Il mistero del “rosso del Mugello”

Nel più lungo e complesso caso di cronaca nera in Italia, il “mostro di Firenze”, un forte quadro indiziario è emerso negli ultimi anni a carico di un soggetto misterioso, noto alle cronache come “rosso del Mugello”. Il reporter documentarista Paolo Cochi presenta ai lettori di FUL Magazine il dossier che potrebbe condurre a una piena verità per chiudere la vicenda, anche solo storicamente.

Antefatto

In un arco di tempo che va dal 1968 al 1985, Firenze, dalla sua Camera con vista – intramontabile romanzo di Edward Morgan Forster – si ritrovò improvvisamente inghiottita in una voragine “dantesca” di otto macabri duplici delitti. Otto coppie di amanti uccisi, massacrati e mutilatiSedici ragazzi ammazzati all’interno delle loro auto (l’ultimo avverrà all’interno e nelle adiacenze di una tenda da campeggio a danno di un uomo e una donna francesi).

Sì! Il “mostro di Firenze” – come lo ebbe a definire per primo la magistrale penna del compianto Mario Spezi – uccideva le vittime secondo una “sua” modalità: Il “mostro” aspettava che il desiderio di congiungersi abbassasse le difese della coppia malcapitata per colpirla con spietata freddezza. L’assassino sparava da una Beretta calibro 22, utilizzando proiettili Winchester serie “H”, sempre e rigorosamente solo quelli: era la sua firma. L’altra sua “impronta inconfondibile” sul delitto, consisteva, a omicidio avvenuto, nell’accanirsi contro il cadavere della donna, asportandone il pube; negli ultimi due delitti, ossia nel 1984 e 1985, escindendo anche un lembo del seno sinistro. 

Ben sei di questi delitti avvennero in una finestra di quattro anni, fra il 1981 ed il 1985. Chi ora è giovanissimo farà fatica a comprendere, ma chi ha l’età giusta per ricordare non può aver dimenticato il panico collettivo che si diffuse nella cittadinanza, e l’angoscia che assalì i genitori fiorentini. Si creò una vera e propria psicosi da mostro, centinaia di telefonate da parte di padri e madri ansiose alle varie caserme o commissariati di zona, anche per un semplice ritardo nel rientrare a casa di una figlia o un figlio.

Nel 1986 a Firenze, nei paesi della campagna fiorentina e ai caselli autostradali vennero affissi manifesti e distribuiti volantini con scritto l’avviso “Occhio ragazzi”. Si allertavano – o meglio, invitavano – le coppie a non appartarsi in luoghi o piazzole isolate nelle ore di buio. Il contenuto era scritto pure in alcune lingue straniere. Tale psicosi influenzò anche le già di per sé difficili indagini della magistratura e delle forze dell’ordine.

Centinaia di migliaia di lettere anonime inondarono le caserme e le cancellerie della Procura fiorentina nelle quali veniva scritto: “Il mostro potrebbe essere il mio vicino…”; oppure, “Indagate su quel medico perché ha atteggiamenti strani”. Tanto per intenderci fin dove giunse questa nevrosi collettiva, un fornaio – la cui unica colpa fu quella di assomigliare a un presunto identikit del “mostro” – si tolse la vita perché assediato dai commenti dei compaesani, in particolare dei ragazzi più giovani che lo additavano di essere il serial killer.

Ecco un’altra parola, fino ad allora sconosciuta, nella bellissima campagna toscana: serial killer. Le indagini serrate di polizia e carabinieri, sotto l’egida dalla magistratura fiorentina, si concentrarono dapprima su un gruppo di sardi stazionanti a Prato – questo filone d’inchiesta si protrasse per gran parte degli anni Ottanta – per poi giungere negli anni Novanta a concentrarsi sulla “pista Pacciani” e da questa a quella dei suoi amici, tristemente famosi come i “compagni di merende”. Fino all’ultima pista, nata sugli sviluppi del processo a quest’ultimi, ovvero dei mandanti e di un gruppo che praticava rituali esoterici, ossia, omicidi su commissione.

