere non da Mostro del Mostro e che i “depistatori di Borgo Ognissanti” appartenevano, come da testimonianze e circostanze oggettive da me sempre debitamente riportate nei miei interventi in pubblica sede, alla medesima organizzazione di cui il Mostro era “per mestiere” al vertice. Solo COSI’ infatti si può spiegare perché gli uomini più fidati di Mannucci Benincasa siano così pesantemente intervenuti nell’ estate del 1982, dopo Baccaiano, per coprire le terga del vero assassino. Ma se questi uomini di Borgo Ognissanti (l’asse MB – DA) erano anche uomini della medesima organizzazione segreta di cui il vero MdF era al livello di vertice massimo, niente di più semplice allora, per costoro, del farsi consegnare quando ci fu bisogno (nell’estate 82, dopo l’aggressione di Baccaiano appunto) reperti appositamente esplosi con l’arma del Mostro dal Mostro stesso o dalla fedele spalla di quest’ultimo nel locale nucleo di guerra non ortodossa, andare poi a manomettere o anche far manomettere da qualcuno fidato il fascicolo Mele che da anni giaceva dimenticato e inosservato nei polverosi archivi del Tribunale di Firenze e infine contattare il GI Tricomi e dirgli che avrebbe dovuto acquisire quel fascicolo. Ciò che ha reso questo caso di serial killing un caso unico e coì controverso nella storia criminale, è che chi negli anni del Mostro (cioè sino a quando il Mostro rimase in attività) deteneva, in forza del suo ruolo alla luce del sole naturalmente, la responsabilità di indagare sul campo e di eventualmente intercettare sul terreno l’assassino o gli assassini delle coppiette (il comandi Borgo Ognissanti, cioè l’asse Mannucci Benincasa – Dell’Amico), parallelamente DOVEVA (in forza del ruolo coperto Stay Behind) coprire le spalle del vero Mostro, almeno sino ad ordine contrario proveniente da appropriato comando extraterritoriale. In questo caso capisco di più i miei detrattori e le loro difficoltà e anche il loro rifiuto mentale (a volte) di comprendere questo cruciale passaggio, poiché chi si occupa di Mostro di norma non presidia il difficile campo della storia della cosiddetta strategia della tensione e delle strutture clandestine che furono dietro questa strategia.
- VI. Però – hanno poi detto i nostri indomiti detrattori – chi ha fatto questo depistaggio doveva prevedere il futuro, cioè doveva prevedere fin dal 1968 che si sarebbe fatto un depistaggio. Quindi – ancora una volta – “Impossibile!” Gridano in coro costoro. Ebbene anche questo è FALSO. Ho ripetutamente spiegato che nel 68 il Mostro non era neppure all’orizzonte e nessuno aveva previsto alcunché. Fu però il Mostro stesso, che nel 68 era da tutt’altra parte del mondo rispetto a Signa e che di Signa non poteva sapere quando giunse in Italia, ma che, debitamente informato sui fatti di Signa e sull’armamento di Signa che in parte – stock di cartucce, sia a palla ramata che a piombo nudo – o in tutto – oltre allo stock di cartucce anche l’ arma, ma in questo caso modificata dopo il 68 e prima del settembre 74 presumibilmente per ordinarie ragioni manutentive – gli fu trasferito dal suo/ suoi informatori “co-militanti” nell’organizzazione clandestina di cui questo assassino sfortunatamente era al vertice, co–militanti che conoscevano più che bene i fatti di Signa per aver loro avuto un ruolo importante in quel duplice omicidio (e di Castelletti di Signa quale tappa del percorso che giunse a stabilire una solida alleanza tra locale nucleo di guerra non ortodossa e Anonima Sarda attiva nella provincia di Firenze, abbiamo a lungo parlato nei nostri video, in particolare in relazione alle figure di Olinto Dell’Amico, Gerardo Matassino e Giampiero Vigilanti); fu dunque il Mostro stesso, dicevo, a creare i presupposti dell’eventuale futuro depistaggio dell’indagine che lo avrebbe riguardato verso il caso di Castelletti di Signa, nel momento in cui per commettere i suoi futuri duplici delitti egli scelse (debitamente informato come si è detto) tipo d’arma e cartucce uguali a quelle utilizzate a Castelletti di Signa, razionalmente intuendo il potenziale depistante di questa scelta, connesso al possibile collegamento delle sue future azioni criminali con un duplice omicidio dell’allora recente passato, avente vittimologia analoga a quella che lui aveva già in mente e che era stato commesso con arma che gli inquirenti non avevano mai trovato e che non avrebbero mai ritrovato, visto che o era stata distrutta o era in possesso dei suoi informatori; un collegamento grazie al quale sarebbero finiti sotto il torchio dei futuri inquirenti del caso del killer delle coppie soggetti marginali / estranei ai delitti del futuro Mostro /; ma al contempo soggetti pienamente controllabili, / che avrebbero eseguito le consegne, essenzialmente via mix minaccia-compartimentazione (più minaccia che compartimentazione nel caso di almeno alcuni fra costoro), stante l’appartenenza o comunque il legame di questi soggetti con una locale ma forte organizzazione criminale (l’Anonima Sarda della provincia di Firenze) con la quale la cellula S/B di cui il Mostro era al vertice aveva un solido rapporto di alleanza (circostanza questa storicamente provata). Questa scelta del Mostro non avvenne nel 1968, ma in un dato momento entro un arco di tempo che va dal 1971 al settembre 1974 e con ogni probabilità temporalmente collocandosi più vicino al 1974 (e direi almeno alcuni mesi prima di settembre 1974). Ma certamente né il Mostro, né chi doveva coprirgli le spalle a causa del suo “mestiere non da Mostro” poteva sapere, nel momento in cui questa scelta fu presa (molto prima che la necessità di giocare il jolly depistante si presentasse) se / e quando / quella carta si fossero trovati a doverla giocare. Quindi nessuna capacità divinatoria del Mostro e/o di chi doveva fornirgli copertura. Ma solo scelte razionali, prese da chi facendo un certo mestiere e avendo ricevuto un certo addestramento, era pienamente in grado di valutare a 360° e razionalmente scegliere.