Tali processi e indagini hanno una storia intricata, contraddittoria. Una complessità, anche autoriale, dei delitti stessi unica nel suo genere; il “mostro di Firenze” è il serial killer (o gli assassini seriali?) più studiato a livello mondiale e che ancora oggi presenta dubbi e incertezze. Dal 1968 – o dal 1974, per chi non ritiene il primo delitto parte della serie – la “Rinascimentale Firenze” non può ancora dire di aver chiuso definitivamente la partita con questa drammatica vicenda.

Il “rosso del Mugello”

Come già pubblicato su FUL nell’intervista a Paolo Cochi, il “Rosso del Mugello” si inserisce nella vicenda dopo il penultimo duplice delitto, quello di Pia Rontini e Claudio Stefanacci, avvenuto nel 1984 a Vicchio. Ci sono inizialmente due testimonianze: padre e figlio, gestori di una tavola calda a Vicchio, si recano alla stazione dei Carabinieri e dichiarano di aver visto i due ragazzi essere seguiti da un uomo, di capigliatura rossiccia, il pomeriggio precedente alla notte in cui furono uccisi. Stesse testimonianze arrivano da due colleghe del bar dove lavorava Pia Rontini e da una autostoppista di Borgo San Lorenzo.

I testimoni presi a verbale, risentiti nella trasmissione RAI 3 di Salvo Sottile Far West, anche a distanza di 40 anni confermano il particolare somatico da ritenersi certo. Inoltre, la descrizione fatta dai gestori della tavola calda e dai testimoni successivi coincide con l’identikit creato al computer sulla base di quanto riportato da un membro della comunità Hare Krishna che era a Scopeti la sera di venerdì 6 settembre (i corpi dei due turisti francesi vittime verranno rinvenuti lunedì 9. NdR).

Quella sul “rosso del Mugello” non è una pista di Paolo Cochi – esisteva già un dossier su questo soggetto – ma il reporter l’ha sviluppata a partire da elementi molto importanti, ottenuti da ricerche condotte personalmente. Oggi c’è un impianto indiziario molto forte a carico di una persona, peraltro ormai defunta, che però va confermato dagli atti dell’epoca. Il “rosso del Mugello”, benché abbia subito una perquisizione a domicilio nell’ottobre 1984, non è mai stato inserito nella lista dei sospettati della Squadra Anti-Mostro (SAM), dove venivano iscritti tutti i nomi segnalati, anche solo telefonicamente. 

Paolo Cochi ha gentilmente messo a disposizione dei nostri lettori tutti i principali elementi indiziari del suo dossier. Quello che è riportato di seguito è pubblicato su autorizzazione e verifica da parte dell’autore. 

I 10 punti del quadro indiziario raccolto dall’attività giornalistica investigativa di Paolo Cochi

Come riportato nell’istanza di richiesta di apertura delle indagini presentate alla Procura di Firenze al procuratore Filippo Spiezia e ai sostituti procuratori Ornella Galeotti e Beatrice Giunti dall’Avv. Alessio Tranfa – difensore per conto di  un familiare di una delle vittime – e Paolo Cochi consulente di parte, il nome del “rosso del Mugello” è di seguito indicato come OMISSIS.

1. La Beretta calibro 22 scomparsa

Il dossier si concentra in primo luogo sull’arma piuttosto che sui sospettati, a partire da tutti i furti d’arma inerenti una Beretta calibro 22. Da questa ricerca è venuto fuori che proprio una pistola di questo modello fu rubata nel 1965 in un’armeria del Mugello. Il rapporto della Compagnia Carabinieri di Borgo San Lorenzo del 16.10.1984 ebbe a indicare OMISSIS come probabile detentore, insieme a Giangio Feliciano (denunciato per favoreggiamento), della pistola semiautomatica Beretta calibro 22 modello 75 – del tipo di quella utilizzata nella serie omicidiaria de “il Mostro di Firenze” – e rubata nel 1965 nell’armeria Guidotti di Borgo San Lorenzo.

Ad avvalorare la tesi investigativa circa il fatto che OMISSIS fosse probabilmente il detentore della pistola Beretta calibro 22, quella rubata all’armeria Guidotti secondo la sopra citata informativa dei Carabinieri, c’è una perquisizione eseguita dalla Questura di Firenze del 1966. In quell’occasione a OMISSIS furono rinvenute altre armi, nonché 2 cartucce e 10 bossoli (quindi già percossi) tutti calibro 22.

Tale materiale, secondo quanto precisato nel rapporto, risulterebbe purtroppo andato perduto dopo il suo deposito presso la cancelleria del Tribunale di Firenze. Un ulteriore elemento d’interesse, anch’esso sottolineato dalla suddetta informativa, è una dichiarazione di Piero Vinci, fruttivendolo di Borgo San Lorenzo, secondo cui OMISSIS gli aveva confidato di essere “un tiratore di pistola”. In una circostanza, continua il Vinci nella dichiarazione ai Carabinieri, OMISSIS gli aveva mostrato una Beretta, molto probabilmente la calibro 22 proveniente dal furto perpetrato nell’armeria Guidotti di Borgo San Lorenzo e recuperata dal Feliciano.

2. L’identikit e le impronte

L’Avv. Tranfa ha fatto richiesta di acquisizione e autorizzazione all’analisi e all’estrazione di copia a colori degli originali delle fotografie scattate a OMISSIS risalenti soprattutto agli anni Ottanta. Tali foto sarebbero utili per l’effettuazione di perizia antropometrica di raffronto col photofit eseguito a seguito del duplice omicidio di Scopeti del 1985 (Mauriot – Kraveichvili), nonché dei fascicoli di acquisizione delle impronte papillari rilevate allo stesso OMISSIS, anche tramite il fotosegnalamento in possesso della Pubblica Amministrazione.

Le fotografie sarebbero utili per completare la consulenza tecnica antropometrica della Dott.ssa Chantal Milani che già fornisce di per sé un notevole grado di compatibilità relativamente a fotografie del soggetto non scattate negli anni Ottanta. Le impronte papillari, invece, sarebbero utili per confrontarle con l’impronta papillare rilevata all’esterno della vettura Fiat Panda 30 dove si trovavano Pia Rontini e Claudio Stefanacci al momento dell’omicidio del 1984 a Vicchio di Mugello. 

3. La macchina da scrivere

Paolo Cochi, dopo aver notato un annuncio di vendita su Facebook da parte di uno dei figli di OMISSIS, ha acquistato una vecchia macchina da scrivere portatile marca Remington a quest’ultimo appartenuta. L’avvocato Tranfa ha chiesto alla Procura di poter visionare, analizzare con apposita strumentazione e fotografare le tre buste di lettera di minacce indirizzate ai magistrati Vigna, Canessa e Fleury

La perizia criminologica dell’epoca, a firma del Prof. Francesco Bruno, acquisita nel processo Pacciani, ha affermato che le tre lettere provengono certamente dall’assassino seriale. Gli originali permetterebbero di verificare in maniera ancora più precisa e puntuale, rispetto alle verifiche già eseguite dalla grafologa forense Clarissa Matrella solo su semplici fotocopie, se le lettere e gli indirizzi sulle buste siano state effettivamente scritte con la macchina da scrivere Remington recuperata. La Dott.ssa Matrella ha rilevato una compatibilità dettata da segni di usura sulla macchina, che spiegherebbero alcune anomalie grafiche ed omografie delle lettere fotocopiate.