- VII. Ma perché mai poi – obiettano ancora i nostri detrattori a ogni costo – si sarebbe dovuto depistare nell’estate del 1982, visto che dopo Baccaiano le indagini continuavano a navigare nel buio più fitto? Qui proprio non si riesce da parte loro a mettersi dal punto di vista dei mostri e quindi a comprendere ciò che invece è elementare e assolutamente palese: la decisione di giocare il Jolly “Castelletti di Signa”, carta di cui il Mostro e chi doveva coprirlo in forza del suo mestiere non da mostro si erano dotati sin dal 1974 almeno, come si è detto (ma ovviamente non sapendo in quel momento se e quando avrebbero dovuto giocarlo, questo jolly), fu presa dopo l’unica aggressione in cui il Mostro aveva combinato guai seri e potenzialmente per lui molto pericolosi, a causa delle caratteristiche del luogo dove aveva deciso di attaccare a inizio estate del 1982, la prima volta in cui il Mostro si dovette confrontare con il problema delle piazzole per coppiette deserte; avvenne che il Mostro incappò in guai tali da far temere a lui e a chi doveva fornirgli copertura che la Procura non navigasse più nel fitto buio in cui fino a Baccaiano aveva navigato. Quell’aggressione fu l’unico episodio in cui i mostri, abbandonando di fretta la scena del crimine dove da un momento all’altro potevano sopraggiungere soccorsi e forze dell’ordine, lasciarono inavvertitamente ancora in vita una delle loro vittime e non una vittima qualsiasi, ma la vittima che più a lungo era riuscita a mantenersi viva e cosciente nel tempo molto prolungato di quell’aggressione (se consideriamo il punto dove le due auto con ben sei testimoni a bordo e alla cui guida c’erano Francesco Carletti in una e Adriano poggiarelli nell’altra, si incrociarono, a circa 5 km di distanza dal luogo dell’aggressione, stando alla testimonianza anche di recente resa sia dallo stesso Adriano Poggiarelli che dal suo compagno di viaggio Stefano Calamandrei, possiamo calcolare in almeno un quarto d’ora il tempo intercorso fra il primo colpo esploso dal Mostro quella notte e il colpo di grazia finale inferto al Mainardi, prima che gli assassini lasciassero la scena del crimine). E inoltre ben quattro testimoni (oltre Poggiarelli e Calamandrei, anche la coppia Graziano Marini – Concetta Bartalesi) si erano fermati e avvicinati all’auto del Mainardi finita fuori strada quando il povero ragazzo non aveva ancora ricevuto il colpo di grazia finale. Tutte situazioni davvero molto pericolose per chi doveva rimanere invisibile e inafferrabile a ogni costo e che mai si erano verificate prima e che mai più si verificheranno nella vicenda omicida del Mostro di Firenze. Lo scopo primario dell’operazione Castelletti di Signa del luglio 82 non fu tanto quello di depistare un’indagine prossima a scoprire la verità, ma fu piuttosto quello di andare a vedere se e quali carte avesse in mano la Procura dopo i grossi guai combinati dal Mostro lungo la via di Virginio Nuova. Se la Procura avesse avuto in mano carte importanti per via dei fatti e misfatti di Baccaiano (come del resto la PM Silvia Della Monica aveva intelligentemente lasciato intendere pochi giorni dopo quell’aggressione proprio per mettere pressione al Mostro), la Procura non avrebbe di certo abboccato con facilità all’esca della pista sarda e allora si sarebbero rese necessarie contromisure urgenti poiché ciò avrebbe voluto dire che si era in serio pericolo. Avvenne invece che la Procura si buttò immediatamente a capofitto sulla falsa pista investigativa così sapientemente approntata, implicitamente dichiarando che stava ancora navigando nel buio più fitto nonostante i fatti di Baccaiano.
Carlo Palego