4. L’esame del DNA

L’avvocato Tranfa ha chiesto altresì effettuazione di accertamenti tecnici irripetibili genetici mediante estrapolazione dei profili genetici delle tracce biologiche certamente presenti sulla macchina da scrivere (presunte macchie biologiche su un tasto) Remington recuperata da Paolo Cochi. 

I profili genetici sarebbero da confrontare con quelli presenti sulle tre buste contenenti le cartucce calibro 22 Winchester serie H e il messaggio di minaccia ai magistrati Vigna, Canessa e Fleury, nonché dell’altra traccia biologica presente in una tasca dei pantaloni appartenuti alla vittima Jean Michel Kraveichvili, già repertati sulla scena del crimine del delitto di Scopeti del settembre 1985.

5. Le pertinenze

Il soggetto di cui si parla aveva una disponibilità abitativa a poche centinaia di metri dalla cassetta postale di San Piero a Sieve dove è stata imbucata la macabra lettera al magistrato Silvia Della Monica. Si tratta della nota busta contenente un lembo di seno della vittima francese Nadine Mauriot e presso la quale sono stati trovati dei proiettili calibro 22. Anche i proiettili stessi potrebbero essere stati lasciati lì proprio dal serial killer in segno di sfida.

6. La misteriosa telefonata ai Carabinieri di Borgo San Lorenzo

C’è una registrazione di una strana telefonata fatta ai Carabinieri di Borgo San Lorenzo, in orario compatibile con il duplice omicidio del 1984, dove un soggetto mai identificato denunciò un incidente stradale inesistente sulla via Sagginalese. La telefonata arrivò intorno alle 4:00 del mattino, poco dopo che le vittime erano state rinvenute, in un orario quindi dove solo i Carabinieri erano a conoscenza del delitto.

Sulla registrazione si può fare una perizia vocale facendo dei confronti con i sospettati. L’avvocato Tranfa ha chiesto la consegna di copia delle bobine della conversazione telefonica registrata nella caserma dei Carabinieri di Borgo San Lorenzo la notte tra il 29 e 30 luglio 1984 (orario del delitto Rontini – Stefanacci).

7. La ragazza in autostop

Un altro episodio interessante riguarda la testimonianza di una ragazza, Beatrice Niccolai, che nel settembre del 1985, facendo autostop a causa di uno sciopero dei mezzi pubblici, ottenne un passaggio in auto proprio da l’uomo diventato noto come “rosso del Mugello”. La Beatrice venne lasciata esattamente davanti alla cassetta delle lettere di San Piero a Sieve, dove qualche giorno prima era stata imbucata la busta contenente il feticcio e diretta al magistrato Della Monica. Secondo la ragazza, durante il viaggio da Firenze al Mugello, nel giorno di giovedì 26 settembre 1985, l’uomo le raccontò della suddetta missiva, quando ancora la notizia non era stata pubblicata sui giornali, cosa avvenuta solo il lunedì successivo.

Dalle indagini di Paolo Cochi, sembrerebbe che il “rosso del Mugello” abbia lavorato nell’ambiente giudiziario e quindi potrebbe aver appreso della lettera in seguito a una “fuga di notizie”? Siamo nelle settimane immediatamente successive all’omicidio Mauriot – Kraveichvili. Anche la sua testimonianza è visibile recuperando su Rai Play la trasmissione Far West.

L’avvocato Tranfa ha chiesto la consegna di copia integrale del fascicolo di indagine relativo all’episodio del passaggio in macchina dall’allora diciassettenne Beatrice, che dopo aver avuto conferma dai giornali della veridicità della notizia della lettera, riferì alle forze dell’ordine la strana informazione appresa durante il viaggio.

8. I protocolli d’indagine elusi

Secondo i parenti (fratello, ex-compagna, sorella e figli), come scritto sopra, OMISSIS aveva un impiego in Procura. Le dichiarazioni registrate ed inviate in Procura sono supportate dalla trasmissione di Rai 3 Far West del 2024, nella quale gli stessi parenti confermano l’impiego lavorativo.

Nella trasmissione citata, andata in onda il 25 ottobre 2024, il fratello di OMISSIS dichiara al giornalista Silvio Schembri che fu Pier Luigi Vigna (Procuratore Capo a Firenze e titolare delle indagini all’epoca) ad aiutarlo a ottenere un impiego presso il Tribunale di Firenze e che c’era un rapporto stretto di amicizia tra le rispettive mogli sin dagli anni Sessanta. Forse la posizione gli permetteva di captare qualcosa sulle indagini per gli omicidi seriali?

Ci sono stati vari episodi dove il “Mostro” sembra aver anticipato le mosse degli inquirenti, come se conoscesse i protocolli di indagine adottati dalla SAM – Squadra Anti Mostro. “Se non aveva un piede in Procura, forse ci aveva un orecchio?” si chiede Paolo Cochi, perché i delitti cessarono quando per strada le forze dell’ordine iniziarono a piazzare le auto blindate civetta.

9. La telefonata anonima al magistrato Silvia Della Monica

C’è una registrazione della telefonata da parte di un ignoto alla Dott.ssa Silvia Della Monica, ex membro del team investigativo della Procura di Firenze, presso la sua abitazione, in data 23 settembre 1985. Il numero di telefono della casa del magistrato non era sugli elenchi telefonici e poteva avervi accesso solo una persona con contatti in Procura.

Ci sono state pure altre misteriose telefonate anonime – alcune di minacce – ad altre persone coinvolte nella vicenda, parenti delle vittime o possibili testimoni. Anche in alcuni di questi casi i numeri telefonici non erano di facile reperimento.

10. La denuncia per tentato abuso sessuale

OMISSIS è stato denunciato nel 1980 per un “delitto contro la libertà sessuale” e percosse. Nello specifico avrebbe tentato di abusare sessualmente di una minorenne e, a fronte del rifiuto di lei, reagì colpendola con violenza. Si tratta di un altro indizio molto interessante.

Suggestioni finali

Facciamo subito una premessa: le suggestioni qui riportate non hanno niente a che vedere con il quadro indiziario di cui sopra basato sulla documentazione esistente. Tuttavia le suggestioni hanno “colpito” Pietro Pacciani, quindi abbiamo scelto di dare anche noi un po’ di “colore”. Dai colloqui di Paolo Cochi con i familiari del “rosso del Mugello”, emerge che OMISSIS fosse devoto a Sant’Agata e solito frequentare la Pieve di Sant’Agata del Mugello, presso Scarperia. La leggenda cristiana vuole che nel martirio la santa fu sottoposta a tortura e le furono tagliati i seni. Altra informazione di carattere personale riguarda il fatto che la moglie del “rosso del Mugello” sia morta per un tumore al seno sinistro.

Si tratta di suggestioni, ma dal simbolismo interessante, dal momento che ricordiamo come negli ultimi due duplici omicidi del “mostro di Firenze”, l’assassino si è accanito sul corpo delle ragazze pure con l’escissione del seno sinistro.

Secondo l’illustre professor Francesco Bruno, il criminologo che elaborò un celebre profilo psicologico del “mostro di Firenze”, il serial killer era un moralizzatore, un giustiziere mosso da una pulsione maniacale a sfondo religioso. Un profilo che appare ben diverso rispetto alla personalità ipersessuale di Pietro Pacciani o dei “compagni di merende”. 

Articolo a cura e supervisione di Paolo Cochi, nato da una serie di interviste rilasciate a FUL alla criminologa Veronica Bellini e al Direttore Francesco Sani. “Antefatto” a firma di Gino Chiappini.

Il mistero del “rosso del Mugello”

 

2 Dicembre 2024 Stampa: Firenze Urban Life Style – Il mistero del “rosso del Mugello”
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